Le più recenti sortite in casa ‘5 Stelle’ sembrano esprimere un disconoscimento di paternità: non più il pedagogista ginevrino J.J. Rousseau nume tutelare della omonima piattaforma, metaforicamente rimpiazzato dal parigino Georges Feydeau, noto commediografo, abile regista e drammaturgo, nonché ironico fustigatore dell’ipocrisia borghese, passato alla storia per la scenografia delle “porte girevoli”, con spiragli, finestre, angolature, coni d’ombra e di luce ad effetto sorpresa, mutando trama e palcoscenico.
Ciò che porta peraltro a ripensare al rapporto tra Casaleggio jr e un Movimento che sta diventando partito.
La periodica consultazione on-line della base sortisce un effetto moltiplicatore sempre sorprendente negli esiti del consenso, poiché legittima e sancisce come deriva popolare le preventive intuizioni dei proponenti.
L’insieme dell’evoluzione della specie grillina, dalle origini ai giorni nostri, ha le sembianza di una mutazione genetica: dall’assalto al potere e l’apertura della scatola del tonno parlamentare, dallo streaming in diretta per scoperchiare le nefandezze del sistema, al no alle interviste in TV , all’impeachment presidenziale contro Mattarella, dal no vax, no TAP, no ILVA, no alle grandi opere, no all’euro e all’Europa il movimento esprimeva al meglio la contestazione globale al sistema e la rabbia popolare, cogliendo al volo la più recente delusione per la narrazione renziana, senza parlare di tutta la storica allegoria della casta, da Prodi a Berlusconi, al fallimento del maggioritario, agli scandali e alle corruzioni cicliche e ricorrenti.
Dal governo con la Lega a quello con il PD (un tempo odiato rappresentate della demagogia becera al potere, ”il partito di Bibbiano”, forse il peggior nemico da battere): adesso si sta dipanando una strategia per allargare l’esperienza del consociativismo di governo alle elezioni e alle realtà locali.
Una volta le alleanze erano ideologiche e basate sulla compatibilità, adesso tutto sembra diventato una gigantesca partita a scacchi: interscambiabilità dei ruoli, passaggi di casacca, trasmigrazione dei parlamentari (il maggior numero in uscita proprio dai 5 Stelle) : un palcoscenico di Feydeau, appunto.
Il trasformismo storico di Depretis giustificava il principio di cooptazione (“ Se qualcheduno vuole entrare nelle nostre file, se vuole accettare il mio modesto programma, se vuole trasformarsi e diventare progressista, come posso io respingerlo? – A. Depretis, 1882) quello in atto nella 2° e 3° Repubblica (se mai esistono) diventa una commedia all’italiana, un riposizionamento continuo in nome della stabilità.
Nel frattempo l’ascesa di Conte, lanciato una sera in TV come uno dei possibili componenti di un nuovo esecutivo portavoce del popolo (delle cui istanze e per le cui difese Conte stesso, una volta divenuto premier si è autodefinito avvocato) è stato un primo segnale dai molteplici significati.
Il più evidente? È uno di noi, venuto dal popolo, come per anni abbiamo chiesto contro le logiche della casta. Forse non è così?
L’improvvisa mossa di Salvini di un anno fa, motivata come denuncia delle contraddizioni intrinseche nelle due e più anime del movimento, la successiva alleanza di governo fino ad allora impensabile (ma quanti tra i politici hanno letto fino in fondo Machiavelli?) hanno reso tutto pragmatico, spegnendo la deriva di una lenta erosione dei 5 Stelle e riaprendo i giochi a 360°.
Anche il Covid ha avuto un ruolo non secondario, con il lockdown mandato avanti a suon di DPCM: il tempo che passa impegna il Governo e lo sovraespone in responsabilità ma erode le opposizioni e sottrae loro argomenti: l’ordine sociale, l’emigrazione, le libertà personali, la burocrazia , le tasse. La pazienza popolare è messa a dura prova ma ci sono stati anche quelli che hanno gioito per una gita fuori porta, il bonus vacanze e la movida: forse siamo gente ingovernabile, ascolto molti refrain demagogici ma noto poca onestà intellettuale: a settembre tutti aspettano la resa dei conti. Il trasformismo 4.0 riguarda il potere e in parte tutti noi: una politica che l’asseconda porta verso il baratro del dire e del disdire, al buio della ragione.
Così si giunge all’ultima trovata della democrazia virtuale: un tempo si diceva “carta canta e villan dorme”, oggi con 300 voti on line si apre ad un autosedicente “politico del nuovo” la via del Parlamento e magari quella di un Ministero. Un pentastellato di rango ha affermato in TV che la riduzione del numero dei parlamentari non conta tanto per il risparmio dei 100 milioni di euro l’anno, quanto per il fatto che seleziona i migliori. Confesso che invidio la sua certezza: evidentemente si sente parte di questa schiera, ma i veri meritevoli non si esprimono essendo sempre alla ricerca di conferme su se stessi.
Che il risparmio sia ininfluente sono d’accordo ma vedo –se passa il Referendum– un parlamento depotenziato in termini di rappresentatività: sempre più precluso ai capaci e ai talentuosi e sempre più blindato dalle cordate degli amici degli amici. E qui i 5 stelle calano un duplice asso: “introduciamo il mandato zero”, così – dico io – salta il patto giurato d’onore del doppio giro parlamentare. Due o tre non fa differenza: ma si inizia una partita per creare di volta in volta nuovi alibi che consentano di avere politici a vita. Mutatis mutandis: la giustificazione a tutto, partendo dal suo opposto logico, il trionfo del possibilismo e del relativismo etico.
Si comincia dagli enti locali e si sale fino ai vertici delle istituzioni.
Un potere sempre più concentrato nelle mani di pochi: ‘basta che ci sia il posto per ‘quelli che valgono’.
Ma chi decide ‘chi vale’ se le liste saranno bloccate con candidati di provata fedeltà prona e supina? Deciderà la base? Con quali proporzioni di rappresentatività? Per combattere la casta se ne crea una che le sia alternativa, facendo leva sui luoghi comuni: la tattica si fa strategia per autocollocarsi al crocevia dell’accesso al potere. Il comodo surrogato di una politica di incerto profilo etico e culturale.
La seconda invenzione del sondaggio che transita dalla democrazia virtuale (quella che non si vede, non si sente e non si tocca) getta alle ortiche l’isolazionismo dei puri, la fede costi quel che costi: d’ora in poi si faranno alleanze per vincere. Il potere logora chi non ce l’ha e giustifica ogni mezzo.
Il disegno che i 5 Stelle vanno delineando sembra abbandonare l’icona movimentista per assumere le sembianze di un partito, ciò che comporta la scelta di una guida politica interna in grado di gestire una strategia di lunga durata, se il futuro prevede la stabilizzazione delle alleanze. Questo non depone certo a favore di un limite al numero dei mandati parlamentari, per evitare alternanze, abbandoni forzati, cambi di direzione. Insomma, un partito vero e proprio come quelli finora ripudiati e avversati come il male assoluto.
Ciò che porta peraltro a ripensare al rapporto tra Casaleggio jr e un Movimento che sta diventando partito.
La periodica consultazione on-line della base sortisce un effetto moltiplicatore sempre sorprendente negli esiti del consenso, poiché legittima e sancisce come deriva popolare le preventive intuizioni dei proponenti.
L’insieme dell’evoluzione della specie grillina, dalle origini ai giorni nostri, ha le sembianza di una mutazione genetica: dall’assalto al potere e l’apertura della scatola del tonno parlamentare, dallo streaming in diretta per scoperchiare le nefandezze del sistema, al no alle interviste in TV , all’impeachment presidenziale contro Mattarella, dal no vax, no TAP, no ILVA, no alle grandi opere, no all’euro e all’Europa il movimento esprimeva al meglio la contestazione globale al sistema e la rabbia popolare, cogliendo al volo la più recente delusione per la narrazione renziana, senza parlare di tutta la storica allegoria della casta, da Prodi a Berlusconi, al fallimento del maggioritario, agli scandali e alle corruzioni cicliche e ricorrenti.
Dal governo con la Lega a quello con il PD (un tempo odiato rappresentate della demagogia becera al potere, ”il partito di Bibbiano”, forse il peggior nemico da battere): adesso si sta dipanando una strategia per allargare l’esperienza del consociativismo di governo alle elezioni e alle realtà locali.
Una volta le alleanze erano ideologiche e basate sulla compatibilità, adesso tutto sembra diventato una gigantesca partita a scacchi: interscambiabilità dei ruoli, passaggi di casacca, trasmigrazione dei parlamentari (il maggior numero in uscita proprio dai 5 Stelle) : un palcoscenico di Feydeau, appunto.
Il trasformismo storico di Depretis giustificava il principio di cooptazione (“ Se qualcheduno vuole entrare nelle nostre file, se vuole accettare il mio modesto programma, se vuole trasformarsi e diventare progressista, come posso io respingerlo? – A. Depretis, 1882) quello in atto nella 2° e 3° Repubblica (se mai esistono) diventa una commedia all’italiana, un riposizionamento continuo in nome della stabilità.
Nel frattempo l’ascesa di Conte, lanciato una sera in TV come uno dei possibili componenti di un nuovo esecutivo portavoce del popolo (delle cui istanze e per le cui difese Conte stesso, una volta divenuto premier si è autodefinito avvocato) è stato un primo segnale dai molteplici significati.
Il più evidente? È uno di noi, venuto dal popolo, come per anni abbiamo chiesto contro le logiche della casta. Forse non è così?
L’improvvisa mossa di Salvini di un anno fa, motivata come denuncia delle contraddizioni intrinseche nelle due e più anime del movimento, la successiva alleanza di governo fino ad allora impensabile (ma quanti tra i politici hanno letto fino in fondo Machiavelli?) hanno reso tutto pragmatico, spegnendo la deriva di una lenta erosione dei 5 Stelle e riaprendo i giochi a 360°.
Anche il Covid ha avuto un ruolo non secondario, con il lockdown mandato avanti a suon di DPCM: il tempo che passa impegna il Governo e lo sovraespone in responsabilità ma erode le opposizioni e sottrae loro argomenti: l’ordine sociale, l’emigrazione, le libertà personali, la burocrazia , le tasse. La pazienza popolare è messa a dura prova ma ci sono stati anche quelli che hanno gioito per una gita fuori porta, il bonus vacanze e la movida: forse siamo gente ingovernabile, ascolto molti refrain demagogici ma noto poca onestà intellettuale: a settembre tutti aspettano la resa dei conti. Il trasformismo 4.0 riguarda il potere e in parte tutti noi: una politica che l’asseconda porta verso il baratro del dire e del disdire, al buio della ragione.
Così si giunge all’ultima trovata della democrazia virtuale: un tempo si diceva “carta canta e villan dorme”, oggi con 300 voti on line si apre ad un autosedicente “politico del nuovo” la via del Parlamento e magari quella di un Ministero. Un pentastellato di rango ha affermato in TV che la riduzione del numero dei parlamentari non conta tanto per il risparmio dei 100 milioni di euro l’anno, quanto per il fatto che seleziona i migliori. Confesso che invidio la sua certezza: evidentemente si sente parte di questa schiera, ma i veri meritevoli non si esprimono essendo sempre alla ricerca di conferme su se stessi.
Che il risparmio sia ininfluente sono d’accordo ma vedo –se passa il Referendum– un parlamento depotenziato in termini di rappresentatività: sempre più precluso ai capaci e ai talentuosi e sempre più blindato dalle cordate degli amici degli amici. E qui i 5 stelle calano un duplice asso: “introduciamo il mandato zero”, così – dico io – salta il patto giurato d’onore del doppio giro parlamentare. Due o tre non fa differenza: ma si inizia una partita per creare di volta in volta nuovi alibi che consentano di avere politici a vita. Mutatis mutandis: la giustificazione a tutto, partendo dal suo opposto logico, il trionfo del possibilismo e del relativismo etico.
Si comincia dagli enti locali e si sale fino ai vertici delle istituzioni.
Un potere sempre più concentrato nelle mani di pochi: ‘basta che ci sia il posto per ‘quelli che valgono’.
Ma chi decide ‘chi vale’ se le liste saranno bloccate con candidati di provata fedeltà prona e supina? Deciderà la base? Con quali proporzioni di rappresentatività? Per combattere la casta se ne crea una che le sia alternativa, facendo leva sui luoghi comuni: la tattica si fa strategia per autocollocarsi al crocevia dell’accesso al potere. Il comodo surrogato di una politica di incerto profilo etico e culturale.
La seconda invenzione del sondaggio che transita dalla democrazia virtuale (quella che non si vede, non si sente e non si tocca) getta alle ortiche l’isolazionismo dei puri, la fede costi quel che costi: d’ora in poi si faranno alleanze per vincere. Il potere logora chi non ce l’ha e giustifica ogni mezzo.
Il disegno che i 5 Stelle vanno delineando sembra abbandonare l’icona movimentista per assumere le sembianze di un partito, ciò che comporta la scelta di una guida politica interna in grado di gestire una strategia di lunga durata, se il futuro prevede la stabilizzazione delle alleanze. Questo non depone certo a favore di un limite al numero dei mandati parlamentari, per evitare alternanze, abbandoni forzati, cambi di direzione. Insomma, un partito vero e proprio come quelli finora ripudiati e avversati come il male assoluto.
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