Sono un semplice cittadino, uno che viene dalla “società civile” e ne condivide gli affanni, le tribolazioni e le speranze.
Come molti altri cittadini mi sono rassegnato a considerarmi orfano della politica: dopo la caduta del muro di Berlino, la fine delle ideologie, le vicende di tangentopoli e il passaggio alla cosiddetta “seconda repubblica” e finanche alla “terza” – ammesso che esistano davvero e non siano un mero flatus vocis – sono rimasto spiazzato e sconcertato dalla lunga deriva negativa che ci ha portato alla situazione attuale. La retorica del nulla ha spogliato la vita dei suoi antichi valori. Siamo a un tutti contro tutti, senza capo né coda, che pervade anche il tessuto sociale di egoismo, invidia, acrimonia, delazione, cattiveria, come ribadito dagli ultimi Rapporti Censis.
Recentemente ho vissuto la vicenda referendaria sul taglio dei parlamentari ma non mi sono messo tra coloro che si sono scagliati contro la scelta della maggioranza popolare: la vittoria del Sì resterà un fatto inconcludente, senza sbocchi, come lo sarebbe stata ad onor del vero quella del No, ritengo infatti che restino intatte le colpe della politica, dopo vent’anni di bipolarismo inconcludente e l’avvento sulla scena politica dei 5 Stelle è arrivata la stagione della confusione tra reale e virtuale, non esiste un modello di società sostenibile con idee forti e chiare, sostituite anch’esse da opinioni transeunti, discutibili e da scelte di corto respiro, farcite di bonus e demagogia di cui presto si pagherà un prezzo salato.
Mai come adesso le promesse sono smentite da pessimi esempi, senza attenuanti. La frammentazione politica è totale e produce schegge impazzite. Un sistema elettorale veramente democratico e la questione etica della soluzione di ogni tipo di conflitto di interessi avrebbero miglior sorte se la politica fosse nobilitata nel perseguimento degli interessi collettivi e del bene comune.
Non mi sono ancora rassegnato, però, a leggere la cronaca o i resoconti sportivi su una panchina dei giardini pubblici: sento pulsare il cuore della gente, sento montare la sua sfiducia e la sua rabbia, sono convinto che prima o poi ci possa essere un Balilla che rinnovi il famoso gesto del “che l’inse?”, come accadde nel dicembre 1746 per difendere la Repubblica di Genova dagli invasori.
Vivo il mio tempo e le sue contraddizioni, conservo la speranza che si possa fare qualcosa per migliorare lo stato attuale delle cose.
Ripenso spesso a quell’articolo della Costituzione che afferma che la “sovranità appartiene al popolo” e mi ribello all’idea che i partiti attuali siano gli indegni depositari di questa consegna.
Non riesco a tollerare un sistema centrato sulla partitocrazia come espressione moderna di antichi privilegi, trovo indecoroso e inaccettabile che i simboli dei partiti diventino proprietà personale dei loro leader, che il sistema degli interessi e della corruzione dilagante sopravviva in modo così sfacciatamente autoreferenziale.
Mi domando se non sia possibile porre mano a una riforma in grado di sbloccare questa concezione deteriore della politica resa mestiere e “professione a vita”: intere carriere vissute a separare il Paese legale da quello reale, esprimendo una politica incapace di raccogliere e gestire onestamente il consenso popolare, di immaginare una politica-servizio e non una politica-affare.
Mi chiedo – più concretamente – cosa accadrebbe se si riuscisse a far passare il principio della ineleggibilità di tutti i deputati e i senatori, i consiglieri regionali e comunali dopo un secondo mandato: credo che questo sarebbe l’unico modo concreto e risolutivo per azzerare un’intera classe politica, consentendo un reale avvicendamento nella gestione della cosa pubblica. Sono intanto interessato a sapere se chi l’ha promesso lo manterrà, come accaduto per la riduzione dei parlamentari.
Ma sono altrettanto convinto che si debba far qualcosa, fare ancora di più per creare un “Movimento Popolare” capace di restituire la politica alla gente. Penso che questa idea – se realizzata – avrebbe una portata veramente, profondamente, radicalmente innovativa. Nel momento di crisi attuale una svolta addirittura rivoluzionaria.
Non dimentichiamo che ad ogni tornata elettorale è sempre meno la gente che si reca ai seggi. Figuriamoci cosa accadrebbe se i cittadini dovessero farlo solo per ratificare decisioni prese altrove, senza poter scegliere da liste aperte i propri rappresentanti.
Avverto tutto il senso del mio limite ma ascolto da lungo tempo i sentimenti di disaffezione e di sfiducia della gente, la rabbia crescente, la disperazione, il disgusto verso una consuetudine padronale e punitiva della politica. Ma percepisco anche un bisogno vitale di cambiamento, di rifiuto verso una condizione antropologica di soccombenza che ci renda sudditi a vita.
Come molti altri cittadini mi sono rassegnato a considerarmi orfano della politica: dopo la caduta del muro di Berlino, la fine delle ideologie, le vicende di tangentopoli e il passaggio alla cosiddetta “seconda repubblica” e finanche alla “terza” – ammesso che esistano davvero e non siano un mero flatus vocis – sono rimasto spiazzato e sconcertato dalla lunga deriva negativa che ci ha portato alla situazione attuale. La retorica del nulla ha spogliato la vita dei suoi antichi valori. Siamo a un tutti contro tutti, senza capo né coda, che pervade anche il tessuto sociale di egoismo, invidia, acrimonia, delazione, cattiveria, come ribadito dagli ultimi Rapporti Censis.
Recentemente ho vissuto la vicenda referendaria sul taglio dei parlamentari ma non mi sono messo tra coloro che si sono scagliati contro la scelta della maggioranza popolare: la vittoria del Sì resterà un fatto inconcludente, senza sbocchi, come lo sarebbe stata ad onor del vero quella del No, ritengo infatti che restino intatte le colpe della politica, dopo vent’anni di bipolarismo inconcludente e l’avvento sulla scena politica dei 5 Stelle è arrivata la stagione della confusione tra reale e virtuale, non esiste un modello di società sostenibile con idee forti e chiare, sostituite anch’esse da opinioni transeunti, discutibili e da scelte di corto respiro, farcite di bonus e demagogia di cui presto si pagherà un prezzo salato.
Mai come adesso le promesse sono smentite da pessimi esempi, senza attenuanti. La frammentazione politica è totale e produce schegge impazzite. Un sistema elettorale veramente democratico e la questione etica della soluzione di ogni tipo di conflitto di interessi avrebbero miglior sorte se la politica fosse nobilitata nel perseguimento degli interessi collettivi e del bene comune.
Non mi sono ancora rassegnato, però, a leggere la cronaca o i resoconti sportivi su una panchina dei giardini pubblici: sento pulsare il cuore della gente, sento montare la sua sfiducia e la sua rabbia, sono convinto che prima o poi ci possa essere un Balilla che rinnovi il famoso gesto del “che l’inse?”, come accadde nel dicembre 1746 per difendere la Repubblica di Genova dagli invasori.
Vivo il mio tempo e le sue contraddizioni, conservo la speranza che si possa fare qualcosa per migliorare lo stato attuale delle cose.
Ripenso spesso a quell’articolo della Costituzione che afferma che la “sovranità appartiene al popolo” e mi ribello all’idea che i partiti attuali siano gli indegni depositari di questa consegna.
Non riesco a tollerare un sistema centrato sulla partitocrazia come espressione moderna di antichi privilegi, trovo indecoroso e inaccettabile che i simboli dei partiti diventino proprietà personale dei loro leader, che il sistema degli interessi e della corruzione dilagante sopravviva in modo così sfacciatamente autoreferenziale.
Mi domando se non sia possibile porre mano a una riforma in grado di sbloccare questa concezione deteriore della politica resa mestiere e “professione a vita”: intere carriere vissute a separare il Paese legale da quello reale, esprimendo una politica incapace di raccogliere e gestire onestamente il consenso popolare, di immaginare una politica-servizio e non una politica-affare.
Mi chiedo – più concretamente – cosa accadrebbe se si riuscisse a far passare il principio della ineleggibilità di tutti i deputati e i senatori, i consiglieri regionali e comunali dopo un secondo mandato: credo che questo sarebbe l’unico modo concreto e risolutivo per azzerare un’intera classe politica, consentendo un reale avvicendamento nella gestione della cosa pubblica. Sono intanto interessato a sapere se chi l’ha promesso lo manterrà, come accaduto per la riduzione dei parlamentari.
Ma sono altrettanto convinto che si debba far qualcosa, fare ancora di più per creare un “Movimento Popolare” capace di restituire la politica alla gente. Penso che questa idea – se realizzata – avrebbe una portata veramente, profondamente, radicalmente innovativa. Nel momento di crisi attuale una svolta addirittura rivoluzionaria.
Non dimentichiamo che ad ogni tornata elettorale è sempre meno la gente che si reca ai seggi. Figuriamoci cosa accadrebbe se i cittadini dovessero farlo solo per ratificare decisioni prese altrove, senza poter scegliere da liste aperte i propri rappresentanti.
Avverto tutto il senso del mio limite ma ascolto da lungo tempo i sentimenti di disaffezione e di sfiducia della gente, la rabbia crescente, la disperazione, il disgusto verso una consuetudine padronale e punitiva della politica. Ma percepisco anche un bisogno vitale di cambiamento, di rifiuto verso una condizione antropologica di soccombenza che ci renda sudditi a vita.
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