Da dove viene l'odierno clima di intolleranza, aggressività e talora odio?
Sentiamo spesso lamentare l'esistenza di un clima di odio che si sarebbe da tempo affermato nel nostro Paese. L'indicazione dei responsabili varia a seconda dell'orientamento politico di chi denuncia il fenomeno, ma ad essere prevalentemente messi nel mirino, in specie dai media di più larga diffusione, sono i populisti e i sovranisti, formazioni che non hanno alle spalle un pensiero e una solida tradizione politica. Antonio Polito sul “Corriere della Sera” del 28 agosto scorso osservava che “l'infezione di furore e di odio che divampa fra le opposte fazioni e le rispettive concezioni del mondo cresce ogni giorno di più. Rispetto a quando destra e sinistra avevano un contenuto ideologico, questa deriva biologica della politica ha qualcosa di ripugnante, e di incomprensibile. La ragione sta forse nella crisi di idee, e di destra e di sinistra”.
È un'opinione che può essere presa in considerazione, ma che non sembra sufficiente a spiegare un fenomeno che dilaga in Europa e America, dove, come in Italia, gli schieramenti contrapposti se ne rimpallano la responsabilità. Dobbiamo quindi ricercare altre cause.
Jared Diamond con riferimento agli Stati Uniti (Paese di cui è cittadino) evidenzia il deterioramento dei processi democratici in atto da qualche decennio, attribuendone la causa alla crescente polarizzazione della società.
Il compromesso, scrive l'antropologo, è connaturato all'attività politica: previene o mitiga la tirannia della maggioranza, e nel contempo impedisce la paralisi indotta dai veti della minoranza o dall'ostruzionismo parlamentare. Da qualche tempo, in ambito politico, è venuta a mancare la capacità di raggiungere compromessi. In passato non era così. Cita il periodo 1981-96, in cui il presidente repubblicano Ronald Reagan e Thomas O'Neil, democratico presidente della Camera, pur su posizioni molto diverse e talora opposte, sempre riuscirono a realizzare compromessi in grado di garantire il funzionamento dell'attività di governo e di quella parlamentare. Attualmente, l'ostilità al compromesso, l'intransigenza e l'intolleranza riguardano sia il mondo politico, sia la società civile nel suo insieme. Inoltre, la dinamica di rottura del compromesso politico ha tra gli effetti negativi anche la tendenza ad autoalimentarsi.
Diamond si domanda quale sia la causa della polarizzazione e del rifiuto del compromesso. Prende in esame vari aspetti della vita politica americana e del funzionamento delle istituzioni, ma alla fine focalizza l'attenzione su un punto. La polarizzazione sarebbe un effetto dell'informazione di nicchia.
A fronte della crisi dei settimanali cartacei destinati al grande pubblico e degli stessi quotidiani, si è verificata una crescente diffusione delle emittenti via cavo, dei siti web di informazione e dei social media. In teoria cittadini avrebbero la possibilità di scegliere tra un maggior numero di sorgenti di informazione, ma in realtà ciò non accade e non si traduce in un arricchimento informativo perché le persone scelgono le fonti maggiormente in accordo con le loro idee politiche e trascurano tutte le altre. Scegliendo i canali preferiti, l'utente rimane legato ai propri punti di vista senza farsi sviare da temi e opinioni non di suo gradimento. Tramite Facebook e Twitter, ciascuno posta e commenta con amici e conoscenti articoli di giornali scelti sulla base della comune appartenenza politica; amici e conoscenti a loro volta postano altre notizie con la stessa logica. Se qualcuno invia messaggi dai contenuti non in linea col punto di vista preferito, viene “disamicato” e cancellato dai contatti. La più parte delle persone legge e si informa soltanto all'interno della propria nicchia, dove ogni contenuto è già determinato; ignora gli argomenti di chi sostiene la parte avversa, continua a votare lo stesso partito e pretende che i suoi rappresentanti in Parlamento rifiutino ogni compromesso. In tal modo, le posizioni ideologiche tendono a farsi estreme, e ciò accade anche all'interno dei partiti.
A confermare questa rappresentazione, Pierluigi Battista ha scritto sul “Corriere” del 7 settembre scorso: “Lo spazio di discussione pubblica sta morendo per asfissia, perché si è spenta la civiltà del dibattito. Il fecondo conflitto delle idee si estingue perché è la stessa diversità delle idee ad essere considerata un disvalore: non si riescono più a reggere le differenze di opinioni, la lotta civile e leale tra tesi contrastanti, la battaglia condotta con la forza degli argomenti. Al posto del dibattito, c'è il bavaglio, la cultura del sospetto, il processo alle intenzioni, la demonizzazione o la caricatura delle tesi diverse, la fanatica rozzezza del cancel culture”.
Diamond evidenzia la ricaduta pesantemente negativa sul clima sociale dei fatti descritti. Le persone che sostengono una formazione esprimono crescente ostilità verso i simpatizzanti dell'altra, e se in passato potevano esserci relazioni amicali con soggetti diversamente schierati politicamente, oggi ogni relazione con essi viene interrotta escludendoli dal giro di amicizie; molti non vogliono che un loro famigliare abbia relazioni con un sostenitore della parte avversa, o peggio si leghi a lui sentimentalmente; preferiscono, inoltre, non abitare in quartieri dove prevalgono idee politiche diverse dalle loro. Così nasce e si diffonde il clima di avversione e talora di odio nei confronti degli avversari politici.
La polarizzazione della società americana è partita dalla classe politica per estendersi all'elettorato nel suo complesso, da cui, come un'onda di risacca, è ritornata con più vigore a quel mondo politico dove era nata, mentre il fenomeno ha continuato ad ampliarsi autonomamente anche al di fuori della sfera politica.
Polarizzazione, intolleranza e litigiosità sono in aumento in tutti gli ambiti della vita sociale: si va dalle beghe di condominio, a quelle sui luoghi di lavoro, alle liti in strada o nelle discoteche. La scortesia dilaga. Diamond dichiara di aver visto questa tendenza all'opera anche nel mondo della ricerca e in quello universitario. Le controversie tra studiosi, circa aspetti professionali o interpretazione di dati di ricerca, hanno fatto da sempre parte della vita accademica, ma un tempo, di massima, non interferivano nelle relazioni personali: ci si poteva contrapporre su una questione scientifica e restare amici. Oggi non è più così. I rapporti interpersonali si deteriorano: si arriva agli insulti o alle citazioni in giudizio fra studiosi che la pensano diversamente. La vita delle università americane è lo specchio della società, come lo sono le vicende politiche, quelle del mondo dell'informazione e i comportamenti degli elettori. In tutti contesti, si evidenzia il deterioramento del capitale sociale.
Ancora Pierluigi Battista conferma questa rappresentazione dell'estrema polarizzazione e della connessa intolleranza, scrivendo che “tutto questo non è più appannaggio degli estremisti, ma è un morbo che ha conquistato anche le persone colte, quelle che del dialogo e del confronto argomentato dovrebbero fare il proprio modo di essere. Di conseguenza, mentre si declama l'elogio delle differenze e la santificazione del diverso, le diversità e le differenze vengono espulse dal cuore della civiltà del dibattito fondato sull'idea che agli argomenti si risponde con argomenti”.
Nell'analisi condotta da Diamond, compare un altro fattore. A minare i rapporti interpersonali e a determinare il clima di diffusa ostilità, oltre agli effetti dell'informazione di nicchia, interviene il propagarsi di forme di comunicazione che non richiedono più il contatto fisico ravvicinato fra le persone. Secondo il sociologo Robert Putnam, smatphone, iPod, videogiochi promuovono forme di svago più solitarie che sociali; inoltre, almeno un terzo della fruizione televisiva in USA avviene in solitudine. La gente vive immersa in bolle di intrattenimento che sono l'equivalente delle nicchie informative in ambito politico. La mancanza di interlocuzione diretta e di vicinanza tra le persone, alimenta in esse indifferenza nei confronti degli altri, e si traduce sovente in diffidenza e timore: il risultato è un atteggiamento di chiusura difensiva che facilmente passa a forme di aggressività.
Come già aveva evidenziato Konrad Lorenz, nel corso del processo evolutivo si sono affermati condizionamenti etologici tesi a limitare l'aggressività nei rapporti interpersonali: si tratta di segnali emessi dai singoli soggetti tesi a spegnere gli impulsi aggressivi nella controparte. A tal fine è però necessaria la compresenza delle persone, bisogna che vengano a contatto in luoghi fisici. Nelle relazioni a distanza. ciò non accade: viene meno il blocco che impedisce o rende difficile recare offesa. Si va dai piccoli fatti quotidiani alle situazioni drammatiche che si registrano in guerra. Ad esempio, scrive Lorenz, per un soldato uccidere delle persone che si trovano a lui di fronte provoca un forte disagio emotivo, talora non superabile, mentre, per ucciderne centinaia con bombe sganciate da un areo o sparate da un cannone a lunga gittata, ci può essere totale assenza di emozione e di dubbi in chi compie tali azioni.
Così nella vita di tutti i giorni, le persone, quando hanno continui contatti fra di loro, possono anche discutere animatamente delle questioni che le contrappongono, ma nella maggioranza dei casi non trascendono a comportamenti violenti. Invece, gli individui che si relazionano abitualmente solo on-line, non hanno più freni inibitori e si permettono, sovente nell'anonimato, di esprimere il peggio di sé; inoltre, anche quando capita loro di trovarsi di fronte a persone in carne ed ossa, non sanno più controllarsi.
Certamente a determinare questo clima intervengono più cause. Ho condiviso in larga misura quanto ha scritto su “Rinascita popolare” Francesco Provinciali in Alle radici della violenza. Ritengo tuttavia molto importanti le osservazioni di Diamond.
In primo luogo ci costringono a rivedere quei discorsi tesi ad imputare, come uniche responsabili del clima di odio, determinate forze politiche, sempre individuate nei propri avversari. Un atteggiamento che finisce per essere una delle cause che alimenta proprio quel denunciato clima negativo. Affermazioni più volte sentite, come “odiamo gli odiatori”, sono benzina sul fuoco.
In secondo luogo, ci inducono ad interrogarci sul dove stia andando la nostra società sotto la spinta delle innovazioni tecnologiche. Ho sentito più volte Domenico De Masi, un noto sociologo molto presente nei dibattiti televisivi, esaltare il lavoro a distanza, che, a suo dire, dovrebbe diventare la regola in tutti gli ambiti in cui non sia indispensabile lavorare fuori casa, come nell'edilizia, nell'agricoltura, o nelle attività ospedaliere. Ebbene, se la lontananza fisica tra le persone mette in crisi la vita relazionale, aggravando i fattori che deprimono il capitale sociale, bisognerà tenerne conto e non limitare il discorso ai vantaggi economici che una tale scelta comporta. Ragionamento analogo può essere fatto riguardo al diffondersi del commercio on-line, che mette in soffitta i rapporti fisici fra compratore e venditore. Il discorso può continuare con l'insegnamento a distanza, e il ricorso alla didattica digitale che, avvalendosi di macchine e computer, riduce i contatti veri tra discenti e docenti, e altrettanto riguardo all'impiego crescente dei robot anche nei servizi alle persone, che ulteriormente riduce quei contatti tra esseri viventi necessari al vivere sociale.
Si dirà che tali innovazioni, lasciando alle persone più tempo libero, consentiranno di realizzare contatti e incontri in altri ambiti. Forse... Ma sarebbe il caso di andare a vedere ciò che accade dove in materia si sono introdotte in maggior misura tali innovazioni, come negli Stati Uniti.
Sentiamo spesso lamentare l'esistenza di un clima di odio che si sarebbe da tempo affermato nel nostro Paese. L'indicazione dei responsabili varia a seconda dell'orientamento politico di chi denuncia il fenomeno, ma ad essere prevalentemente messi nel mirino, in specie dai media di più larga diffusione, sono i populisti e i sovranisti, formazioni che non hanno alle spalle un pensiero e una solida tradizione politica. Antonio Polito sul “Corriere della Sera” del 28 agosto scorso osservava che “l'infezione di furore e di odio che divampa fra le opposte fazioni e le rispettive concezioni del mondo cresce ogni giorno di più. Rispetto a quando destra e sinistra avevano un contenuto ideologico, questa deriva biologica della politica ha qualcosa di ripugnante, e di incomprensibile. La ragione sta forse nella crisi di idee, e di destra e di sinistra”.
È un'opinione che può essere presa in considerazione, ma che non sembra sufficiente a spiegare un fenomeno che dilaga in Europa e America, dove, come in Italia, gli schieramenti contrapposti se ne rimpallano la responsabilità. Dobbiamo quindi ricercare altre cause.
Jared Diamond con riferimento agli Stati Uniti (Paese di cui è cittadino) evidenzia il deterioramento dei processi democratici in atto da qualche decennio, attribuendone la causa alla crescente polarizzazione della società.
Il compromesso, scrive l'antropologo, è connaturato all'attività politica: previene o mitiga la tirannia della maggioranza, e nel contempo impedisce la paralisi indotta dai veti della minoranza o dall'ostruzionismo parlamentare. Da qualche tempo, in ambito politico, è venuta a mancare la capacità di raggiungere compromessi. In passato non era così. Cita il periodo 1981-96, in cui il presidente repubblicano Ronald Reagan e Thomas O'Neil, democratico presidente della Camera, pur su posizioni molto diverse e talora opposte, sempre riuscirono a realizzare compromessi in grado di garantire il funzionamento dell'attività di governo e di quella parlamentare. Attualmente, l'ostilità al compromesso, l'intransigenza e l'intolleranza riguardano sia il mondo politico, sia la società civile nel suo insieme. Inoltre, la dinamica di rottura del compromesso politico ha tra gli effetti negativi anche la tendenza ad autoalimentarsi.
Diamond si domanda quale sia la causa della polarizzazione e del rifiuto del compromesso. Prende in esame vari aspetti della vita politica americana e del funzionamento delle istituzioni, ma alla fine focalizza l'attenzione su un punto. La polarizzazione sarebbe un effetto dell'informazione di nicchia.
A fronte della crisi dei settimanali cartacei destinati al grande pubblico e degli stessi quotidiani, si è verificata una crescente diffusione delle emittenti via cavo, dei siti web di informazione e dei social media. In teoria cittadini avrebbero la possibilità di scegliere tra un maggior numero di sorgenti di informazione, ma in realtà ciò non accade e non si traduce in un arricchimento informativo perché le persone scelgono le fonti maggiormente in accordo con le loro idee politiche e trascurano tutte le altre. Scegliendo i canali preferiti, l'utente rimane legato ai propri punti di vista senza farsi sviare da temi e opinioni non di suo gradimento. Tramite Facebook e Twitter, ciascuno posta e commenta con amici e conoscenti articoli di giornali scelti sulla base della comune appartenenza politica; amici e conoscenti a loro volta postano altre notizie con la stessa logica. Se qualcuno invia messaggi dai contenuti non in linea col punto di vista preferito, viene “disamicato” e cancellato dai contatti. La più parte delle persone legge e si informa soltanto all'interno della propria nicchia, dove ogni contenuto è già determinato; ignora gli argomenti di chi sostiene la parte avversa, continua a votare lo stesso partito e pretende che i suoi rappresentanti in Parlamento rifiutino ogni compromesso. In tal modo, le posizioni ideologiche tendono a farsi estreme, e ciò accade anche all'interno dei partiti.
A confermare questa rappresentazione, Pierluigi Battista ha scritto sul “Corriere” del 7 settembre scorso: “Lo spazio di discussione pubblica sta morendo per asfissia, perché si è spenta la civiltà del dibattito. Il fecondo conflitto delle idee si estingue perché è la stessa diversità delle idee ad essere considerata un disvalore: non si riescono più a reggere le differenze di opinioni, la lotta civile e leale tra tesi contrastanti, la battaglia condotta con la forza degli argomenti. Al posto del dibattito, c'è il bavaglio, la cultura del sospetto, il processo alle intenzioni, la demonizzazione o la caricatura delle tesi diverse, la fanatica rozzezza del cancel culture”.
Diamond evidenzia la ricaduta pesantemente negativa sul clima sociale dei fatti descritti. Le persone che sostengono una formazione esprimono crescente ostilità verso i simpatizzanti dell'altra, e se in passato potevano esserci relazioni amicali con soggetti diversamente schierati politicamente, oggi ogni relazione con essi viene interrotta escludendoli dal giro di amicizie; molti non vogliono che un loro famigliare abbia relazioni con un sostenitore della parte avversa, o peggio si leghi a lui sentimentalmente; preferiscono, inoltre, non abitare in quartieri dove prevalgono idee politiche diverse dalle loro. Così nasce e si diffonde il clima di avversione e talora di odio nei confronti degli avversari politici.
La polarizzazione della società americana è partita dalla classe politica per estendersi all'elettorato nel suo complesso, da cui, come un'onda di risacca, è ritornata con più vigore a quel mondo politico dove era nata, mentre il fenomeno ha continuato ad ampliarsi autonomamente anche al di fuori della sfera politica.
Polarizzazione, intolleranza e litigiosità sono in aumento in tutti gli ambiti della vita sociale: si va dalle beghe di condominio, a quelle sui luoghi di lavoro, alle liti in strada o nelle discoteche. La scortesia dilaga. Diamond dichiara di aver visto questa tendenza all'opera anche nel mondo della ricerca e in quello universitario. Le controversie tra studiosi, circa aspetti professionali o interpretazione di dati di ricerca, hanno fatto da sempre parte della vita accademica, ma un tempo, di massima, non interferivano nelle relazioni personali: ci si poteva contrapporre su una questione scientifica e restare amici. Oggi non è più così. I rapporti interpersonali si deteriorano: si arriva agli insulti o alle citazioni in giudizio fra studiosi che la pensano diversamente. La vita delle università americane è lo specchio della società, come lo sono le vicende politiche, quelle del mondo dell'informazione e i comportamenti degli elettori. In tutti contesti, si evidenzia il deterioramento del capitale sociale.
Ancora Pierluigi Battista conferma questa rappresentazione dell'estrema polarizzazione e della connessa intolleranza, scrivendo che “tutto questo non è più appannaggio degli estremisti, ma è un morbo che ha conquistato anche le persone colte, quelle che del dialogo e del confronto argomentato dovrebbero fare il proprio modo di essere. Di conseguenza, mentre si declama l'elogio delle differenze e la santificazione del diverso, le diversità e le differenze vengono espulse dal cuore della civiltà del dibattito fondato sull'idea che agli argomenti si risponde con argomenti”.
Nell'analisi condotta da Diamond, compare un altro fattore. A minare i rapporti interpersonali e a determinare il clima di diffusa ostilità, oltre agli effetti dell'informazione di nicchia, interviene il propagarsi di forme di comunicazione che non richiedono più il contatto fisico ravvicinato fra le persone. Secondo il sociologo Robert Putnam, smatphone, iPod, videogiochi promuovono forme di svago più solitarie che sociali; inoltre, almeno un terzo della fruizione televisiva in USA avviene in solitudine. La gente vive immersa in bolle di intrattenimento che sono l'equivalente delle nicchie informative in ambito politico. La mancanza di interlocuzione diretta e di vicinanza tra le persone, alimenta in esse indifferenza nei confronti degli altri, e si traduce sovente in diffidenza e timore: il risultato è un atteggiamento di chiusura difensiva che facilmente passa a forme di aggressività.
Come già aveva evidenziato Konrad Lorenz, nel corso del processo evolutivo si sono affermati condizionamenti etologici tesi a limitare l'aggressività nei rapporti interpersonali: si tratta di segnali emessi dai singoli soggetti tesi a spegnere gli impulsi aggressivi nella controparte. A tal fine è però necessaria la compresenza delle persone, bisogna che vengano a contatto in luoghi fisici. Nelle relazioni a distanza. ciò non accade: viene meno il blocco che impedisce o rende difficile recare offesa. Si va dai piccoli fatti quotidiani alle situazioni drammatiche che si registrano in guerra. Ad esempio, scrive Lorenz, per un soldato uccidere delle persone che si trovano a lui di fronte provoca un forte disagio emotivo, talora non superabile, mentre, per ucciderne centinaia con bombe sganciate da un areo o sparate da un cannone a lunga gittata, ci può essere totale assenza di emozione e di dubbi in chi compie tali azioni.
Così nella vita di tutti i giorni, le persone, quando hanno continui contatti fra di loro, possono anche discutere animatamente delle questioni che le contrappongono, ma nella maggioranza dei casi non trascendono a comportamenti violenti. Invece, gli individui che si relazionano abitualmente solo on-line, non hanno più freni inibitori e si permettono, sovente nell'anonimato, di esprimere il peggio di sé; inoltre, anche quando capita loro di trovarsi di fronte a persone in carne ed ossa, non sanno più controllarsi.
Certamente a determinare questo clima intervengono più cause. Ho condiviso in larga misura quanto ha scritto su “Rinascita popolare” Francesco Provinciali in Alle radici della violenza. Ritengo tuttavia molto importanti le osservazioni di Diamond.
In primo luogo ci costringono a rivedere quei discorsi tesi ad imputare, come uniche responsabili del clima di odio, determinate forze politiche, sempre individuate nei propri avversari. Un atteggiamento che finisce per essere una delle cause che alimenta proprio quel denunciato clima negativo. Affermazioni più volte sentite, come “odiamo gli odiatori”, sono benzina sul fuoco.
In secondo luogo, ci inducono ad interrogarci sul dove stia andando la nostra società sotto la spinta delle innovazioni tecnologiche. Ho sentito più volte Domenico De Masi, un noto sociologo molto presente nei dibattiti televisivi, esaltare il lavoro a distanza, che, a suo dire, dovrebbe diventare la regola in tutti gli ambiti in cui non sia indispensabile lavorare fuori casa, come nell'edilizia, nell'agricoltura, o nelle attività ospedaliere. Ebbene, se la lontananza fisica tra le persone mette in crisi la vita relazionale, aggravando i fattori che deprimono il capitale sociale, bisognerà tenerne conto e non limitare il discorso ai vantaggi economici che una tale scelta comporta. Ragionamento analogo può essere fatto riguardo al diffondersi del commercio on-line, che mette in soffitta i rapporti fisici fra compratore e venditore. Il discorso può continuare con l'insegnamento a distanza, e il ricorso alla didattica digitale che, avvalendosi di macchine e computer, riduce i contatti veri tra discenti e docenti, e altrettanto riguardo all'impiego crescente dei robot anche nei servizi alle persone, che ulteriormente riduce quei contatti tra esseri viventi necessari al vivere sociale.
Si dirà che tali innovazioni, lasciando alle persone più tempo libero, consentiranno di realizzare contatti e incontri in altri ambiti. Forse... Ma sarebbe il caso di andare a vedere ciò che accade dove in materia si sono introdotte in maggior misura tali innovazioni, come negli Stati Uniti.
Caro Giuseppe Ladetto, condivido in toto la Tua analisi esauriente, compendiosa, coraggiosa. Ti ringrazio anche per la citazione!
Ma il Tuo articolo è veramente ricco di argomentazioni condivisibili, pacato e lungimirante. Esprimo le mie umili convinte congratulazioni per tanta perspicacia.
E’ triste constatare come anche il mondo cattolico non sia per nulla esente dai rischi così ben tratteggiati nell’ articolo dell’ amico Ladetto. Magari non si arriva alla violenza fisica, ma ne uccide più la lingua che la spada. La spinta alla “solitudine in senso lato” è poi un ottimo mezzo perchè chi detiene le redini di un qualunque potere possa esercitarlo senza trovare capacità di resistenza nei “sudditi”.
In Italia, la polarizzazione ed il qualunquismo che inquinano la sfera politica stanno dentro la fenomenologia così ben descita nello scritto di Beppe Ladetto e si arricchiscono di una nostra malaugurata specificità, dovuta all’intrecciarsi di due cause: la prima è il continuo succedersi di momenti elettorali, tra i quali anche quelli più marginali sono enfatizzati, perchè promossi a test delle tendenze nazionali. Siamo perciò immersi in quel ben noto clima di perenne campagna elettorale che ostacola ogni dialogo costruttivo e ogni ricerca di accettabili compromessi.
Il problema però non sta solo nella overdose di campagne elettorali ma – seconda causa – per come esse vengono condotte: storicamente c’era il ruolo fondamentale della stampa e dei partiti, che si esprimevano con le manifestazioni ufficiali e l’attivismo molecolare di attivisti e simpatizzanti, con la battaglia dei manifesti, con la serrata compulsazione delle agende telefoniche, per cercare di ragionare e convincere amici e conoscenti.
Tutto questo non c’è più, è il momento dei “nuovi media”, con il rischio di imbarbarimento ben descritto nello scritto di Ladetto; non ci sono più neppure i militanti, oggi spesso trasformati in tifosi di calcio, di cui hanno assunto l’abito psicologico e comportamentale e le cui volontà di approfondimento e levità di espressione sono note a tutti. Soprattutto non ci sono più i partiti, che pur con i loro infiniti difetti, cercavano di organizzare e presentare piattaforme ideali e politiche. Ci sono – salvo poche, lodevoli eccezioni – i leaders e gli aspiranti tali, che debbono tener caldi gli elettori, sempre in preallarme e ben carichi: così lo scontro politico tende a centrarsi sullo scontro tra loro e le loro ambizioni personali.