Il bivio dei 5 Stelle



Giorgio Merlo    28 Settembre 2020       0

Lo abbiamo già detto ma è bene ripeterlo. L’onda lunga del populismo demagogico, profondamente antiparlamentare e radicalmente antipolitico non si è affatto esaurito nel nostro Paese. Anzi, continua a correre con potenza e con straordinario vigore nel sottosuolo degli umori popolari, checché ne dicano i vari commentatori e opinionisti nostrani che, dopo aver supportato e predicato la demolizione di tutto ciò che era riconducibile ai canoni e ai metodi della politica del passato adesso, misteriosamente, ne riscoprono le virtù e le qualità. Ma tant’è.

Proprio nel momento in cui l’ansia e la domanda populista trovano conferma nella massa dei Sì che hanno accompagnato il cammino del referendum sul taglio dei parlamentari, noi prendiamo atto – con soddisfazione e anche con gioia – che si sta progressivamente, ma credo irreversibilmente, chiudendo la parabola politica ed elettorale del grillismo. Come lo definiscono comunemente in rete e nei vari conciliaboli, il “grillismo delle macchine blu”. Ovvero, il grillismo di potere e al potere. Che ormai è diventato la cifra distintiva di questo strano e singolare partito politico. Ora, però, il tema si sposta sulla cosiddetta identità di questo partito accompagnato anche, e soprattutto, dalla sua strana e altrettanto singolare organizzazione. Tutti conosciamo ormai, almeno dopo averlo appreso dagli organi di informazione, il profilo organizzativo di questo movimento. Radicalmente estraneo a qualsiasi impostazione democratica e collegiale dei partiti che abbiamo conosciuto nel corso degli anni. Prima che facessero irruzione, come ovvio, i partiti personali, del capo e i cartelli elettorali a cui ormai siamo abituati da tempo.

Ma adesso, per i 5 Stelle c’è di più. Dopo la sberla elettorale, ormai l’ennesima e puntuale come l’arrivo delle stagioni meteorologiche delle recenti regionali, questo partito è giunto a un bivio. E cioè, o conferma la sua storica natura di partito antisistema, demagogico, populista, antipolitico e antiparlamentare – cioè il cosiddetto partito “anticasta” – oppure asseconda la nuova versione che ormai lo caratterizza da tempo. Cioè un normale, nonché irriducibile partito di potere. Aggrappato alle poltrone, e soprattutto a tutti i benefit e ai privilegi – compresi soprattutto gli stipendi e gli emolumenti – che lo accompagnano. In sintesi, il totale rinnegamento di tutto ciò che hanno detto, scritto, predicato e sbandierato per anni. Da qui nasce l’ostilità e la profonda sfiducia nei confronti del partito dei 5 Stelle. E, non a caso, non può spiegarsi altrimenti il crollo verticale dei consensi nel breve volgere di due anni. E, accanto al ritorno o meno della vocazione originaria del partito, c’è anche il tema del progetto politico di un partito che sino ad oggi nessuno sa in che cosa si sostanzia concretamente. Se non nella difesa e nel consolidamento del potere raggiunto miracolisticamente e trasformisticamente in questi ultimi due anni.

Ecco perché, al di là delle baruffe persino imbarazzanti di questi giorni tra i vari capi e capetti del partito/movimento, adesso siamo arrivati a un punto di non ritorno. Perché come per tutti i partiti populisti e demagogici arriva sempre, prima o poi, il momento della verità. E per i 5 Stelle è arrivato dopo questa doppia consultazione elettorale. Paradossalmente dove i cittadini italiani hanno premiato, a larghissima maggioranza, un loro cavallo di battaglia populista e demagogico e, al contempo, sancendo una sconfitta politica ed elettorale senza precedenti alle elezioni regionali.

Un dibattito, comunque sia, che non può non interessare tutti. Compresi anche coloro che hanno una storica vocazione politica democratica e riformista e una profonda aderenza alle culture politiche costituzionali.


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