Conte sta governando il Paese oppure l’Italia è allo sbando? A chi questa domanda la ponesse netta, senza accettare considerazioni o sfumature necessarie e volesse una risposta secca, solo un “sì” oppure un “no”, risponderei che: sì, l’Italia non è allo sbando e Conte governa.
Dopo di che, tutte le critiche ci stanno, ma solo questa ammissione le rende costruttive. Non velenose e pregiudiziali, dirette solo a preservare il proprio pacchetto elettorale, anzi finalizzate, se appena possibile, ad abbattere il governo. E – non sembri paradossale – che Conte governi, lo direi, senza nessuna simpatia per la maggioranza giallo-rosé che guida. Lo direi quasi “ad personam”, del professore strappato alla professione ed alla cattedra ed installato (allora si sarebbe detto “a sua insaputa”) a Palazzo Chigi, più di due anni or sono.
Avrebbe potuto o potrebbe fare meglio? Sicuramente; sempre si può fare di più. Figuriamoci in una situazione del genere. Ha commesso errori? Tanti. Talvolta gravi. Qualcuno prima che ci cadesse, glielo aveva detto che stava sbagliando? O addirittura altri – magari la mitica e smagliante opposizione, per bocca del suo Capo – gli ha suggerito alternative credibili?
Gli errori che ha commesso, considerati ciascuno singolarmente, avrebbero forse potuto essere evitati tutti, uno per uno. Considerati nell’insieme degli indirizzi assunti, onestà vorrebbe che si ammetta come nessuno avrebbe potuto esserne immune, che siano stati errori di valutazione tecnica o piuttosto d’impostazione o di tempestività politica. Salvini lamenta di essere stato consultato solo cinque minuti prima che il Consiglio dei Ministri assumesse questo o quel DPCM.
Del resto, era un problema anche per Conte. Quando chiamare il Capitano: meglio il lunedì o il martedì, visto che le sue esternazioni sul virus e relativi provvedimenti hanno seguito spesso, un giorno dopo l’altro, l’andamento delle montagne russe? Meglio quando sfoggia la cravatta o quando monta la ruspa?
Conte ha sicuramente commesso l’errore di non coinvolgere a sufficienza le opposizioni. Un errore di carattere istituzionale, non solo formale e un errore di opportunità politica. Ma anche un errore tattico. L’avesse fatto, avrebbe dimostrato che Salvini e Meloni non hanno esattamente nulla di sensato o di realmente alternativo da proporre.
Caracollano, ora qua, ora là, ricamando qualche presunto distinguo da ciò che il governo decide perché hanno la folle paura che gli italiani si accorgano che il Paese ovviamente geme e arranca sotto la frusta della pandemia, eppure di costoro può fare a meno, per quanto rappresentino un elettorato cospicuo. E lo sanno perfettamente anch’essi.
La prova ? Ora che Conte propone la “cabina di regia” – in Parlamento, non a Milano, in via Bellerio – si sottraggono. E lo dicono pure: non vogliono fare da paravento alle decisioni del governo. Meglio andare all’incasso delle inevitabili smagliature, delle tensioni che inevitabilmente finiscono per far riempire le piazze, piuttosto che mettere le mani nell’ingranaggio.
La Meloni – pur con quell’aria da Pulzella de’ Roma – l’ha detto chiaro: qui nessuno fa nulla per niente. Può anche essere che lei una mano la dia, ma dev’essere chiaro che ogni cosa ha il suo prezzo e, così, la sua disponibilità vale l’impegno che si voti nel 2021. Insomma, si torna a comandare. Dove sta scritto, del resto, che, anche per le opposizioni, quando Il Paese affronta una condizione di tale difficoltà, il “bene comune” della collettività è, di per sé, premio a se stesso, senza null’altro chiedere?
Il dato politico è questo: i sovranisti, i populisti o nazionalisti che siano, sono un disco rotto, non sono in grado di cambiare passo, non hanno un linguaggio alternativo, non hanno l’elasticità necessaria a giocare in una differente zona del campo. Si potrebbe dire: il sovranismo è una posa, non una posizione. I suoi adepti recitano la loro parte, ma il copione è in bianco, non reca alcuna storia che valga la pena raccontare.
Eppure, sembra ci sia ancora chi adombra il mitico governo di “unità nazionale”, senza riflettere che governi di tal genere sono piuttosto il portato di un sentimento di convergenza che di fatto c’è già o si va consolidando per l’occasione. Non è il nostro caso. Anzi, sarebbe pericoloso traslare entro lo stesso governo quelle divaricazioni che già sono in essere tra maggioranza ed opposizione. Se, in questa forma, sono ancora gestibili, dentro lo stesso esecutivo risulterebbero esiziali.
Insomma, nessuno, salvo qualche sedicente leader appena comparso all’orizzonte e gonfio d’ambizione oppure qualche Rodomonte, vorrebbe essere oggi al posto di Conte su cui grava una enorme responsabilità politica, nel momento in cui ogni italiano è potenzialmente esposto ad un pericolo grave e, nel contempo, si devono conciliare versanti così difficilmente componibili.
Né sempre gli facilita il compito la sua maggioranza, nella quale – a parte i capricci ricorrenti del “bimbo” di Rignano – il Movimento 5 Stelle che già non brilla di particolare acume politico, rischia di scaricare sul livello istituzionale le sue tensioni interne, esattamente come succedeva talvolta con le correnti della DC, e, d’altro lato, il PD mostra le inquietudini tipiche di un partito debole, che, privo di una visione di lungo termine su cui misurare i propri passi, finisce per incespicare nella difficoltà del momento.
Eppure, il Paese sta per affrontare i mesi più duri e forse drammatici della sua vita dal secondo dopoguerra ed ha bisogno che il governo recuperi almeno la determinazione con cui ha condotto la prima fase della pandemia.
Dopo di che, tutte le critiche ci stanno, ma solo questa ammissione le rende costruttive. Non velenose e pregiudiziali, dirette solo a preservare il proprio pacchetto elettorale, anzi finalizzate, se appena possibile, ad abbattere il governo. E – non sembri paradossale – che Conte governi, lo direi, senza nessuna simpatia per la maggioranza giallo-rosé che guida. Lo direi quasi “ad personam”, del professore strappato alla professione ed alla cattedra ed installato (allora si sarebbe detto “a sua insaputa”) a Palazzo Chigi, più di due anni or sono.
Avrebbe potuto o potrebbe fare meglio? Sicuramente; sempre si può fare di più. Figuriamoci in una situazione del genere. Ha commesso errori? Tanti. Talvolta gravi. Qualcuno prima che ci cadesse, glielo aveva detto che stava sbagliando? O addirittura altri – magari la mitica e smagliante opposizione, per bocca del suo Capo – gli ha suggerito alternative credibili?
Gli errori che ha commesso, considerati ciascuno singolarmente, avrebbero forse potuto essere evitati tutti, uno per uno. Considerati nell’insieme degli indirizzi assunti, onestà vorrebbe che si ammetta come nessuno avrebbe potuto esserne immune, che siano stati errori di valutazione tecnica o piuttosto d’impostazione o di tempestività politica. Salvini lamenta di essere stato consultato solo cinque minuti prima che il Consiglio dei Ministri assumesse questo o quel DPCM.
Del resto, era un problema anche per Conte. Quando chiamare il Capitano: meglio il lunedì o il martedì, visto che le sue esternazioni sul virus e relativi provvedimenti hanno seguito spesso, un giorno dopo l’altro, l’andamento delle montagne russe? Meglio quando sfoggia la cravatta o quando monta la ruspa?
Conte ha sicuramente commesso l’errore di non coinvolgere a sufficienza le opposizioni. Un errore di carattere istituzionale, non solo formale e un errore di opportunità politica. Ma anche un errore tattico. L’avesse fatto, avrebbe dimostrato che Salvini e Meloni non hanno esattamente nulla di sensato o di realmente alternativo da proporre.
Caracollano, ora qua, ora là, ricamando qualche presunto distinguo da ciò che il governo decide perché hanno la folle paura che gli italiani si accorgano che il Paese ovviamente geme e arranca sotto la frusta della pandemia, eppure di costoro può fare a meno, per quanto rappresentino un elettorato cospicuo. E lo sanno perfettamente anch’essi.
La prova ? Ora che Conte propone la “cabina di regia” – in Parlamento, non a Milano, in via Bellerio – si sottraggono. E lo dicono pure: non vogliono fare da paravento alle decisioni del governo. Meglio andare all’incasso delle inevitabili smagliature, delle tensioni che inevitabilmente finiscono per far riempire le piazze, piuttosto che mettere le mani nell’ingranaggio.
La Meloni – pur con quell’aria da Pulzella de’ Roma – l’ha detto chiaro: qui nessuno fa nulla per niente. Può anche essere che lei una mano la dia, ma dev’essere chiaro che ogni cosa ha il suo prezzo e, così, la sua disponibilità vale l’impegno che si voti nel 2021. Insomma, si torna a comandare. Dove sta scritto, del resto, che, anche per le opposizioni, quando Il Paese affronta una condizione di tale difficoltà, il “bene comune” della collettività è, di per sé, premio a se stesso, senza null’altro chiedere?
Il dato politico è questo: i sovranisti, i populisti o nazionalisti che siano, sono un disco rotto, non sono in grado di cambiare passo, non hanno un linguaggio alternativo, non hanno l’elasticità necessaria a giocare in una differente zona del campo. Si potrebbe dire: il sovranismo è una posa, non una posizione. I suoi adepti recitano la loro parte, ma il copione è in bianco, non reca alcuna storia che valga la pena raccontare.
Eppure, sembra ci sia ancora chi adombra il mitico governo di “unità nazionale”, senza riflettere che governi di tal genere sono piuttosto il portato di un sentimento di convergenza che di fatto c’è già o si va consolidando per l’occasione. Non è il nostro caso. Anzi, sarebbe pericoloso traslare entro lo stesso governo quelle divaricazioni che già sono in essere tra maggioranza ed opposizione. Se, in questa forma, sono ancora gestibili, dentro lo stesso esecutivo risulterebbero esiziali.
Insomma, nessuno, salvo qualche sedicente leader appena comparso all’orizzonte e gonfio d’ambizione oppure qualche Rodomonte, vorrebbe essere oggi al posto di Conte su cui grava una enorme responsabilità politica, nel momento in cui ogni italiano è potenzialmente esposto ad un pericolo grave e, nel contempo, si devono conciliare versanti così difficilmente componibili.
Né sempre gli facilita il compito la sua maggioranza, nella quale – a parte i capricci ricorrenti del “bimbo” di Rignano – il Movimento 5 Stelle che già non brilla di particolare acume politico, rischia di scaricare sul livello istituzionale le sue tensioni interne, esattamente come succedeva talvolta con le correnti della DC, e, d’altro lato, il PD mostra le inquietudini tipiche di un partito debole, che, privo di una visione di lungo termine su cui misurare i propri passi, finisce per incespicare nella difficoltà del momento.
Eppure, il Paese sta per affrontare i mesi più duri e forse drammatici della sua vita dal secondo dopoguerra ed ha bisogno che il governo recuperi almeno la determinazione con cui ha condotto la prima fase della pandemia.
Analisi magnifica.
Parole sagge, le sottoscrivo. A fortiori mi chiedo e vi chiedo: fronte di una destra tanto irresponsabile ed elettoralmente estesa, che puntualmente si presenta unita al voto e che tutte le rilevazioni danno vincente, è il caso di indulgere a un terzismo centrista, di concorrere alla frammentazione dello schieramento alternativo, il solo che possa concretamente competere? Un fronte largo, plurale, inclusivo e tuttavia unitario come fu il vecchio Ulivo. Che è cosa diversa dalla velleitaria, dissennata accelerazione verso il bipartitismo operata prima da Veltroni e poi da Renzi. Del resto, domando: se centro significa etica della responsabilità e cultura di governo PD e centrosinistra (escluso Renzi-Ghino di Tacco) vi sembrano espressione di una sinistra estremista?
Analisi del tutto condivisibile. Aggiungo un pensiero a riguardo del PD. L’ appoggio del PD al governo sembra nei toni più di tipo formale (perchè non se ne può fare a meno) che sostanziale (il classico sì a mezza bocca). Non dico che si debbano far squillare le trombe, ma sottolineature più decise ed anche critiche puntuali (quando necessarie) farebbero bene sia al governo che al partito. Inoltre sarebbe auspicabile una critica anche meno decisa nei toni, ma più precisa nella sostanza alle sparate dell’ opposizione, evidenziando ciascuna delle loro continue contraddizioni e soccorrendo la smemoratezza del popolo italiano.