Ci ha lasciati un altro grande amico, Aurelio Catalano. Il sindacato prima e le Autonomie locali poi sono stati il suo ambito di lavoro durato una vita, in cui ha esplicitato e concretizzato il suo interesse per la politica e la gestione del “bene comune”. Dall'impegno nella DC, nel PPI, nella Margherita, nel PD fino alla deriva renziana; sempre ironico e profondo nelle sue analisi sulle vicende politiche, assiduo e fattivo nel contributo alle attività della nostra Associazione, fino a quando le preoccupazioni per la salute divenuta malferma hanno avuto il sopravvento. Ne pubblichiamo il ricordo dell'amico di sempre, Gianfranco Morgando. Ciao Aurelio, riposa in pace. (a.r.)
La mia amicizia con Aurelio dura da cinquant’anni. Una vita.
È cominciata all’Università, a preparare insieme gli esami più difficili, lui, Antonio Saitta ed io. Ho un ricordo vivo delle serate di studio comune, in cui si alternavano i manuali del professor Lombardini, tante risate e le prime riflessioni sulla politica.
Aurelio era un figlio dell’immigrazione meridionale: papà operaio, mamma casalinga (cucinava benissimo), un alloggio dignitoso in via Bruere, a Cascine Vica. Quando l’ho conosciuto era già uno dei frutti del gruppo di Rivoli della sinistra democristiana. Erano quelli del “Tamburino”, anche se forse in quegli anni il giornalino ciclostilato intorno a cui si era formato un bel gruppo di cultura e di azione politica aveva già cessato le pubblicazioni.
Per Aurelio, come per tanti di noi, il problema era come conciliare un percorso di formazione molto caratterizzato (l’associazionismo cattolico, la Chiesa del Vaticano II, la filosofia personalista di Maritain e di Mounier) con le tensioni culturali e sociali che dal ’68 sconvolgevano la società italiana, e che vivevamo quotidianamente all’Università. La risposta di Aurelio fu l’impegno nel sindacato. Per qualche anno (non ricordo quanto durò questa esperienza) lavorò come operatore sindacale alla FIM. Ne trasse relazioni e strumenti di analisi della realtà sociale e politica che gli saranno preziosi.
I primi anni ’70 furono gli anni della nascita delle Regioni a Statuto Ordinario. Il nuovo assetto istituzionale dello Stato era uno dei frutti del grande dibattito sulle riforme che aveva attraversato la politica italiana negli anni del centro-sinistra declinante, e si presentava con un carico di speranze che oggi forse giudichiamo con l’occhio della delusione. Le attese di allora erano nelle mani di un gruppo di dirigenti politici locali di qualità, e di una piccola squadra di giovani funzionari, in molti casi neolaureati. Aurelio fu tra questi, e iniziò l’attività che svolgerà per tutta la vita: quella dell’Amministrazione. Prima al Consiglio Regionale, in quella fase iniziale di sperimentazione dell’attività legislativa del nuovo ente, poi negli uffici della Giunta regionale e del Comune di Torino, e infine alla Direzione generale della Provincia di Torino.
Una carriera importante, vissuta sempre con uno sguardo ampio, che lo faceva guardare oltre la dimensione quotidiana del lavoro e delle competenze per proporre un piccolo contenuto di utopia. Non è un caso che abbia fortemente contribuito a far nascere un impegno “internazionale” degli Enti Locali piemontesi, caratterizzato soprattutto dall’attenzione ai problemi del terzo mondo, dello sviluppo, della cooperazione.
Naturalmente c’è anche, nei miei ricordi, un Aurelio privato, quello dell’amicizia, del rapporto intenso tra le nostre famiglie, delle tante estati che abbiamo passato insieme a Borgiallo, delle frequenti camminate. Si sentiva un po’ un canavesano di adozione, per il grande amore che aveva per le nostre montagne. Le abbiamo girate in lungo e in largo, battendo sentieri antichi e cercandone di nuovi, preparando accuratamente le uscite e aggregandoci talvolta a qualche amico più esperto di noi.
Le camminate erano l’occasione della discussione. Parlavamo sempre di politica: lui era un bravo analista, capace di intuizioni brillanti. Non sempre eravamo d’accordo sulle scelte concrete, ma sulle questioni di fondo la pensavamo allo stesso modo.
La mia amicizia con Aurelio dura da cinquant’anni. Una vita.
È cominciata all’Università, a preparare insieme gli esami più difficili, lui, Antonio Saitta ed io. Ho un ricordo vivo delle serate di studio comune, in cui si alternavano i manuali del professor Lombardini, tante risate e le prime riflessioni sulla politica.
Aurelio era un figlio dell’immigrazione meridionale: papà operaio, mamma casalinga (cucinava benissimo), un alloggio dignitoso in via Bruere, a Cascine Vica. Quando l’ho conosciuto era già uno dei frutti del gruppo di Rivoli della sinistra democristiana. Erano quelli del “Tamburino”, anche se forse in quegli anni il giornalino ciclostilato intorno a cui si era formato un bel gruppo di cultura e di azione politica aveva già cessato le pubblicazioni.
Per Aurelio, come per tanti di noi, il problema era come conciliare un percorso di formazione molto caratterizzato (l’associazionismo cattolico, la Chiesa del Vaticano II, la filosofia personalista di Maritain e di Mounier) con le tensioni culturali e sociali che dal ’68 sconvolgevano la società italiana, e che vivevamo quotidianamente all’Università. La risposta di Aurelio fu l’impegno nel sindacato. Per qualche anno (non ricordo quanto durò questa esperienza) lavorò come operatore sindacale alla FIM. Ne trasse relazioni e strumenti di analisi della realtà sociale e politica che gli saranno preziosi.
I primi anni ’70 furono gli anni della nascita delle Regioni a Statuto Ordinario. Il nuovo assetto istituzionale dello Stato era uno dei frutti del grande dibattito sulle riforme che aveva attraversato la politica italiana negli anni del centro-sinistra declinante, e si presentava con un carico di speranze che oggi forse giudichiamo con l’occhio della delusione. Le attese di allora erano nelle mani di un gruppo di dirigenti politici locali di qualità, e di una piccola squadra di giovani funzionari, in molti casi neolaureati. Aurelio fu tra questi, e iniziò l’attività che svolgerà per tutta la vita: quella dell’Amministrazione. Prima al Consiglio Regionale, in quella fase iniziale di sperimentazione dell’attività legislativa del nuovo ente, poi negli uffici della Giunta regionale e del Comune di Torino, e infine alla Direzione generale della Provincia di Torino.
Una carriera importante, vissuta sempre con uno sguardo ampio, che lo faceva guardare oltre la dimensione quotidiana del lavoro e delle competenze per proporre un piccolo contenuto di utopia. Non è un caso che abbia fortemente contribuito a far nascere un impegno “internazionale” degli Enti Locali piemontesi, caratterizzato soprattutto dall’attenzione ai problemi del terzo mondo, dello sviluppo, della cooperazione.
Naturalmente c’è anche, nei miei ricordi, un Aurelio privato, quello dell’amicizia, del rapporto intenso tra le nostre famiglie, delle tante estati che abbiamo passato insieme a Borgiallo, delle frequenti camminate. Si sentiva un po’ un canavesano di adozione, per il grande amore che aveva per le nostre montagne. Le abbiamo girate in lungo e in largo, battendo sentieri antichi e cercandone di nuovi, preparando accuratamente le uscite e aggregandoci talvolta a qualche amico più esperto di noi.
Le camminate erano l’occasione della discussione. Parlavamo sempre di politica: lui era un bravo analista, capace di intuizioni brillanti. Non sempre eravamo d’accordo sulle scelte concrete, ma sulle questioni di fondo la pensavamo allo stesso modo.
Anch’io ricordo Catalano e Saitta quando nei primi anni ’70 si iscrissero insieme alla sesta sezione DC di Luigi Targata quando io ero delegato giovanile sezionale. Sempre disponibile, impegnato, disinteressato un ricordo bellissimo di una persona in gamba….
Abitava a pochi metri da casa mia a Cascine Vica. Con lui Gigi Ganzitti e Antonio Saitta mi iscrissi ai giovani della DC. Era già all’epoca, ancorché ragazzo, sempre preparatissimo. Quanti ricordi!!! Ciao Aurelio……
Ricordo Aurelio in occasione di incontri e seminari e quando lavorava in Regione. Uno sguardo profondo e ironico sulla realtà che rendeva sempre gradevole la conversazione.
Consentite agli amici di stringersi tra loro, tramite voi, per ricordare Aurelio: la saggezza, con i ragionamenti precisi e profondi; la competenza; il desiderio di fare il Bene… Ed è BEATO chi ha fame e sete di giustizia.
Mi ritrovo completamente nelle parole di Piercarlo, che saluto con tanto piacere, e desidero ricordare con affetto l’amico, il compagno di partito, il collega in Regione. Mi spiace non averlo più potuto frequentare in questi ultimi tempi ma ho di lui un’immagine fresca e indelebile nei momenti della nostra condivisione di ideali e di un sempre franco confronto sui progetti politici, anche quando i punti di vista erano divergenti. Arrivederci Aurelio.