E siamo di nuovo di fronte all’ennesima riforma della legge elettorale. Puntuale come l’arrivo di una stagione meteorologica, la maggioranza di turno che governa il Paese mette mano alla legge elettorale. Che, come tutti sanno, è sempre la “madre” di tutte le riforme.
Perché con la legge elettorale nascono e muoiono i partiti, tramontano e decollano le coalizioni e, soprattutto, si promuovono o si abbattono nuove leadership. Certo, dopo il risultato, peraltro scontatissimo, del referendum sul taglio dei parlamentari, era del tutto ovvio, nonché necessario, mettere mano alla nuova legge elettorale. Che, di norma, viene sempre elaborata e pensata dalla maggioranza di governo per penalizzare chi in quel particolare momento politico è all’opposizione. Almeno dopo la fine della Prima Repubblica.
Una operazione che, paradossalmente, in questi ultimi anni si è sempre rivelata un boomerang perché ha sempre curiosamente favorito chi si voleva sconfiggere attraverso gli escamotage legislativi e regolamentari. Vedremo questa volta.
Comunque sia, e al di là delle furbizie che aleggiano sempre attorno alla riforma delle leggi elettorali, non possiamo non richiamare un aspetto che in questa stagione politica assume una valenza cruciale. Mi riferisco, nello specifico, a come saranno eletti i futuri senatori e deputati. Perché in discussione, come quasi tutti sanno, non c’è solo la garanzia della governabilità e della stabilità dei governi – elementi impossibili da raggiungere visto e considerato che il trasformismo è ormai diventato la cifra distintiva nel rapporto concreto tra i partiti e nei partiti – ma come vengono scelti i futuri legislatori. E qui il nodo da sciogliere non è particolarmente complicato. Anzi, è semplicissimo. Si tratta di capire se i partiti, in particolare quelli di maggior consistenza elettorale ma comunque tutti i partiti, intendono appaltare la scelta dei deputati e dei senatori ai cittadini/elettori o se, al contrario, li nominano loro. La disputa, al di là di tante chiacchiere è tutta qui.
Certo, con meno deputati e senatori e, soprattutto, con partiti personali, o del capo o del guru, è oggettivamente difficile, se non praticamente impossibile, pensare che i legislatori vengano scelti liberamente dai cittadini. Preferenza singola, preferenza di genere, preferenze multiple o collegi uninominali sono palliativi che vengono gettati in pasto periodicamente agli elettori o alla pubblica opinione per distogliere l’attenzione dal pensiero unico che, questa volta sì, accomuna tutti i partiti. Di qualsiasi estrazione e di qualunque orientamento politico e culturale. Perché sono il profilo e la natura dei partiti contemporanei che vanno in quella direzione. E cioè, gli eletti si nominano e non si scelgono. Non a caso le carriere di molti capi e capetti dei vari partiti sono nate, si sono consolidate e si sono legittimate attraverso questo metodo, cioè quello della cooptazione dall’alto, alternativo al principio della legittimazione democratica dal basso.
Su questo versante, e non su altro, si gioca la vera questione democratica nel nostro Paese. La qualità della nostra democrazia e la stessa autorevolezza delle nostre istituzioni democratiche.
Ora, ben sapendo che nella politica contemporanea - come la rete non si stanca di riproporci quotidianamente - tutto ciò che si dice in pubblico viene sistematicamente rinnegato e ribaltato nelle concrete scelte politiche dei vari partiti, si tratta questa volta di verificare, altrettanto concretamente, se saranno i cittadini/elettori a scegliersi i propri rappresentanti o se, al contrario, saranno semplicemente nominati dai capi partiti attraverso le tanto detestate “liste bloccate”. Perché se saltano le liste bloccate inesorabilmente, e di conseguenza, sono destinati anche ad entrare in crisi i partiti personali, del capo e del guru. Cioè gli attuali cartelli elettorali che hanno soppiantato e sostituito i partiti politici tradizionali. Quelli, per intenderci, che producevano ed elaboravano politica attraverso il metodo collegiale e democratico, che selezionavano la classe dirigente con percorsi precisi e definiti, che affidavano ai cittadini la scelta degli eletti, di tutti gli eletti e che, soprattutto, non si identificavano solo e soltanto con i capi di turno.
Ecco perché, attorno alla riforma della legge elettorale, questa volta entrano in gioco molti fattori. Che non si limitano, com’è ovvio e scontato, soltanto ai meccanismi tecnici e regolamentari che di norma disciplinano le leggi elettorali. No, questa volta è la qualità della democrazia ad entrare in discussione. E a nulla valgono le svariate interviste di tutti gli pseudo leader che annunciano rivoluzioni copernicane attorno al varo della prossima legge elettorale. Saranno solo e soltanto i fatti concreti, cioè la legge, a dirci se si vuole ridare la centralità al popolo o se, al contrario comanderanno ancora una volta gli oligarchi nella scelta della classe dirigente parlamentare.
Perché con la legge elettorale nascono e muoiono i partiti, tramontano e decollano le coalizioni e, soprattutto, si promuovono o si abbattono nuove leadership. Certo, dopo il risultato, peraltro scontatissimo, del referendum sul taglio dei parlamentari, era del tutto ovvio, nonché necessario, mettere mano alla nuova legge elettorale. Che, di norma, viene sempre elaborata e pensata dalla maggioranza di governo per penalizzare chi in quel particolare momento politico è all’opposizione. Almeno dopo la fine della Prima Repubblica.
Una operazione che, paradossalmente, in questi ultimi anni si è sempre rivelata un boomerang perché ha sempre curiosamente favorito chi si voleva sconfiggere attraverso gli escamotage legislativi e regolamentari. Vedremo questa volta.
Comunque sia, e al di là delle furbizie che aleggiano sempre attorno alla riforma delle leggi elettorali, non possiamo non richiamare un aspetto che in questa stagione politica assume una valenza cruciale. Mi riferisco, nello specifico, a come saranno eletti i futuri senatori e deputati. Perché in discussione, come quasi tutti sanno, non c’è solo la garanzia della governabilità e della stabilità dei governi – elementi impossibili da raggiungere visto e considerato che il trasformismo è ormai diventato la cifra distintiva nel rapporto concreto tra i partiti e nei partiti – ma come vengono scelti i futuri legislatori. E qui il nodo da sciogliere non è particolarmente complicato. Anzi, è semplicissimo. Si tratta di capire se i partiti, in particolare quelli di maggior consistenza elettorale ma comunque tutti i partiti, intendono appaltare la scelta dei deputati e dei senatori ai cittadini/elettori o se, al contrario, li nominano loro. La disputa, al di là di tante chiacchiere è tutta qui.
Certo, con meno deputati e senatori e, soprattutto, con partiti personali, o del capo o del guru, è oggettivamente difficile, se non praticamente impossibile, pensare che i legislatori vengano scelti liberamente dai cittadini. Preferenza singola, preferenza di genere, preferenze multiple o collegi uninominali sono palliativi che vengono gettati in pasto periodicamente agli elettori o alla pubblica opinione per distogliere l’attenzione dal pensiero unico che, questa volta sì, accomuna tutti i partiti. Di qualsiasi estrazione e di qualunque orientamento politico e culturale. Perché sono il profilo e la natura dei partiti contemporanei che vanno in quella direzione. E cioè, gli eletti si nominano e non si scelgono. Non a caso le carriere di molti capi e capetti dei vari partiti sono nate, si sono consolidate e si sono legittimate attraverso questo metodo, cioè quello della cooptazione dall’alto, alternativo al principio della legittimazione democratica dal basso.
Su questo versante, e non su altro, si gioca la vera questione democratica nel nostro Paese. La qualità della nostra democrazia e la stessa autorevolezza delle nostre istituzioni democratiche.
Ora, ben sapendo che nella politica contemporanea - come la rete non si stanca di riproporci quotidianamente - tutto ciò che si dice in pubblico viene sistematicamente rinnegato e ribaltato nelle concrete scelte politiche dei vari partiti, si tratta questa volta di verificare, altrettanto concretamente, se saranno i cittadini/elettori a scegliersi i propri rappresentanti o se, al contrario, saranno semplicemente nominati dai capi partiti attraverso le tanto detestate “liste bloccate”. Perché se saltano le liste bloccate inesorabilmente, e di conseguenza, sono destinati anche ad entrare in crisi i partiti personali, del capo e del guru. Cioè gli attuali cartelli elettorali che hanno soppiantato e sostituito i partiti politici tradizionali. Quelli, per intenderci, che producevano ed elaboravano politica attraverso il metodo collegiale e democratico, che selezionavano la classe dirigente con percorsi precisi e definiti, che affidavano ai cittadini la scelta degli eletti, di tutti gli eletti e che, soprattutto, non si identificavano solo e soltanto con i capi di turno.
Ecco perché, attorno alla riforma della legge elettorale, questa volta entrano in gioco molti fattori. Che non si limitano, com’è ovvio e scontato, soltanto ai meccanismi tecnici e regolamentari che di norma disciplinano le leggi elettorali. No, questa volta è la qualità della democrazia ad entrare in discussione. E a nulla valgono le svariate interviste di tutti gli pseudo leader che annunciano rivoluzioni copernicane attorno al varo della prossima legge elettorale. Saranno solo e soltanto i fatti concreti, cioè la legge, a dirci se si vuole ridare la centralità al popolo o se, al contrario comanderanno ancora una volta gli oligarchi nella scelta della classe dirigente parlamentare.
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