La grande pandemia socioeconomica



Giuseppe Davicino    18 Novembre 2020       0

“Dobbiamo trovare la cura non solamente per il coronavirus – che è importante! – ma anche per i grandi virus umani e socioeconomici”. Così papa Francesco all’udienza generale dello scorso 30 settembre ci esorta ad attrezzarci di fronte alla sfida più grande e più grave di questi anni Venti, la grande pandemia socioeconomica, causata da un modello economico iniquo e insostenibile, e accelerata dall’ultima pandemia sanitaria, il SARS-CoV-2, che è stata oggetto dell’attenzione mediatica globale molto più delle precedenti.

Contro questo tipo di pandemia non ci sono medicinali o vaccini, occorrono risposte politiche capaci di governare e invertire le tendenze in corso. Il processo di concentrazione della ricchezza e il contestuale aumento delle disuguaglianze è giunto a un livello inaudito dal dopoguerra. Tale processo è stato accompagnato da uno svuotamento di poteri degli Stati e delle organizzazioni internazionali senza che emergesse nel frattempo una modalità nuova di esercizio della sovranità. Cosicché si è potuta formare una supercasta, una superélite di grandi miliardari globali che in questo secolo è arrivata a influenzare, se non a dirigere, le banche centrali, e a conseguire una situazione di quasi completo monopolio sulla cultura e sull’informazione, a esclusiva tutela dei propri interessi e dei propri progetti sul mondo intero.

Una tale condizione di squilibrio e di ingiustizia ha fatto da incubatore alla pandemia socioeconomica. Le istituzioni rischiano di collassare, si indeboliscono le ragioni su cui si regge il patto sociale, l’architrave della democrazia occidentale, la classe media, diviene soggetta a un rapido ed esteso decadimento che scuote l’intero edificio della liberal-democrazia.

In questo quadro, paiono delinearsi solamente due possibili tipi di strategia. L’una che prova a gestire la grande pandemia socioeconomica, l’altra che cerca di disinnescarla.

La prima via, per così dire, cerca di capitalizzare l’eredità del coronavirus, perseguendo una “nuova normalità”, capace di fronteggiare il crescente scontento della grande maggioranza della popolazione. Le tecnologie digitali e la bioingegneria consentono di creare un surrogato del consenso, agendo sulla libertà e sui diritti delle persone. Possono “fabbricare” cittadini che vengono tracciati e sorvegliati in ogni istante della loro vita, e controllati anche nella loro psiche. In questo senso il coronavirus può fungere da metodo di governo, in quanto crea lo stato di necessità che risparmia lunghe procedure di “riforme” costituzionali o traumatici coup d'état. Acutamente il sociologo Mauro Magatti avverte (“Corriere” 15/11) che si sta ponendo il problema di come rimodellare la relazione tra democrazia e autorità. Ma anche, si potrebbe aggiungere, tra libertà di culto, di opinione, di associazione, di aggregazione sociale e autorità.

L’altra via che si può seguire è quella di puntare a disinnescare le cause che conferiscono forza alla grande pandemia socioeconomica. Condizione irrinunciabile per perseguire questa strategia è quella di abiurare il culto del politicamente corretto e della profonda, abissale carica di male e di distorsione della realtà che esso contiene. Ciò permette di vedere a quali rischi stiamo andando incontro in questa delicata fase storica e di cercare i rimedi più efficaci.

In particolare, credo che in questo momento sia necessario operare tre grandi disillusioni.

La prima riguarda gli Stati Uniti. Non sembra esservi stata ancora alcuna stabilizzazione dalla notte elettorale del 3 novembre scorso. In gioco non vi sono solo le ambizioni di due candidati ma due visioni del futuro ruolo degli USA, che paiono sempre più difficilmente componibili. Nell’affrontare la pandemia socioeconomica non si può prescindere dal constatare che la superpotenza americana sta entrando nella più grande crisi istituzionale dal 1861, anno in cui scoppiò la Guerra di Secessione.

La seconda necessaria disillusione ha per oggetto la Germania. Avevamo sperato ardentemente di avere finalmente, dopo gli errori del passato, una Germania europea con cui costruire l’unità del Vecchio Continente, e invece ci ritroviamo con una classe dirigente tedesca che opera, nei fatti al di là delle belle dichiarazioni ufficiali, in direzione della costruzione di una Europa tedesca. La geopolitica, quando non mitigata dalla politica, ha le sue regole spietate e a queste dimostra di attenersi il governo tedesco anche quando tramite la sua ministra della difesa Annegret Kramp-Karrenbauer (molto vicina alla cancelliera Merkel), ha fatto sapere, lo scorso ottobre, di condizionare il mantenimento del proprio Paese nell’Alleanza Atlantica alla rinuncia da parte americana al veto sul riarmo tedesco in misura tale da consentire una capacità di influenza militare della Germania non solo sull’UE ma sull’intera Europa continentale, non potendo più avanzare pretese sul Regno Unito. Questo ci dice quale sia in realtà il vero disegno coltivato dagli attuali dirigenti tedeschi, facendo rivoltare nella tomba Adenauer: fare della Germania, in alleanza con la Cina comunista e le grandi corporations del digitale e della finanza globale, una superpotenza mondiale, capace di sostituirsi agli Stati Uniti.

In terzo luogo appare necessaria una disillusione su quale sia stata la parabola politica dispiegatasi dopo le elezione del 2018 in Italia. Il populismo ha fallito alla prova del governo ma non è stato sconfitto, tanto meno surclassato da una componente politica di “competenti”. Dal punto di vista della fiducia dei cittadini nei partiti e nella politica la situazione, anche se anestetizzata ancora dall’emergenza sanitaria, appare addirittura peggiore di quella del 2018. Allora vi fu la rivolta elettorale di ingenti settori della classe media contro i fautori dell’austerità e gli allievi del professor Monti. Ora il distacco della classe media dalla politica sembra riguardare sia le forze di maggioranza sia la stessa opposizione. Molti hanno ormai compreso che l’eccessivo allarmismo a livello globale sul coronavirus ha essenzialmente un duplice scopo: far fallire le piccole e medie imprese per accrescere la ricchezza di pochissime società globali; e lo scopo di ridisegnare la società in senso totalitario, senza colpo ferire, sfruttando la forza della paura, per imporre un’agenda che consta di tre stadi fondamentali in successione: vietare la mobilità individuale, abolire la (piccola) proprietà privata, dissolvere la famiglia. Ed essi non vedono nessuna forza politica, fra quelle esistenti, capace di contrastare questa distopia, eccezion fatta per le due personalità che siedono al Quirinale e a Palazzo Chigi. Solo Giuseppe Conte, se saprà proporsi come federatore di una vasta area democratica, sociale e popolare potrà credibilmente costruire una risposta italiana contro la grande pandemia socioeconomica e fare da argine, non alla destra populista e sovranista, ormai decotta, ma a quelle forze di estrema destra dura che scalzeranno di qui a poco Salvini e la Meloni.

Resta, infine, il pensiero di cosa potrebbero fare in questa situazione di crisi epocale quanti si riconoscono nella cultura politica del popolarismo e del cattolicesimo democratico. Pierluigi Castagnetti ci ricorda che negli ultimi anni della guerra ci fu chi si riuniva, studiava, prendeva contatti, selezionava élite, pensando al dopo, permettendo alla democrazia italiana di nascere con una certa solidità.

Queste persone riuscirono a progettare il futuro perché erano culturalmente autonome e la loro proposta era alternativa alle categorie del nemico che combattevano. Si può dire lo stesso anche ai giorni nostri?


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