Nella sua Newsletter di ieri, il parlamentare torinese del PD ha preso posizione sul referendum di domenica relativo al taglio dei parlamentari. Pubblichiamo il suo intervento, orientato al Sì, come contributo al dibattito sul tema che abbiamo condotto su queste pagine.
Capisco i sostenitori del No: dobbiamo dire basta a una progressiva deriva populista, che campa di antipolitica. Ci siamo illusi di fermare questa deriva, ad esempio con l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, oppure con l’eliminazione dell’elezione diretta dei consiglieri provinciali. Anche ai tempi di Renzi si pensò che un “populismo mite” avrebbe potuto sconfiggere quello più duro ed essere compatibile con un piano di riforme. Appunto, ci siamo illusi.
Tuttavia mi pare che il Sì abbia argomenti più convincenti, ben rappresentati nell’ultima direzione del partito. Anzitutto, l’esserci impegnati nel patto di governo alla riduzione del numero dei parlamentari richiama l’esigenza di mantenerlo. Vero è che nel patto vi è anche la previsione un ridisegno dei collegi, il voto ai diciottenni anche per l’elezione del Senato, alcune modifiche ai regolamenti parlamentari e l’approvazione di una riforma elettorale con sistema proporzionale e soglia di sbarramento. Siamo ancora indietro (causa Covid) su questi punti, ma il lavoro è stato avviato e presto verranno approvati dal Parlamento.
Altri argomenti sono noti. Con la riduzione dei parlamentari, il loro numero (in rapporto alla popolazione) si allinea a quello dei maggiori Paesi. Non dimentichiamo che varie proposte di legge di riforma costituzionale (anche del PD) avevano già previsto espressamente una tale riduzione. E non scordiamo che il numero fissato dai Costituenti fu definito in assenza, allora, dei Consigli regionali e del Parlamento UE, a cui oggi sono invece affidate parti importanti di legislazione.
Inoltre, l’approvazione in quarta lettura da parte del Parlamento è stata definita solo in quanto sono stati messi da parte due principi assai più pericolosi, che i Cinque stelle volevano imporre: il vincolo di mandato per ogni parlamentare e il referendum propositivo.
Vanno poi sgombrati altri due equivoci. La riduzione del numero dei Parlamentari non modifica l’equilibrio (o l’attuale squilibrio, bisognerebbe dire) tra il potere esecutivo e quello legislativo. Anzi è verosimile ritenere che una minore rappresentanza parlamentare renderebbe le Camere più considerate dal Governo. Idem dicasi in riferimento ai partiti: non è vero che si lascerebbe tutto il potere ai leader, perché ciò dipende dal sistema elettorale, non dal numero dei parlamentari.
Infine, va segnalata l’iniziativa PD per presentare subito una proposta di riforma costituzionale che vada nel senso del superamento del bicameralismo perfetto: voto di fiducia solo alla Camera, sedute congiunte, attribuzione al Senato di compiti esclusivi di controllo e sugli affari regionali, eccetera.
Insomma, con il Sì non risolviamo i problemi di funzionamento della nostra democrazia, ma neanche li aggraviamo. Però almeno segniamo l’avvio di un processo riformatore. Se invece vincerà il No, temo che non potremo più mettere mano alla Costituzione, per anni.
Capisco i sostenitori del No: dobbiamo dire basta a una progressiva deriva populista, che campa di antipolitica. Ci siamo illusi di fermare questa deriva, ad esempio con l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, oppure con l’eliminazione dell’elezione diretta dei consiglieri provinciali. Anche ai tempi di Renzi si pensò che un “populismo mite” avrebbe potuto sconfiggere quello più duro ed essere compatibile con un piano di riforme. Appunto, ci siamo illusi.
Tuttavia mi pare che il Sì abbia argomenti più convincenti, ben rappresentati nell’ultima direzione del partito. Anzitutto, l’esserci impegnati nel patto di governo alla riduzione del numero dei parlamentari richiama l’esigenza di mantenerlo. Vero è che nel patto vi è anche la previsione un ridisegno dei collegi, il voto ai diciottenni anche per l’elezione del Senato, alcune modifiche ai regolamenti parlamentari e l’approvazione di una riforma elettorale con sistema proporzionale e soglia di sbarramento. Siamo ancora indietro (causa Covid) su questi punti, ma il lavoro è stato avviato e presto verranno approvati dal Parlamento.
Altri argomenti sono noti. Con la riduzione dei parlamentari, il loro numero (in rapporto alla popolazione) si allinea a quello dei maggiori Paesi. Non dimentichiamo che varie proposte di legge di riforma costituzionale (anche del PD) avevano già previsto espressamente una tale riduzione. E non scordiamo che il numero fissato dai Costituenti fu definito in assenza, allora, dei Consigli regionali e del Parlamento UE, a cui oggi sono invece affidate parti importanti di legislazione.
Inoltre, l’approvazione in quarta lettura da parte del Parlamento è stata definita solo in quanto sono stati messi da parte due principi assai più pericolosi, che i Cinque stelle volevano imporre: il vincolo di mandato per ogni parlamentare e il referendum propositivo.
Vanno poi sgombrati altri due equivoci. La riduzione del numero dei Parlamentari non modifica l’equilibrio (o l’attuale squilibrio, bisognerebbe dire) tra il potere esecutivo e quello legislativo. Anzi è verosimile ritenere che una minore rappresentanza parlamentare renderebbe le Camere più considerate dal Governo. Idem dicasi in riferimento ai partiti: non è vero che si lascerebbe tutto il potere ai leader, perché ciò dipende dal sistema elettorale, non dal numero dei parlamentari.
Infine, va segnalata l’iniziativa PD per presentare subito una proposta di riforma costituzionale che vada nel senso del superamento del bicameralismo perfetto: voto di fiducia solo alla Camera, sedute congiunte, attribuzione al Senato di compiti esclusivi di controllo e sugli affari regionali, eccetera.
Insomma, con il Sì non risolviamo i problemi di funzionamento della nostra democrazia, ma neanche li aggraviamo. Però almeno segniamo l’avvio di un processo riformatore. Se invece vincerà il No, temo che non potremo più mettere mano alla Costituzione, per anni.
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