C’è già ressa intorno ai progetti da presentare per l’utilizzo dei fondi europei, quasi fosse l’albero della cuccagna delle fiere di strapaese. È bastato l’improvvido annuncio che sarebbero pronte seicento proposte, e l’ancor più deleteria soffiata al solito giornalone che ne ha pubblicato un elenco, e subito si è scatenata la disputa tanto da indurre il serio ministro degli Affari Europei Amendola a presentare una denuncia per fuga di notizie.
Una delle poche iniziative credibili sull’utilizzo dei fondi è stata fino ad oggi una audizione avvenuta la scorsa settimana davanti al Parlamento da un capo economista della Banca d’Italia che ha dato un contributo intelligente al “Piano Nazionale per la Ripresa (PNRR) “che è il passaggio preliminare richiesto dalla Commissione europea e che dovrà essere discusso a breve e presentato alla Commissione Europea.
Nel corso dell'audizione, dopo avere richiamato gli aspetti più seri della futura gestione dei fondi, l’economista della banca centrale ha individuato tre aree nelle quali gli interventi per il nostro Paese appaiono urgenti, in coerenza con le linee guida previste da chi metterà a disposizione i fondi, e non certo con la lista della spesa dei postulanti di casa nostra.
La prima riguarda il funzionamento della pubblica amministrazione che richiede se non una riforma (impossibile) almeno “più qualità nei servizi, tempi contenuti” e una maggiore efficienza operativa. Sono quindi necessari, e si potrebbe aggiungere prioritari, precisi investimenti in capitale umano e in tecnologie. La richiesta non consegue al ben noto e diffuso sentimento sulla burocrazia italiana ma da rilevazioni recenti che ci collocano tra gli ultimi in Europa nella diffusione dei servizi digitali, oltre alla età media dei dipendenti che è superiore ai cinquant’anni.
La seconda area di intervento si riferisce a scelte operative concrete sia del pubblico che del privato, e quindi per il primo la realizzazione di infrastrutture di nuova generazione e per il secondo il recupero di produttività nella manifattura e nei servizi. La base è ancora una volta la scuola, l’università e la ricerca come pure la riqualificazione dei trasporti pubblici, il completamento delle grandi opere, la ripresa dell’edilizia, le riforme della sanità.
La terza area da considerare riguarda la tutela e la valorizzazione del patrimonio naturale, storico e artistico richiamato non solo dalle direttive europee ma in particolare dalla profonda crisi del settore del turismo che ha sofferto più di ogni altro comparto della crisi sanitaria.
Il rilancio della crescita è la condizione essenziale per conseguire questi obiettivi, ben sapendo che la sola più ampia disponibilità di risorse finanziarie non risolve i problemi ma richiede un impegno lungo e costante dell’azione pubblica e un ritorno più convincente degli investimenti privati.
La riprova è quanto sta avvenendo a seguito della politica espansiva della Banca Centrale Europea che continua ad iniettare nel sistema finanziario massicce dosi di liquidità acquistando senza sosta titoli pubblici e privati sul mercato secondario. Infatti larga parte di queste risorse restano inattive presso la stessa BCE o presso la banche che non si fidano ad impiegarle, vuoi perché la domanda di capitali è scarsa vuoi perché banche e imprese restano in attesa di capire che cosa succederà a breve termine. Secondo le più recenti rilevazioni del direttore generale della Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, i depositi sono cresciuti a dismisura tra dicembre e luglio: quelli delle amministrazioni pubbliche sono aumentati di oltre cinquecento miliardi; quelli delle banche di oltre mille miliardi ed anche la liquidità delle imprese trasferita attraverso prestiti agevolati è aumentata di trecento miliardi.
Sarà la crisi pandemica a livello planetario, saranno le incertezze della politica pure diffuse ben oltre il nostro Paese, ma in ogni caso si conferma che non basta la disponibilità di risorse finanziarie per rilanciare investimenti e consumi, e quindi la crescita.
(Tratto da www.politicainsieme.com
Una delle poche iniziative credibili sull’utilizzo dei fondi è stata fino ad oggi una audizione avvenuta la scorsa settimana davanti al Parlamento da un capo economista della Banca d’Italia che ha dato un contributo intelligente al “Piano Nazionale per la Ripresa (PNRR) “che è il passaggio preliminare richiesto dalla Commissione europea e che dovrà essere discusso a breve e presentato alla Commissione Europea.
Nel corso dell'audizione, dopo avere richiamato gli aspetti più seri della futura gestione dei fondi, l’economista della banca centrale ha individuato tre aree nelle quali gli interventi per il nostro Paese appaiono urgenti, in coerenza con le linee guida previste da chi metterà a disposizione i fondi, e non certo con la lista della spesa dei postulanti di casa nostra.
La prima riguarda il funzionamento della pubblica amministrazione che richiede se non una riforma (impossibile) almeno “più qualità nei servizi, tempi contenuti” e una maggiore efficienza operativa. Sono quindi necessari, e si potrebbe aggiungere prioritari, precisi investimenti in capitale umano e in tecnologie. La richiesta non consegue al ben noto e diffuso sentimento sulla burocrazia italiana ma da rilevazioni recenti che ci collocano tra gli ultimi in Europa nella diffusione dei servizi digitali, oltre alla età media dei dipendenti che è superiore ai cinquant’anni.
La seconda area di intervento si riferisce a scelte operative concrete sia del pubblico che del privato, e quindi per il primo la realizzazione di infrastrutture di nuova generazione e per il secondo il recupero di produttività nella manifattura e nei servizi. La base è ancora una volta la scuola, l’università e la ricerca come pure la riqualificazione dei trasporti pubblici, il completamento delle grandi opere, la ripresa dell’edilizia, le riforme della sanità.
La terza area da considerare riguarda la tutela e la valorizzazione del patrimonio naturale, storico e artistico richiamato non solo dalle direttive europee ma in particolare dalla profonda crisi del settore del turismo che ha sofferto più di ogni altro comparto della crisi sanitaria.
Il rilancio della crescita è la condizione essenziale per conseguire questi obiettivi, ben sapendo che la sola più ampia disponibilità di risorse finanziarie non risolve i problemi ma richiede un impegno lungo e costante dell’azione pubblica e un ritorno più convincente degli investimenti privati.
La riprova è quanto sta avvenendo a seguito della politica espansiva della Banca Centrale Europea che continua ad iniettare nel sistema finanziario massicce dosi di liquidità acquistando senza sosta titoli pubblici e privati sul mercato secondario. Infatti larga parte di queste risorse restano inattive presso la stessa BCE o presso la banche che non si fidano ad impiegarle, vuoi perché la domanda di capitali è scarsa vuoi perché banche e imprese restano in attesa di capire che cosa succederà a breve termine. Secondo le più recenti rilevazioni del direttore generale della Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, i depositi sono cresciuti a dismisura tra dicembre e luglio: quelli delle amministrazioni pubbliche sono aumentati di oltre cinquecento miliardi; quelli delle banche di oltre mille miliardi ed anche la liquidità delle imprese trasferita attraverso prestiti agevolati è aumentata di trecento miliardi.
Sarà la crisi pandemica a livello planetario, saranno le incertezze della politica pure diffuse ben oltre il nostro Paese, ma in ogni caso si conferma che non basta la disponibilità di risorse finanziarie per rilanciare investimenti e consumi, e quindi la crescita.
(Tratto da www.politicainsieme.com
Ho letto anche Guido Puccio. Il suo frasario, sempre intelligente e tra i meno incomprensibili, tuttavia non è sufficiente, ma non che manchino argomenti a lui, ma la domanda che mi faccio, ritenendomi rappresentante dell’uomo della strada, è questa: con la rivoluzione finanziaria ormai presente negli organismi europei, dalla chiusura del patto di stabilità in qua, c’è davanti a tutti uno scenario di vagonate di miliardi dei quali anche l’Italia potrebbe beneficiarne alla grande, ma si ha l’impressione che i governanti cincischino, non abbiano idee definite, un mese tira l’altro e non si sa se questi benefici li avremo o invece saranno a rischio. Mi chiedo: non c’è un diritto di tutti a saperne di più? Perché non si mostrano (se ci sono) testi di progetti di legge nelle varie materie per investire quei soldi? NO, non c’è nulla: molte, molte parole, buone intenzioni. Ma se l’Italia fosse una industria alla quale la befana dice che le darà un grosso finanziamento,il Paese dovrebbe fare salti dalla contentezza e dirlo chiaro ai suoi cittadini come li investirà, i benefici che ne arriveranno, una serie di cose insomma per accendere l’entusiasmo del popolo, del quale si dice: si è staccato dalla politica. Per forza la politica, il governo stanno su un altro pianeta. E, da ultimo, i “contendenti” sul SI e il NO al Mes (soldi pronti per rinforzare il sistema sanitario) perchè non vanno in televisione, gli uni e gli altri a dire alla gente perchè non vogliono quei soldi? No! Mangiano solo pane e Twitter!