La decisione di rinviare al 7 gennaio 2021 la riapertura delle scuole secondarie superiori è stata presa dopo che il ministro della Salute Roberto Speranza ha dovuto registrare il quasi unanime orientamento dei presidenti delle Regioni in tal senso. Solo Eugenio Giani (Toscana) si è espresso per una formula intermedia: 50% a casa e 50% in classe per consentire agli studenti un contatto diretto con gli insegnanti. Ma è rimasto solo: lunedì 30 torneranno in presenza comunque le seconde e terze classi delle scuole medie di Lombardia e Calabria, regioni che sono passate da zona rossa a arancione. Per le superiori, niente da fare, malgrado le proteste della ministra dell’istruzione Lucia Azzolina e di vari movimenti, da “Priorità per la scuola” al neonato “Schools for Future”, quello che ha promosso i flash mob davanti alle scuole, con studenti muniti di computer e wi-fi, che hanno seguito da fuori la didattica a distanza, ma solo per un’ora.
Da oggi al 7 gennaio (o più realisticamente all’11, che è un lunedì) c’è quasi un mese e mezzo: mentre l’emorragia negli apprendimenti continuerà a indebolire l’avvenire degli studenti, bisognerebbe agire – con la massima urgenza – su due versanti.
Da un lato creare le condizioni per un ritorno a scuola in sicurezza, operando su trasporti e ATS sulla via delle 3 “T” (trasporti, tamponi, tracciamento). Lo avevamo invocato un mese fa non si è fatto quasi nulla, a parte una meritoria iniziativa della Regione Lazio, limitata ai docenti di Roma e poche altre iniziative sparse. Ha sorpreso anche che la Azzolina abbia incontrato i sindaci delle città metropolitane senza i colleghi dei Trasporti e della Sanità (forse per loro indisponibilità o per mancato coordinamento?). Intanto la ministra dei Trasporti si è spinta a proporre di fare scuola la domenica, invece di risolvere il problema dell’affollamento dei mezzi di trasporto pubblici. Assurdo.
Dall’altro lato bisognerebbe agire sul versante didattico per predisporre le condizioni per una ripartenza che metta a frutto le migliori esperienze realizzate in questo difficile periodo di ricorso alla DaD.
La via più lungimirante, a nostro avviso, sarebbe quella di utilizzare e mixare gli aspetti migliori offerti dalla didattica tradizionale e da quella che si avvale delle tecnologie, realizzando per il resto dell’anno scolastico una didattica mista e flessibile, in modo da essere pronti a fronteggiare eventuali colpi di coda della pandemia ma anche da sfruttare in via ordinaria i notevoli vantaggi derivanti dalla possibilità di gestire in modo agile e personalizzato il tempo e lo spazio dell’insegnamento e soprattutto dell’apprendimento: a scuola, a casa, online, offline (basterebbe che le lezioni fossero registrate), a tutte le ore del giorno, riservando alla didattica in presenza le azioni di rinforzo, assistenza, verifica, eventualmente anche in orari distribuiti tra mattina e pomeriggio.
Se si programmasse tutto questo da subito, invitando le scuole ad avvalersi appieno della loro autonomia organizzativa e didattica, senza perdere tempo in una proustiana ricerca della scuola perduta, e risolvendo magari il grave problema dei trasporti, le scuole italiane potrebbero rinascere, come dice la canzone dei Pooh, ma guardando avanti, e non indietro. Come stanno già provando a fare alcune scuole.
Da oggi al 7 gennaio (o più realisticamente all’11, che è un lunedì) c’è quasi un mese e mezzo: mentre l’emorragia negli apprendimenti continuerà a indebolire l’avvenire degli studenti, bisognerebbe agire – con la massima urgenza – su due versanti.
Da un lato creare le condizioni per un ritorno a scuola in sicurezza, operando su trasporti e ATS sulla via delle 3 “T” (trasporti, tamponi, tracciamento). Lo avevamo invocato un mese fa non si è fatto quasi nulla, a parte una meritoria iniziativa della Regione Lazio, limitata ai docenti di Roma e poche altre iniziative sparse. Ha sorpreso anche che la Azzolina abbia incontrato i sindaci delle città metropolitane senza i colleghi dei Trasporti e della Sanità (forse per loro indisponibilità o per mancato coordinamento?). Intanto la ministra dei Trasporti si è spinta a proporre di fare scuola la domenica, invece di risolvere il problema dell’affollamento dei mezzi di trasporto pubblici. Assurdo.
Dall’altro lato bisognerebbe agire sul versante didattico per predisporre le condizioni per una ripartenza che metta a frutto le migliori esperienze realizzate in questo difficile periodo di ricorso alla DaD.
La via più lungimirante, a nostro avviso, sarebbe quella di utilizzare e mixare gli aspetti migliori offerti dalla didattica tradizionale e da quella che si avvale delle tecnologie, realizzando per il resto dell’anno scolastico una didattica mista e flessibile, in modo da essere pronti a fronteggiare eventuali colpi di coda della pandemia ma anche da sfruttare in via ordinaria i notevoli vantaggi derivanti dalla possibilità di gestire in modo agile e personalizzato il tempo e lo spazio dell’insegnamento e soprattutto dell’apprendimento: a scuola, a casa, online, offline (basterebbe che le lezioni fossero registrate), a tutte le ore del giorno, riservando alla didattica in presenza le azioni di rinforzo, assistenza, verifica, eventualmente anche in orari distribuiti tra mattina e pomeriggio.
Se si programmasse tutto questo da subito, invitando le scuole ad avvalersi appieno della loro autonomia organizzativa e didattica, senza perdere tempo in una proustiana ricerca della scuola perduta, e risolvendo magari il grave problema dei trasporti, le scuole italiane potrebbero rinascere, come dice la canzone dei Pooh, ma guardando avanti, e non indietro. Come stanno già provando a fare alcune scuole.
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