Dunque, governo contro regioni, regioni contro governo e sindaci contro governo e regioni. In un contesto del genere diventa francamente difficile costruire quella sinergia istituzionale che resti l’unica e vera carta per fronteggiare la sempre più terribile pandemia che ci affligge ormai da molti mesi.
Una cornice che non solo è preoccupante per la credibilità e l’autorevolezza delle nostre istituzioni democratiche a livello nazionale e a livello locale ma anche, e soprattutto, per la scarsa capacità di chi concretamente guida il paese di garantire un indirizzo unitario e di indicare una chiara bussola di marcia.
Ed è proprio in un contesto del genere che la qualità, la competenza e l’autorevolezza della classe dirigente politica, soprattutto del ceto di governo, sono categorie richieste e sempre più gettonate. Non solo dai grandi organi di informazione ma anche e soprattutto da larghi settori della pubblica opinione.
Del resto, lo si diceva già durante la prima ondata della pandemia. Ma adesso, con la terribile seconda ondata, la questione è semplicemente riesplosa in tutta la sua ruvidezza. E cioè, come ricordavo poc’anzi, la richiesta insistente e massiccia di una esplicita e manifesta competenza della classe dirigente politica, e in particolare quella di governo. Perché il nodo da scegliere, come ormai emerge da tutte le rilevazioni demoscopiche, è ancora e sempre riconducibile a quell’aspetto, ovvero alla competenza e alla professionalità del ceto dirigente.
Certo, dopo l’irruzione dell’uragano populista e l’avvento al potere di quelle forze che si rifanno esplicitamente a quella prassi, era del tutto prevedibile che la competenza veniva sacrificata sull’altare di altri ingredienti e altre priorità. Non a caso, sono stati altri i punti cardinali delle forze populiste e demagogiche che hanno vinto le ultime elezioni politiche. Dalla improvvisazione alla casualità, dalla inesperienza alla incompetenza, dalla demolizione di tutto ciò che era riconducibile politicamente al passato al rinnegamento delle culture politiche e della stessa cultura parlamentare.
Era difficile, molto difficile che da questo coacervo potesse nascere o decollare una classe dirigente autorevole, qualificata e competente. Al massimo, com’è puntualmente capitato e com’era ampiamente previsto, dopo essere arrivati al potere per puro caso sull’onda dell’ideologia del “vaffa”, è subentrata la disillusione e le contraddizioni di questa subcultura sono puntualmente e rumorosamente esplosi.
Nella concreta azione politica come nell’azione di governo e, soprattutto, nella capacità di sapere guidare i processi che la nostra società ha evidenziato in questa fase per molti aspetti drammatica ed inquietante. Paradossalmente, l’unico elemento chiaro che è emerso è la vocazione al professionismo politico di questa classe dirigente improvvisata. Ovvero, per dirla in termini più espliciti, l’esatta alternativa della professionalità della politica pur presente in rarissime eccezioni nell’attuale squadra di governo.
I cosiddetti rivoluzionari, cioè tutti coloro che avevano e coltivavano l’obiettivo di abbattere politicamente il “palazzo” e di cacciare definitivamente la “casta” hanno finito, secondo il noto principio della palingenesi dei fini, per difendere strenuamente il seggio parlamentare, i relativi benefit economici e tutto ciò che è semplicemente riconducibile ad un mero e spietato disegno di potere. Con tanti saluti, come ovvio e scontato, a qualsiasi straccio di competenza, di rinnovamento della politica rispetto al passato.
Comunque sia, siamo in un crocevia lungo il quale non si intravede all’orizzonte, almeno nel breve medio termine, un barlume di speranza capace di ridare lustro, competenza e professionalità alla nostra classe dirigente. Perché questo resta, com’è altrettanto ovvio e scontato, la vera incognita e il vero nodo da sciogliere se vogliamo ridare qualità alla nostra politica, solidità alle nostre istituzioni democratiche ed efficienza alla nostra azione di governo.
E pur senza distribuire pagelle o scivolare nel più bieco moralismo, è indubbio che la confusione istituzionale che ormai domina incontrastata nel sistema politico italiano, potrà essere affrontata e risolta solo se si lavora alacremente sul fronte di una qualificata e competente classe dirigente e di governo. Una competenza né accademica né scientifica e né professorale. Ma una competenza squisitamente politica che non può che essere il frutto di un vero percorso formativo. Politico, culturale e amministrativo. Solo così sarà possibile sanare un vulnus che la triste stagione populista, demagogica e antipolitica ha ingigantito ed aggravato. Altroché il cambiamento e la rivoluzione prodotti e promessi dagli alfieri dell’anticasta e degli anti partito…
Una cornice che non solo è preoccupante per la credibilità e l’autorevolezza delle nostre istituzioni democratiche a livello nazionale e a livello locale ma anche, e soprattutto, per la scarsa capacità di chi concretamente guida il paese di garantire un indirizzo unitario e di indicare una chiara bussola di marcia.
Ed è proprio in un contesto del genere che la qualità, la competenza e l’autorevolezza della classe dirigente politica, soprattutto del ceto di governo, sono categorie richieste e sempre più gettonate. Non solo dai grandi organi di informazione ma anche e soprattutto da larghi settori della pubblica opinione.
Del resto, lo si diceva già durante la prima ondata della pandemia. Ma adesso, con la terribile seconda ondata, la questione è semplicemente riesplosa in tutta la sua ruvidezza. E cioè, come ricordavo poc’anzi, la richiesta insistente e massiccia di una esplicita e manifesta competenza della classe dirigente politica, e in particolare quella di governo. Perché il nodo da scegliere, come ormai emerge da tutte le rilevazioni demoscopiche, è ancora e sempre riconducibile a quell’aspetto, ovvero alla competenza e alla professionalità del ceto dirigente.
Certo, dopo l’irruzione dell’uragano populista e l’avvento al potere di quelle forze che si rifanno esplicitamente a quella prassi, era del tutto prevedibile che la competenza veniva sacrificata sull’altare di altri ingredienti e altre priorità. Non a caso, sono stati altri i punti cardinali delle forze populiste e demagogiche che hanno vinto le ultime elezioni politiche. Dalla improvvisazione alla casualità, dalla inesperienza alla incompetenza, dalla demolizione di tutto ciò che era riconducibile politicamente al passato al rinnegamento delle culture politiche e della stessa cultura parlamentare.
Era difficile, molto difficile che da questo coacervo potesse nascere o decollare una classe dirigente autorevole, qualificata e competente. Al massimo, com’è puntualmente capitato e com’era ampiamente previsto, dopo essere arrivati al potere per puro caso sull’onda dell’ideologia del “vaffa”, è subentrata la disillusione e le contraddizioni di questa subcultura sono puntualmente e rumorosamente esplosi.
Nella concreta azione politica come nell’azione di governo e, soprattutto, nella capacità di sapere guidare i processi che la nostra società ha evidenziato in questa fase per molti aspetti drammatica ed inquietante. Paradossalmente, l’unico elemento chiaro che è emerso è la vocazione al professionismo politico di questa classe dirigente improvvisata. Ovvero, per dirla in termini più espliciti, l’esatta alternativa della professionalità della politica pur presente in rarissime eccezioni nell’attuale squadra di governo.
I cosiddetti rivoluzionari, cioè tutti coloro che avevano e coltivavano l’obiettivo di abbattere politicamente il “palazzo” e di cacciare definitivamente la “casta” hanno finito, secondo il noto principio della palingenesi dei fini, per difendere strenuamente il seggio parlamentare, i relativi benefit economici e tutto ciò che è semplicemente riconducibile ad un mero e spietato disegno di potere. Con tanti saluti, come ovvio e scontato, a qualsiasi straccio di competenza, di rinnovamento della politica rispetto al passato.
Comunque sia, siamo in un crocevia lungo il quale non si intravede all’orizzonte, almeno nel breve medio termine, un barlume di speranza capace di ridare lustro, competenza e professionalità alla nostra classe dirigente. Perché questo resta, com’è altrettanto ovvio e scontato, la vera incognita e il vero nodo da sciogliere se vogliamo ridare qualità alla nostra politica, solidità alle nostre istituzioni democratiche ed efficienza alla nostra azione di governo.
E pur senza distribuire pagelle o scivolare nel più bieco moralismo, è indubbio che la confusione istituzionale che ormai domina incontrastata nel sistema politico italiano, potrà essere affrontata e risolta solo se si lavora alacremente sul fronte di una qualificata e competente classe dirigente e di governo. Una competenza né accademica né scientifica e né professorale. Ma una competenza squisitamente politica che non può che essere il frutto di un vero percorso formativo. Politico, culturale e amministrativo. Solo così sarà possibile sanare un vulnus che la triste stagione populista, demagogica e antipolitica ha ingigantito ed aggravato. Altroché il cambiamento e la rivoluzione prodotti e promessi dagli alfieri dell’anticasta e degli anti partito…
Caro Giorgio,
predichi bene e … razzoli anche bene come Sindaco di un minuscolo paesino di montagna, quasi fiabesco, ma antico, come dimostrarono i nostri scavi archeologici del CeSMAP degli anni ‘980 a Roc del Col, Usseaux, datando un sito preistorico pastorale di 3.500 anni fa.
Tu dici che la classe dirigente attuale non ha la stoffa per governare (neppure per fare opposizione) ed hai ragione. La cultura e la competenza non si improvvisano e per quanto si possa essere dotati, l’esperienza da bibitaro allo stadio di Maradona non basta per dirigere un Ministero, etc. etc. Ma alla fine del tunnel, se raccogliamo le forze, riusciremo a dare cieli blu ai nostri figli ed ai figli dei nostri figli.
Stai bene e … covid free !
Dario Seglie
Direttore CeSMAP, Pinerolo