Dunque, il dio primarie è ritornato di prepotenza nel dibattito politico del PD e del centrosinistra in vista delle elezioni amministrative della prossima primavera. Salvo sospensione, riconducibile alla emergenza sanitaria nazionale e internazionale che stiamo purtroppo vivendo. Era da tempo, infatti, che questo dogma del PD non veniva più rispolverato dopo essere stato, e per molti anni, considerato come l’elemento fondante della stessa avventura politica e organizzativa del Partito Democratico.
Erano andate un po’ fuori moda dopo le degenerazioni e le cadute di stile che le avevano accompagnate: dai numeri dubbi della partecipazione alle ormai famose “truppe cammellate”; dalle denunce dei vari candidati alla eccessiva radicalizzazione politica del confronto; dal potenziale voto di scambio alle crescenti perplessità sulla partecipazione ai seggi di alcuni gruppi della tanto decantata società civile. Insomma, una esperienza concreta che ha sconsigliato, almeno per un po’ di tempo, di continuare ad attribuire al dogma delle primarie il potere salvifico, e miracolistico, di sciogliere automaticamente il nodo della selezione della classe dirigente.
Ora, però, sono misteriosamente e paradossalmente ritornate di moda. E oltretutto in un contesto drammatico dove, com’è noto a quasi tutti gli italiani, sono vietate qualsiasi forma di assembramento. E quindi, forse, anche le fila - più o meno interessate - di fronte ai gazebo del PD. Ma il dio primarie, comunque sia, è nuovamente in campo.
Ora, al netto della bontà di questo strumento burocratico/protocollare che per alcuni anni è stato effettivamente la panacea di tutti i mali, è indubbio che almeno su due elementi non si può non fare una seria riflessione.
Innanzitutto il capitolo della selezione della classe dirigente politico ed amministrativa. Quando i partiti erano ancora tali e non semplici cartelli elettorali o banali partiti del capo o del guru, si assumevano la responsabilità di decidere. Cioè, detto in termini molto semplici, di selezionare la classe dirigente politica e amministrativa. Certo, erano necessari, ieri come oggi, decisione, coraggio, scelta e soprattutto autorevolezza dei gruppi dirigenti dei partiti. Erano altri tempi, come ovvio, ma la posta in gioco era sempre quella. Ma la soluzione pilatesca e rassegnata delle primarie certamente scarica le responsabilità dei gruppi dirigenti dei partiti ma non risolve la soluzione della credibilità e della autorevolezza dei partiti. E, nello specifico, è mai possibile che grandi città come Roma, o Torino o Napoli debbano ancora una volta e soprattutto in questo contesto, affidare la scelta finale della scelta dei candidati a Sindaco alle sempreverdi primarie?
Non è neanche lontanamente pensabile che ci possa essere un sussulto di dignità e di assunzione di responsabilità da parte dei gruppi dirigenti dei partiti? La domanda, credo, non è affatto peregrina e merita, di conseguenza, di avere una risposta adeguata e altrettanto pertinente.
In secondo luogo, se lo strumento burocratico delle primarie è stato indubbiamente, agli inizi, una utile modalità di partecipazione politica vera e democratica per scegliere i propri leader - anche se il più delle volte erano semplici investiture già decise a tavolino prima della deriva clientelare e burrascosa degli ultimi anni - è altrettanto vero che quando si tratta di scegliere i futuri candidati a Sindaco di grandi città come Roma e Torino dopo anni di non governo o di cattivo governo dei 5 Stelle, la questione meriterebbe maggior attenzione e, soprattutto, maggiori responsabilità di chi si pone come concreta alternativa di cambiamento e di buon governo per quei territori.
Sarebbe un atteggiamento alquanto remissivo e rassegnato quello di affidare, ancora una volta, la soluzione del problema alla scappatoia delle primarie. Se è vero, com’è vero, che la sfiducia nei confronti dei partiti è molto alta e se, come ovvio, la politica continua a suscitare non particolari emozioni nella pubblica opinione, forse è anche arrivato il momento per invertire la rotta e per intraprendere una strada che responsabilizzi maggiormente i partiti affinché decidano democraticamente all’interno dei partiti stessi. Fuorché la prospettiva non sia quella di gestire in modo solitario il partito da un lato e, dall’altro, di affidare fideisticamente al dio primarie la scelta tra i vari contendenti per le più svariate elezioni. A cominciare anche e soprattutto dagli organi monocratici come le elezioni dei Sindaci nelle varie città.
Ecco perché, forse, il tema della opportunità o meno dell’uso delle primarie adesso deve rientrare nell’agenda della politica. Nello specifico, nell’agenda del PD e di altri settori del campo del centro sinistra. Non perché dobbiamo ripudiare le primarie ma, al contrario, per verificare se i partiti sono ancora soggetti politici che si assumono precise responsabilità politiche o se, al contrario, si riducono ad essere semplici cartelli che appaltano ad altri le scelte strategiche. A partire dalle candidature dei Sindaci nelle grandi città che andranno al voto la prossima primavera.
Erano andate un po’ fuori moda dopo le degenerazioni e le cadute di stile che le avevano accompagnate: dai numeri dubbi della partecipazione alle ormai famose “truppe cammellate”; dalle denunce dei vari candidati alla eccessiva radicalizzazione politica del confronto; dal potenziale voto di scambio alle crescenti perplessità sulla partecipazione ai seggi di alcuni gruppi della tanto decantata società civile. Insomma, una esperienza concreta che ha sconsigliato, almeno per un po’ di tempo, di continuare ad attribuire al dogma delle primarie il potere salvifico, e miracolistico, di sciogliere automaticamente il nodo della selezione della classe dirigente.
Ora, però, sono misteriosamente e paradossalmente ritornate di moda. E oltretutto in un contesto drammatico dove, com’è noto a quasi tutti gli italiani, sono vietate qualsiasi forma di assembramento. E quindi, forse, anche le fila - più o meno interessate - di fronte ai gazebo del PD. Ma il dio primarie, comunque sia, è nuovamente in campo.
Ora, al netto della bontà di questo strumento burocratico/protocollare che per alcuni anni è stato effettivamente la panacea di tutti i mali, è indubbio che almeno su due elementi non si può non fare una seria riflessione.
Innanzitutto il capitolo della selezione della classe dirigente politico ed amministrativa. Quando i partiti erano ancora tali e non semplici cartelli elettorali o banali partiti del capo o del guru, si assumevano la responsabilità di decidere. Cioè, detto in termini molto semplici, di selezionare la classe dirigente politica e amministrativa. Certo, erano necessari, ieri come oggi, decisione, coraggio, scelta e soprattutto autorevolezza dei gruppi dirigenti dei partiti. Erano altri tempi, come ovvio, ma la posta in gioco era sempre quella. Ma la soluzione pilatesca e rassegnata delle primarie certamente scarica le responsabilità dei gruppi dirigenti dei partiti ma non risolve la soluzione della credibilità e della autorevolezza dei partiti. E, nello specifico, è mai possibile che grandi città come Roma, o Torino o Napoli debbano ancora una volta e soprattutto in questo contesto, affidare la scelta finale della scelta dei candidati a Sindaco alle sempreverdi primarie?
Non è neanche lontanamente pensabile che ci possa essere un sussulto di dignità e di assunzione di responsabilità da parte dei gruppi dirigenti dei partiti? La domanda, credo, non è affatto peregrina e merita, di conseguenza, di avere una risposta adeguata e altrettanto pertinente.
In secondo luogo, se lo strumento burocratico delle primarie è stato indubbiamente, agli inizi, una utile modalità di partecipazione politica vera e democratica per scegliere i propri leader - anche se il più delle volte erano semplici investiture già decise a tavolino prima della deriva clientelare e burrascosa degli ultimi anni - è altrettanto vero che quando si tratta di scegliere i futuri candidati a Sindaco di grandi città come Roma e Torino dopo anni di non governo o di cattivo governo dei 5 Stelle, la questione meriterebbe maggior attenzione e, soprattutto, maggiori responsabilità di chi si pone come concreta alternativa di cambiamento e di buon governo per quei territori.
Sarebbe un atteggiamento alquanto remissivo e rassegnato quello di affidare, ancora una volta, la soluzione del problema alla scappatoia delle primarie. Se è vero, com’è vero, che la sfiducia nei confronti dei partiti è molto alta e se, come ovvio, la politica continua a suscitare non particolari emozioni nella pubblica opinione, forse è anche arrivato il momento per invertire la rotta e per intraprendere una strada che responsabilizzi maggiormente i partiti affinché decidano democraticamente all’interno dei partiti stessi. Fuorché la prospettiva non sia quella di gestire in modo solitario il partito da un lato e, dall’altro, di affidare fideisticamente al dio primarie la scelta tra i vari contendenti per le più svariate elezioni. A cominciare anche e soprattutto dagli organi monocratici come le elezioni dei Sindaci nelle varie città.
Ecco perché, forse, il tema della opportunità o meno dell’uso delle primarie adesso deve rientrare nell’agenda della politica. Nello specifico, nell’agenda del PD e di altri settori del campo del centro sinistra. Non perché dobbiamo ripudiare le primarie ma, al contrario, per verificare se i partiti sono ancora soggetti politici che si assumono precise responsabilità politiche o se, al contrario, si riducono ad essere semplici cartelli che appaltano ad altri le scelte strategiche. A partire dalle candidature dei Sindaci nelle grandi città che andranno al voto la prossima primavera.
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