Perché voterò No (e sul PD…)



Guido Bodrato    14 Agosto 2020       5

A 40 giorni dall'election day per alcuni Consigli regionali e per un referendum costituzionale che il Movimento 5 Stelle considera una “svolta storica”, continua il silenzio dei media su una prova da cui potrebbe dipendere il futuro della nostra democrazia. Tuttavia chi si attendeva un Sì plebiscitario al “taglio dei parlamentari”, ha voluto abbinare il voto per il referendum a quello per le Regioni, nel timore di una clamorosa astensione (anche se in questo caso la validità del voto non dipende dalla percentuale degli elettori). E ora cerca di evitare un dibattito che potrebbe favorire il No.

Sui quotidiani si discute più delle presidenziali americane che di una riforma che potrebbe stravolgere la rappresentanza parlamentare in Italia. Il PD, che per tutto l'iter parlamentare della riforma aveva votato No, a difesa della centralità del Parlamento, quando si è trattato di varare la “svolta”, dalla maggioranza giallo-verde a quella giallo-rossa, ha subìto il dictat dei Cinquestelle, sperando di condizionare il voto al referendum con l'impegno ad approvare “prima di quel voto” una legge elettorale “proporzionale”.

Quando, pochi giorni fa, sugli schermi televisivi compare l'annuncio di Palazzo Chigi sulle elezioni del 20 settembre, sulle pagine dei giornali dominano ancora altri argomenti. Il 5 agosto è sembrato che “la Repubblica”, avesse infranto la congiura del silenzio, pubblicando in prima pagina questo titolo: Zingaretti lancia un ultimatum sulla legge elettorale. Con scetticismo, ho commentato: “Questo ultimatum cadrà nel vuoto; stiamo ormai precipitando verso il referendum e il paracadute del proporzionale potrebbe non aprirsi”. Quel giorno il “Corriere della Sera” è stato a guardare, e “La Stampa” ha dedicato all'ultimatum un corsivo avvelenato: anche Zingaretti si era detto favorevole al maggioritario.

Il giorno dopo i quotidiani hanno registrato le reazioni dei Cinquestellati: “Ci sono problemi più importanti per il Parlamento”; “Della legge elettorale si discuterà dopo il referendum”. E il 7 agosto, Di Maio ha risposto a Zingaretti con parole che ricordano lo “stai sereno” di Renzi a Letta: “Discutete pure del taglio dei parlamentari, la storia non si ferma”. E cresce lo sconcerto per la fragilità della strategia del PD, quando Maria Elena Boschi dichiara che “la priorità di questo momento è la crisi economica e sociale, non la legge elettorale”. Ed il “governatore” Bonaccini, dichiara al “Corriere”: “La politica non discuta di regole, anche se importanti, mentre le aziende chiudono”.

Con l'incipit di questa intervista Bonaccini si è smarcato dal segretario del PD anche sulla questione referendaria : “Io che i populisti li ho battuti, dico sì al taglio dei parlamentari”. In realtà ci sarebbe da discutere su questa affermazione: quando abbiamo commentato l'esito delle elezioni regionali, gli abbiamo riconosciuto di avere amministrato bene l'Emilia Romagna, e di “averci messo la faccia” nella polemica elettorale... Tuttavia non si può ignorare il contributo dato dalle “sardine” all'esito di quel “braccio di ferro” tra democratici e populisti. E non si può dimenticare che nei comuni rurali e di montagna dell'Emilia-Romagna la candidata di Salvini aveva conquistato la maggioranza dei voti. Il fatto è che la “personalizzazione” è dilagata, non ha confini politici...

Continua il silenzio dei media, mentre sui social si registra una qualche presenza di quanti sono contrari al referendum: “IoVotoNo”. E io twitto: “Il maggioritario fa rima con potere e con presidenzialismo; il proporzionale con pluralismo, anima della democrazia e della centralità del Parlamento. Tuttavia, chi, anche a sinistra, non è stato tentato... alzi la mano. Dal giacobinismo è fatale che si scivoli nel bonapartismo”.

E ho aggiunto: “La proporzionale allo statu nascendi comportava che gli elettori scegliessero tra i candidati chi votare. Contro le preferenze, considerate responsabili della degenerazione della politica e infine della partitocrazia, si è accanito nel '90 il referendum Segni. Conclusione: la partitocrazia senza partiti, i nominati”. Ed ho precisato: “Non a caso i nemici del Parlamento e della democrazia, vorrebbero cancellare dalla Costituzione la norma 'senza vincolo di mandato', per avere un'assemblea di sudditi... e un Capo con pieni poteri, eletto dalla piazza”.

Anche per queste ragioni, per difendere la centralità del Parlamento, il 20 settembre voterò No, poiché il taglio dei parlamentari è una minaccia per il pluralismo, garanzia di democrazia; è una minaccia per la democrazia liberale.

Penso, tuttavia, che sia necessaria una riflessione sull'importanza del “contesto” nel quale si sono affermate la tendenza alla personalizzazione della politica e una riforma di stampo sovranista che apre le porte alla “democratura”. Su queste questioni manca una riflessione politica del Partito democratico, manca una visione che dovrebbe riguardare, in primis, l'identità del partito. Qual è “il contesto” nel quale si colloca la linea politica del PD, quale il suo rapporto con il sistema elettorale?

Finamente sabato 8 agosto ho letto su “Avvenire” che alcuni cattolici democratici del PD hanno deciso di votare No, contro una scelta populista che rischia di colpire al cuore la Costituzione; e domenica ho letto sull'Espresso un articolo di Gianni Cuperlo che motiva la sua scelta per il No. A conclusione del suo intervento Cuperlo indica finalmente per quale motivo il PD ha sopportato un silenzio, un rinvio, che lo ha seriamente indebolito : ”Dicono gli esponenti di punta dei 5 Stelle che la scelta del No romperebbe gli accordi, sancirebbe la fine dell'esperienza di governo e forse della legislatura. Quanto al governo – dice Cuperlo – sono dell'idea che non accadrebbe...”. E allora il 20 settembre voterò No “per difendere la Costituzione”.

Se la politica è rischio e coraggio, e i “democratici” non dimostrano di avere coraggio in questa circostanza, quando mai lo dimostreranno?


5 Commenti

  1. L’analisi di Guido Bodrato è – come sempre – chiara ed esauriente, anche se il ricordo di una stagione dove il pluralismo si tradusse in debilitanti conflitti tra “correnti” rende la riflessione meno convincente per perfino molti, nel dubbio che l’essere di meno in Parlamento possa comunque garantire l’eliminazione di manovre di gruppo, certamente facilitando i percorsi di chi pratica la politica della supremazia del capo.
    A me pare che resti insoluta la questione dell’accesso al “far politica”, dell’articolazione di una “cultura politica”, che negli ultimi anni si è esaurita in modeste esperienze di pomeriggi prefestivi che hanno assunto il carattere di esibizioni di personaggi noti, piuttosto che essere, benché così autodefinite, “scuole di politica”.
    Appartengo a una fortunata generazione (anagraficamente coincidente con quella di Bodrato) che ha goduto di esperienze fortunate: a Genova, l’opportunità di celebrare il centenario e il ricordo di un vecchio prete, ha consentito una ricca riflessione su Monteleco, dove per quasi mezzo secolo, a partire dai primi anni postbellici, due preti e tanti giovani hanno “fatto scuola”, producendo perfino – se ciò appare più convincente – qualche Sindaco e Presidente di Provincia.
    Il che forse rende più chiaro perché in quella città si ebbero primi tentativi di nuove strategie tra partiti, la prima esperienza di “centrosinistra”, e poi il declino nel clima generale, dopo l’ormai ultratrentennale chiusura di quell’esperienza, quasi negli stessi anni in cui su altri fronti, persone ben consapevoli di quanto la politica fondata su scelte etiche e culturale adeguate fosse fragile, tentava nuove strategie, come fecero Dossetti e Balbo, con un’esperienza tuttavia senza esiti.
    Se manteniamo un numero di Parlamentari utile pe riavviare tante iniziative, ne troviamo qualcuno che, ragionando su tempistiche non solo di ciclo elettorale, sappia avviare una vera “scuola”?

  2. Cari amici, con dispiacere e per la prima volta nella mia vita non sono d’accordo con il ragionamento di Guido Bodrato, che pure stimo moltissimo. Voterò sì al referendum per il taglio numerico dei parlamentari, questione meramente tecnica di doverosa efficientizzazione del parlamento, che non ci impedirà di proseguire poi la nostra lotta per gli altri aspetti di miglioramento possibile della nostra democrazia.

  3. se non si tocca la Costituzione non ho capito bene il discorso di Bodrato circa i pericoli della democrazia se si diminuisce il numero dei parlamentari. Certo ci sarà qualche problema di rappresentanza a seguito di accorpamenti e dimensione di seggi ma altro non vedo. Forse un numero ridotto costringerà ad occuparsi delle questioni legislative con meno vincoli di parte ma con una visione globale degli interessi dei cittadini e della Nazione

  4. Certo che grillini, il nuovo che avanza, ambientalisti, onestà onestà, hanno fatto un bel lavoro di lavaggio del cervello se anche all’interno di una Associazione come questa non si comprende e si è in disaccordo con quanto dice Bodrato!!!! Ma cosa deve ancora succedere ??? Non è bastato il referendum Segni??? Non è bastata la cancellazione delle preferenze e la furia iconoclasta contro i partiti veri, suvvia!

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