La decadenza della politica



Francesco Provinciali    3 Agosto 2020       0

Il fatto che la politica – superando sconquassi, sfiducia, delusioni, falsità, tradimenti e millanterie – riemerga sempre dai pantani in cui viene a trovarsi per motivi nuovi e sorprendenti la dice lunga sulla sua vera forza intrinseca e invincibile: la capacità di succedere a se stessa.

Un tempo i cortigiani applaudivano i giullari per compiacere i propri padroni ma complottavano in segreto per sottrarsi al giogo della sottomissione. Le trame erano ordite per sordide lotte di potere ma anche per aneliti di libertà.

Oggi si sceglie in genere una via più breve e indolore perché la democrazia offre nuove opportunità: il banchetto è troppo ghiotto e conviene accodarsi per tempo, si parte raccattando briciole e – se va bene – si arriva pure al dessert. Tutti volevano il maggioritario e ora chiedono il proporzionale: arriveremo alla polverizzazione parlamentare pur di conservare uno o due seggi sicuri.

Sbagliava Beppe Grillo quando diceva che i politici sono morti, fantasmi inconsistenti e sonnambuli che vagolano nel vuoto: per qualcuno che parte davvero c’è sempre un sostituto pronto a subentrare, a prescindere dal pedaggio. A cominciare dai suoi compagni di viaggio: dal rifiuto ad ogni confronto all’esser parte di due governi con alleati alternativi tra loro. Amici-nemici ma sempre al comando.

È la parte nobile della politica che muore quando questa si diffonde come un gas velenoso che offusca i cuori e la mente del suo popolo. Il miraggio della carriera, del successo risucchiano generosamente nuove alternative e per cento che cadono o si occultano ce ne sono mille che intraprendono la scalata. Non sono i politici a dissolversi ma è la politica stessa che se ne va: sparito il copione restano i teatranti e si recita a soggetto.

Certo, insieme a loro rimangono nobili parole – pace, democrazia, uguaglianza, libertà, giustizia – non importa se servono solo per infinocchiare la gente, per annichilirla di proclami elettorali, promesse irrealizzabili, chimere, utopie. Il primo ladrocinio consiste appunto nel contrabbando delle parole: basterebbe passare in rassegna certe carriere per rendersi conto che c’è gente che blatera da una vita senza aver mai lavorato un solo giorno: eppure questo è un parametro eloquente ma disatteso. Salvo esporre al pubblico ludibrio intere categorie sociali, colpendo nel mucchio: “daremo una lezione ai fannulloni”. O cercare – non si sa mai – un capro espiatorio da far fuori per via giudiziaria.

Se la politica cessa di essere un servizio e diventa un mestiere non potrà che avvalersi di mestieranti, persone disposte a tutto pur di cavalcare l’onda lunga del successo, pur di privilegiare il proprio personale tornaconto. Non possiamo “stare sereni”, visto da fuori il panorama è desolante e riguarda il sistema: il tam tam mediatico amplifica fatti e fattacci, abitua al peggio, suscita invidie e rancori, alza il tono dell’odio e dei risentimenti. Troppi fatti personali, troppi miscugli di potere: se tornasse Montesquieu caccerebbe a frustate molti mercanti dai templi delle istituzioni.

Eppure anche tra noi c’è chi parteggia, litiga, si schiera: siamo presi a legnate e baciamo il bastone, siamo volgarmente strumentalizzati (nel voto, nel consenso, nella fiducia) ma ben disposti a metterci in fila, siamo derubati ma inneggiamo ai predoni, ci lamentiamo della pinguedine dei rubicondi commensali ma non vediamo l’ora di sederci al loro fianco, a una qualunque tavola imbandita.

Qualcuno pensa al bene comune? Solo la coerenza lo potrebbe dimostrare, l’esempio. Si dice che Esaù avesse venduto la primogenitura per un piatto di lenticchie, oggi vanno bene pure le frattaglie: si sa che in molti tengono famiglia.

La decadenza, persino la fine della politica, non è un fatto che riguardi solo i potenti di turno, i personaggi incoerenti o le torbide figure dei demagoghi affabulatori, tra sparate e supercazzole.

È piuttosto un fenomeno che si materializza in tutta la sua desolante, impotente tristezza allorquando un popolo, vessato e tradito, insieme alla pazienza perde anche il seme di una minima speranza. Si naviga a vista tra un prestito e un bonus, senza una meta o un progetto, verso il nulla.


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