Migranti, i limiti dei “porti socchiusi”



Angelo Moretti    18 Ottobre 2020       0

Caro direttore,

una legge si guarda non solo per ciò che è scritto nella sua lettera, ma anche per ciò che ‘esprime’ attraverso lo spirito che ha mosso il Legislatore. La cronaca più spicciola delle modifiche ai cosiddetti Decreti Sicurezza si racchiude in un anti-slogan: non si dovrà più parlare di porti chiusi né porti aperti, l’unica sintesi valoriale sembra essere quella di un’apertura prudente, i porti restano socchiusi ai migranti. La norma che maggiormente rappresenta plasticamente questo atteggiamento ‘né di totale apertura né di chiusura’ è la previsione che riduce le multe alle ONG, trasformandole da maximulte a multe sostanziose, decisamente più piccole ma sempre multe, sottoposte a un procedimento penale e non semplicemente irrogate dal Prefetto.

Con quale spirito questa norma verrà applicata se, ad esempio, una ONG dovesse soccorrere dei naufraghi in acque libiche e riterrà di non doversi coordinare con lo Stato di bandiera quando i naufraghi preferiranno buttarsi in acqua rischiando di morire pur di non essere portati indietro e rivivere gli «indicibili orrori» (secondo la definizione del dossier ONU sulla detenzione in Libia)? Forse al testo di modifica dei Decreti Salvini manca un pezzetto di coraggio per affermare che quando una nave di una ONG salva vite nelle acque territoriali di una nazione, le cui condizioni umanitarie vietano l’espulsione dall’Italia verso quella stessa nazione, quella nave ha fatto la cosa giusta.

E ancora: questo spirito di prudenza come informerà le Commissioni territoriali che dovranno decidere sulle sorti delle tante donne e dei tanti uomini che verranno a chiedere asilo nei prossimi anni? Durante l’epopea salvinista era chiaro a tutti che l’ordine di scuderia impartito alle Commissioni territoriali fosse quello di improntare il lavoro di accertamento alla durezza e alla ricerca minuziosa dei dettagli: un migrante passava il suo esame di richiedente asilo o di protezione per casi speciali solo se riusciva (e riesce tuttora) a giustificare con prove veramente corroboranti il proprio stato di disagio vissuto nel Paese di provenienza. Molti migranti hanno avuto difficoltà a spiegare che le proprie cicatrici erano l’esito di una tortura in Libia, altri, d’altro canto, erano stati bene istruiti a superare gli ostacoli del riconoscimento della protezione calcando artatamente la mano su condizioni di provenienza dipinte a tinte più fosche del reale, non dovendo apparire in alcun modo alla Commissione quali «migranti economici ».

Ora cosa avverrà nello spirito dei porti socchiusi, atteso che il decreto delle regolarizzazioni ha funzionato molto poco, se non per le badanti, e che i decreti flussi non sono più adeguati alla situazione internazionale? Bisogna cambiare finalmente paradigma e orientare le Commissioni territoriali incaricate del rilascio della nuova protezione speciale prevista dalla legge allo spirito di una vera Next Generation: valutare il rilascio della protezione in base al racconto futuro di una persona piuttosto che al solo racconto del suo passato. Invece di costruire gabbie giuridiche in cui inserire le narrazioni drammatiche di chi fugge da sventure per giustificare la permanenza di nuove persone tra di noi, è venuto il momento che le Commissioni si facciano raccontare dai migranti i loro progetti di vita, i loro desideri, i sogni che le hanno spinte a migrare, i talenti che intendono spendere e come.

Il Sistema di accoglienza diffusa e di integrazione (SAI) predisposto dalla titolare dell’Interno, il ministro Luciana Lamorgese, non può prescindere da questo dato di partenza da cui ha origine l’intero sistema e portare repentinamente i temi dell’accoglienza e dell’integrazione fuori dalla logica dei vecchi decreti, per approdare finalmente nelle politiche di welfare e di sviluppo. Di fronte a un saldo naturale drammatico tra nascite e morti che pone l’Italia agli ultimi posti nel mondo è il momento di chiedersi se l’apertura alla vita di cui il nostro Paese ha urgentemente bisogno non passi anche da qui, da una nuova e ben regolata apertura al mondo. Uscire dalla logica securitaria che confonde il tema dell’accoglienza e l’integrazione con il tema della criminalità e fare un passaggio epocale da potenza accogliente del Mediterraneo.

Next Generation Eu avrà la portata di quattro Piani Marshall ma su quali italiani potrà contare se nel 2050 secondo l’ONU i bambini saranno solo il 2,8 % della popolazione? In quella fessura lasciata aperta dalle attuali riforme dei cosiddetti Decreti Sicurezza dovremmo far entrare tutta l’ultima enciclica di papa Francesco e avviare un profondo cambiamento di paradigma, unendo nei fatti le politiche per la famiglia alle politiche migratorie per un’unica narrazione del futuro di un Paese che investe su se stesso, sulla sua capacità di essere attrattivo per la vita, di tutte e di tutti.

(Tratto da www.avvenire.it)


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