La proposta di Ettore Bonalberti, rilanciata da Giorgio Merlo, di una “Camaldoli 2021” appare quanto mai opportuna. Non solo perché il 2021, come il terribile 1943, si presenta come anno assai complicato ma soprattutto perché, come allora, e quasi con gli stessi principali protagonisti, siamo in una fase di lotta all’ultimo sangue per l’egemonia mondiale. E lo scontro, di nuovo, è fra la difesa del mondo libero che ha il suo baluardo negli Stati Uniti d’America e un nuovo disegno totalitario basato sul mai sopito revanscismo tedesco alleato con la potenza asiatica emergente del presente, la Cina al posto del Giappone, e alleato con i big del digitale e della finanza speculativa, il mondo dei Soros, dei Bill Gates, dei Rothschild per intenderci.
Ai nostri giorni come allora, si ripresenta la necessità per i credenti di offrire un contributo significativo a ripensare dalle fondamenta il modello economico, sociale, istituzionale secondo i principi laici del diritto naturale e della Dottrina sociale della Chiesa anziché secondo i canoni anti-umani e maligni del politicamente corretto.
Mi limito qui a toccare uno solo di questi temi chiave che dovrebbero rientrare in questo nuovo progetto, il tema della sovranità. Il codice di Camaldoli pose la necessità, successivamente recepita nell’art.11 della Costituzione, di superare “il falso dogma della sovranità assoluta dello Stato” in favore di “una vita comune internazionale”. Uno schema sul quale si avviò l’integrazione europea e, prima ancora, fu architettato il sistema degli organismi internazionali.
Saltando molti passaggi e semplificando molto la complessità del tema, per venire al nocciolo della questione si può osservare che un tale sistema nella cui validità tutti noi profondamente crediamo ma di cui non possiamo che denunciare profondamente preoccupati il tradimento, ha potuto funzionare fino a quando interessi economici e geopolitici non hanno preso il sopravvento e snaturato un tale sistema di governance globale creato nel dopoguerra in funzione, si direbbe oggi, anti-sovranista e anti-nazionalista.
Già nel 1961 il presidente degli Stati Uniti Eisenhower, nel suo celebre discorso di commiato alla nazione, mise in guardia, riferendosi al complesso militar-industriale, dal “potenziale per l'ascesa disastrosa di poteri che scavalcano la loro sede e le loro prerogative”, invitando il popolo americano, disponente (grantor) la Costituzione del 1787, tuttora in vigore, a vigilare, a non “presumere che nessun diritto sia dato per garantito”. Successivamente i grandi conglomerati economici, finanziari e da ultimo, quelli tecnologici-digitali hanno preso il sopravvento sulla politica americana e, di riflesso, sugli organismi internazionali. L’altro colpo al ruolo super partes degli organismi internazionali come detentori di quote di sovranità ceduti dagli stati, lo hanno dato la rapida ascesa economica della Cina e l’affermarsi della Germania riunificata come nazione egemone nell'Unione Europea.
Poiché come osservò il cardinal Carlo Maria Martini, non a caso nella sua omelia per la festa di Cristo Re, nel 2002, “c'è sempre sulla terra chi governa, chi comanda, chi ha il potere. E spesso chi ha il potere non è colui che è il titolare ufficiale del potere, del governo”, la questione della sovranità appare ora radicalmente cambiata nei termini in cui si pone. Gli organismi internazionali tendono a divenire (vedasi l’Oms “cinese” e non solo l’Oms) non più espressione della comune volontà degli stati membri, bensì infiltrati, condizionati, finanziati da entità, statali (grandi potenze emergenti) o private (i colossi dell’economia, della finanza, del digitale), che convergono su un comune obiettivo ancorché non dichiarabile: instaurare nei fatti, a Costituzioni immutate, una dittatura mondiale digital-terapeutica (di cui da qualche mese già sperimentiamo qualche anticipo) al cui vertice siedono le grandi famiglie che governano il mondo al di fuori delle e sopra le istituzioni, e la supercasta dei miliardari globali, in sfregio ai più elementari diritti umani e sociali, e alla sostanza della democrazia.
Se questo è il conflitto in corso per la sovranità, è naturale che la madre di tutte le battaglie si stia consumando al di là dell’oceano. C’è ben di più oltre una competizione fra due candidati, Biden e Trump, egualmente danneggiati dall’entrata a gamba tesa nelle elezioni americane del 2020 di poteri esterni alla democrazia americana. C’è l’accettazione o il rifiuto in via definitiva del fatto che una ristretta cerchia di reali poteri mondiali possa determinare l’esito delle competizioni elettorali. Per questa ragione, contrariamente a quanto (non) ci dicono i media, siamo di fronte, in questo mese di dicembre cruciale per i destini del mondo, non ad un normale avvicendamento di potere alla Casa Bianca, bensì alla più grave crisi istituzionale degli Stati Uniti dai tempi della Guerra di secessione. Se gli Stati Uniti rimarranno uno stato sovrano, e quindi capaci, anche con l’intervento dell’esercito, garante ultimo della Costituzione americana, di stabilire con precisione la regolarità del voto del 3 novembre scorso, come sostiene la campagna di Biden, o in caso contrario di perseguire i fautori di una frode elettorale di proporzioni enormi, come sostiene la campagna di Trump (ovunque essi si annidino, anche al di fuori dei confini americani), si ricreeranno le condizioni per una governance mondiale anti-sovranista, in continuità con la via intrapresa dai vincitori della Seconda guerra mondiale. Se invece ciò non dovesse accadere, o più verosimilmente un tale tentativo dovesse fallire nella sua esecuzione, allora il nazionalismo tedesco e cinese potrebbero non incontrare più limiti e il destino dell’Occidente libero apparirebbe segnato.
Se siamo consci di che cosa implica riflettere sul tema della sovranità in un siffatto contesto, “tenendo conto di quelle interdipendenze globali che non possono essere disconosciute”, come ha osservato il sociologo Mauro Magatti (“Corriere” 3/12/2020), allora credo che una nuova Camaldoli su questo come sugli altri temi cruciali sia una proposta da mettere senz’altro in cantiere.
Ai nostri giorni come allora, si ripresenta la necessità per i credenti di offrire un contributo significativo a ripensare dalle fondamenta il modello economico, sociale, istituzionale secondo i principi laici del diritto naturale e della Dottrina sociale della Chiesa anziché secondo i canoni anti-umani e maligni del politicamente corretto.
Mi limito qui a toccare uno solo di questi temi chiave che dovrebbero rientrare in questo nuovo progetto, il tema della sovranità. Il codice di Camaldoli pose la necessità, successivamente recepita nell’art.11 della Costituzione, di superare “il falso dogma della sovranità assoluta dello Stato” in favore di “una vita comune internazionale”. Uno schema sul quale si avviò l’integrazione europea e, prima ancora, fu architettato il sistema degli organismi internazionali.
Saltando molti passaggi e semplificando molto la complessità del tema, per venire al nocciolo della questione si può osservare che un tale sistema nella cui validità tutti noi profondamente crediamo ma di cui non possiamo che denunciare profondamente preoccupati il tradimento, ha potuto funzionare fino a quando interessi economici e geopolitici non hanno preso il sopravvento e snaturato un tale sistema di governance globale creato nel dopoguerra in funzione, si direbbe oggi, anti-sovranista e anti-nazionalista.
Già nel 1961 il presidente degli Stati Uniti Eisenhower, nel suo celebre discorso di commiato alla nazione, mise in guardia, riferendosi al complesso militar-industriale, dal “potenziale per l'ascesa disastrosa di poteri che scavalcano la loro sede e le loro prerogative”, invitando il popolo americano, disponente (grantor) la Costituzione del 1787, tuttora in vigore, a vigilare, a non “presumere che nessun diritto sia dato per garantito”. Successivamente i grandi conglomerati economici, finanziari e da ultimo, quelli tecnologici-digitali hanno preso il sopravvento sulla politica americana e, di riflesso, sugli organismi internazionali. L’altro colpo al ruolo super partes degli organismi internazionali come detentori di quote di sovranità ceduti dagli stati, lo hanno dato la rapida ascesa economica della Cina e l’affermarsi della Germania riunificata come nazione egemone nell'Unione Europea.
Poiché come osservò il cardinal Carlo Maria Martini, non a caso nella sua omelia per la festa di Cristo Re, nel 2002, “c'è sempre sulla terra chi governa, chi comanda, chi ha il potere. E spesso chi ha il potere non è colui che è il titolare ufficiale del potere, del governo”, la questione della sovranità appare ora radicalmente cambiata nei termini in cui si pone. Gli organismi internazionali tendono a divenire (vedasi l’Oms “cinese” e non solo l’Oms) non più espressione della comune volontà degli stati membri, bensì infiltrati, condizionati, finanziati da entità, statali (grandi potenze emergenti) o private (i colossi dell’economia, della finanza, del digitale), che convergono su un comune obiettivo ancorché non dichiarabile: instaurare nei fatti, a Costituzioni immutate, una dittatura mondiale digital-terapeutica (di cui da qualche mese già sperimentiamo qualche anticipo) al cui vertice siedono le grandi famiglie che governano il mondo al di fuori delle e sopra le istituzioni, e la supercasta dei miliardari globali, in sfregio ai più elementari diritti umani e sociali, e alla sostanza della democrazia.
Se questo è il conflitto in corso per la sovranità, è naturale che la madre di tutte le battaglie si stia consumando al di là dell’oceano. C’è ben di più oltre una competizione fra due candidati, Biden e Trump, egualmente danneggiati dall’entrata a gamba tesa nelle elezioni americane del 2020 di poteri esterni alla democrazia americana. C’è l’accettazione o il rifiuto in via definitiva del fatto che una ristretta cerchia di reali poteri mondiali possa determinare l’esito delle competizioni elettorali. Per questa ragione, contrariamente a quanto (non) ci dicono i media, siamo di fronte, in questo mese di dicembre cruciale per i destini del mondo, non ad un normale avvicendamento di potere alla Casa Bianca, bensì alla più grave crisi istituzionale degli Stati Uniti dai tempi della Guerra di secessione. Se gli Stati Uniti rimarranno uno stato sovrano, e quindi capaci, anche con l’intervento dell’esercito, garante ultimo della Costituzione americana, di stabilire con precisione la regolarità del voto del 3 novembre scorso, come sostiene la campagna di Biden, o in caso contrario di perseguire i fautori di una frode elettorale di proporzioni enormi, come sostiene la campagna di Trump (ovunque essi si annidino, anche al di fuori dei confini americani), si ricreeranno le condizioni per una governance mondiale anti-sovranista, in continuità con la via intrapresa dai vincitori della Seconda guerra mondiale. Se invece ciò non dovesse accadere, o più verosimilmente un tale tentativo dovesse fallire nella sua esecuzione, allora il nazionalismo tedesco e cinese potrebbero non incontrare più limiti e il destino dell’Occidente libero apparirebbe segnato.
Se siamo consci di che cosa implica riflettere sul tema della sovranità in un siffatto contesto, “tenendo conto di quelle interdipendenze globali che non possono essere disconosciute”, come ha osservato il sociologo Mauro Magatti (“Corriere” 3/12/2020), allora credo che una nuova Camaldoli su questo come sugli altri temi cruciali sia una proposta da mettere senz’altro in cantiere.
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