In una lettera al cardinale Parolin per i 50 anni di collaborazione tra Santa Sede e istituzioni europee, Francesco ripercorre la storia e i valori del continente, auspicando una svolta di fraternità in un periodo di grandi incertezze e rischi di derive individualistiche. Non serve guardare “all’album dei ricordi” ma al futuro che si può “offrire al mondo”
Quattro sogni – perché secoli di civiltà non hanno esaurito la loro spinta propulsiva – sorretti da un’unica sostanziale convinzione: non può esserci autentica Europa senza i pilastri sui quali venne progettata fin dalla prima intuizione e cioè uno spazio di popoli uniti dalla solidarietà, dopo essere stati uno scacchiere tragico di guerra e muri. Quella che Francesco indirizza al cardinale Pietro Parolin è una sorta di lettera aperta al Vecchio continente, nella quale la sua visione – ideale e insieme ancorata al realismo dell’era del virus – si innesta sui sogni di due predecessori diversamente illustri, Robert Schuman, uno dei padri fondatori dell’Europa, e San Giovanni Paolo II, che ne difese strenuamente le radici cristiane.
Il bivio: divisioni o fraternità
L’occasione che ispira a Francesco la sua lunga lettera è un intreccio di anniversari e di relativi appuntamenti celebrativi che vedranno impegnato il segretario di Stato, dai 50 anni di collaborazione tra Santa Sede e istituzioni europee, ai 40 dalla nascita della Comece, la Commissione degli Episcopati delle Comunità Europee. Due ricorrenze inserite nella più ampia cornice dei 70 anni dalla Dichiarazione Schuman, con la quale l’Europa voltava le spalle alle divisioni della guerra. E sono proprio le divisioni oggi possibili, in un frangente storico che chiede invece compattezza, a spingere il Papa a ripetere un concetto molto sentito. “La pandemia – scrive – costituisce come uno spartiacque che costringe ad operare una scelta: o si procede sulla via intrapresa nell’ultimo decennio, animata dalla tentazione all’autonomia, andando incontro a crescenti incomprensioni, contrapposizioni e conflitti; oppure si riscopre quella “strada della fraternità”.
“Europa ritrova te stessa”
Proprio la crisi del Covid, osserva Francesco, “ha posto in evidenza tutto questo: la tentazione di fare da sé, cercando soluzioni unilaterali ad un problema che travalica i confini degli Stati”, mentre sin dalle origini l’Europa postbellica “nasce dalla consapevolezza che insieme ed uniti si è più forti, che – come affermato nell’Evangelii gaudium – ‘l’unità è superiore al conflitto’ e che la solidarietà può essere ‘uno stile di costruzione della storia’”. Nel cuore di Francesco risuona l’eco di quanto Giovanni Paolo II esclamò il 9 novembre 1982 da Santiago de Compostela, alla fine del suo pellegrinaggio in Spagna.
Radici profonde
Quel celebre “Europa ritrova te stessa, sii te stessa” viene reinterpretato da Francesco con analoga energia e allora, scrive, all’Europa “vorrei dire: tu, che sei stata nei secoli fucina di ideali e ora sembri perdere il tuo slancio, non fermarti a guardare al tuo passato come ad un album dei ricordi”, giacché “nel tempo, anche le memorie più belle si sbiadiscono e si finisce per non ricordare più”. Ritrovare se stessa equivale, asserisce, a ritrovare gli “ideali che hanno radici profonde”. Vuol dire, per il Papa, “non avere paura” della propria “storia millenaria che è una finestra sul futuro più che sul passato”. E dunque non temere il “bisogno di verità” stimolato dagli interrogativi del pensiero greco antico, il “bisogno di giustizia” sviluppato dal diritto romano, il “bisogno di eternità, arricchito dall’incontro con la tradizione giudeo-cristiana”.
Europa, una famiglia
Da questi valori Francesco fa scaturire le sue quattro visioni. “Sogno allora – sottolinea per prima – un’Europa amica della persona e delle persone. Una terra in cui la dignità di ognuno sia rispettata, in cui la persona sia un valore in sé e non l’oggetto di un calcolo economico o un bene di commercio”. Un’Europa con questa sensibilità è quindi, per il Papa, una terra che “tutela la vita”, il lavoro, l’istruzione, la cultura, che sa proteggere “chi è più fragile e debole, specialmente gli anziani, i malati che necessitano cure costose e i disabili”. E per naturale conseguenza in certo modo questa prima visione porta alla seconda, che fa dire a Francesco: “Sogno un’Europa che sia una famiglia e una comunità”, in altre parole una “famiglia di popoli” capace di “vivere in unità, facendo tesoro delle differenze, a partire da quella fondamentale tra uomo e donna”. E qui Francesco sintetizza il sogno parlando di “Europa comunità”, solidale e fraterna, l’opposto di una terra scomposta in “realtà solitarie ed indipendenti”, che facilmente si troverà “incapace di affrontare le sfide del futuro”.
Europa che apre sguardo e porte
Il terzo sogno del Papa è quello di “un’Europa solidale e generosa”, un “luogo accogliente ed ospitale, in cui la carità – che è somma virtù cristiana – vinca ogni forma di indifferenza ed egoismo”. E dal momento che, nota, “essere solidali implica farsi prossimi”, questo “per l’Europa significa particolarmente rendersi disponibile, vicina e volenterosa nel sostenere, attraverso la cooperazione internazionale, gli altri continenti, penso – dice il Papa – specialmente all’Africa”, aiutata a ricomporre i tanti conflitti che la dilaniano. E sollecita anche verso i migranti, non solo assistiti nei bisogni immediati ma accompagnati lungo la strada dell’integrazione. Insomma, insiste Francesco, “un’Europa che sia ‘comunità solidale’”, la sola in grado di “fare fronte a questa sfida in modo proficuo, mentre – evidenzia – ogni soluzione parziale ha già dimostrato la propria inadeguatezza”.
Oltre confessionalismi e laicismo
E poi il quarto sogno, che il Papa esprime così: “Un’Europa sanamente laica, in cui Dio e Cesare siano distinti ma non contrapposti”. Il che per Francesco vuol dire una terra “aperta alla trascendenza, in cui chi è credente sia libero di professare pubblicamente la fede e di proporre il proprio punto di vista nella società”. Un’Europa per la quale, il Papa riconosce che “sono finiti i tempi dei confessionalismi, ma si spera – è il suo augurio – anche quello di un certo laicismo che chiude le porte verso gli altri e soprattutto verso Dio, poiché è evidente che una cultura o un sistema politico che non rispetti l’apertura alla trascendenza, non rispetta adeguatamente la persona umana”.
Un futuro da scrivere
Le ultime considerazioni sono per la “grande responsabilità” dei cristiani nell’animare il cambiamento in tutti gli ambiti “in cui vivono e operano” e per l’affidamento della “cara Europa” ai suoi santi patroni, Benedetto, Cirillo e Metodio, Brigida, Caterina, Teresa Benedetta della Croce. Nella “certezza – che Francesco coltiva – che l’Europa abbia ancora molto da donare al mondo”.
(Tratto da www.vaticannews.va)
Quattro sogni – perché secoli di civiltà non hanno esaurito la loro spinta propulsiva – sorretti da un’unica sostanziale convinzione: non può esserci autentica Europa senza i pilastri sui quali venne progettata fin dalla prima intuizione e cioè uno spazio di popoli uniti dalla solidarietà, dopo essere stati uno scacchiere tragico di guerra e muri. Quella che Francesco indirizza al cardinale Pietro Parolin è una sorta di lettera aperta al Vecchio continente, nella quale la sua visione – ideale e insieme ancorata al realismo dell’era del virus – si innesta sui sogni di due predecessori diversamente illustri, Robert Schuman, uno dei padri fondatori dell’Europa, e San Giovanni Paolo II, che ne difese strenuamente le radici cristiane.
Il bivio: divisioni o fraternità
L’occasione che ispira a Francesco la sua lunga lettera è un intreccio di anniversari e di relativi appuntamenti celebrativi che vedranno impegnato il segretario di Stato, dai 50 anni di collaborazione tra Santa Sede e istituzioni europee, ai 40 dalla nascita della Comece, la Commissione degli Episcopati delle Comunità Europee. Due ricorrenze inserite nella più ampia cornice dei 70 anni dalla Dichiarazione Schuman, con la quale l’Europa voltava le spalle alle divisioni della guerra. E sono proprio le divisioni oggi possibili, in un frangente storico che chiede invece compattezza, a spingere il Papa a ripetere un concetto molto sentito. “La pandemia – scrive – costituisce come uno spartiacque che costringe ad operare una scelta: o si procede sulla via intrapresa nell’ultimo decennio, animata dalla tentazione all’autonomia, andando incontro a crescenti incomprensioni, contrapposizioni e conflitti; oppure si riscopre quella “strada della fraternità”.
“Europa ritrova te stessa”
Proprio la crisi del Covid, osserva Francesco, “ha posto in evidenza tutto questo: la tentazione di fare da sé, cercando soluzioni unilaterali ad un problema che travalica i confini degli Stati”, mentre sin dalle origini l’Europa postbellica “nasce dalla consapevolezza che insieme ed uniti si è più forti, che – come affermato nell’Evangelii gaudium – ‘l’unità è superiore al conflitto’ e che la solidarietà può essere ‘uno stile di costruzione della storia’”. Nel cuore di Francesco risuona l’eco di quanto Giovanni Paolo II esclamò il 9 novembre 1982 da Santiago de Compostela, alla fine del suo pellegrinaggio in Spagna.
Radici profonde
Quel celebre “Europa ritrova te stessa, sii te stessa” viene reinterpretato da Francesco con analoga energia e allora, scrive, all’Europa “vorrei dire: tu, che sei stata nei secoli fucina di ideali e ora sembri perdere il tuo slancio, non fermarti a guardare al tuo passato come ad un album dei ricordi”, giacché “nel tempo, anche le memorie più belle si sbiadiscono e si finisce per non ricordare più”. Ritrovare se stessa equivale, asserisce, a ritrovare gli “ideali che hanno radici profonde”. Vuol dire, per il Papa, “non avere paura” della propria “storia millenaria che è una finestra sul futuro più che sul passato”. E dunque non temere il “bisogno di verità” stimolato dagli interrogativi del pensiero greco antico, il “bisogno di giustizia” sviluppato dal diritto romano, il “bisogno di eternità, arricchito dall’incontro con la tradizione giudeo-cristiana”.
Europa, una famiglia
Da questi valori Francesco fa scaturire le sue quattro visioni. “Sogno allora – sottolinea per prima – un’Europa amica della persona e delle persone. Una terra in cui la dignità di ognuno sia rispettata, in cui la persona sia un valore in sé e non l’oggetto di un calcolo economico o un bene di commercio”. Un’Europa con questa sensibilità è quindi, per il Papa, una terra che “tutela la vita”, il lavoro, l’istruzione, la cultura, che sa proteggere “chi è più fragile e debole, specialmente gli anziani, i malati che necessitano cure costose e i disabili”. E per naturale conseguenza in certo modo questa prima visione porta alla seconda, che fa dire a Francesco: “Sogno un’Europa che sia una famiglia e una comunità”, in altre parole una “famiglia di popoli” capace di “vivere in unità, facendo tesoro delle differenze, a partire da quella fondamentale tra uomo e donna”. E qui Francesco sintetizza il sogno parlando di “Europa comunità”, solidale e fraterna, l’opposto di una terra scomposta in “realtà solitarie ed indipendenti”, che facilmente si troverà “incapace di affrontare le sfide del futuro”.
Europa che apre sguardo e porte
Il terzo sogno del Papa è quello di “un’Europa solidale e generosa”, un “luogo accogliente ed ospitale, in cui la carità – che è somma virtù cristiana – vinca ogni forma di indifferenza ed egoismo”. E dal momento che, nota, “essere solidali implica farsi prossimi”, questo “per l’Europa significa particolarmente rendersi disponibile, vicina e volenterosa nel sostenere, attraverso la cooperazione internazionale, gli altri continenti, penso – dice il Papa – specialmente all’Africa”, aiutata a ricomporre i tanti conflitti che la dilaniano. E sollecita anche verso i migranti, non solo assistiti nei bisogni immediati ma accompagnati lungo la strada dell’integrazione. Insomma, insiste Francesco, “un’Europa che sia ‘comunità solidale’”, la sola in grado di “fare fronte a questa sfida in modo proficuo, mentre – evidenzia – ogni soluzione parziale ha già dimostrato la propria inadeguatezza”.
Oltre confessionalismi e laicismo
E poi il quarto sogno, che il Papa esprime così: “Un’Europa sanamente laica, in cui Dio e Cesare siano distinti ma non contrapposti”. Il che per Francesco vuol dire una terra “aperta alla trascendenza, in cui chi è credente sia libero di professare pubblicamente la fede e di proporre il proprio punto di vista nella società”. Un’Europa per la quale, il Papa riconosce che “sono finiti i tempi dei confessionalismi, ma si spera – è il suo augurio – anche quello di un certo laicismo che chiude le porte verso gli altri e soprattutto verso Dio, poiché è evidente che una cultura o un sistema politico che non rispetti l’apertura alla trascendenza, non rispetta adeguatamente la persona umana”.
Un futuro da scrivere
Le ultime considerazioni sono per la “grande responsabilità” dei cristiani nell’animare il cambiamento in tutti gli ambiti “in cui vivono e operano” e per l’affidamento della “cara Europa” ai suoi santi patroni, Benedetto, Cirillo e Metodio, Brigida, Caterina, Teresa Benedetta della Croce. Nella “certezza – che Francesco coltiva – che l’Europa abbia ancora molto da donare al mondo”.
(Tratto da www.vaticannews.va)
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