Solo la ricerca può creare vera ricchezza



Roberto Pertile    18 Luglio 2020       1

Quale può essere, oggi, il “che fare” dell’uomo di governo a capo del sistema produttivo italiano? O meglio, che cosa proprio non deve fare: cioè quello che fa ora. Non c’è, infatti, una rotta lineare che viene percorsa dal governo: si promette un po’ a tutti, confondendo il sostegno sociale con la politica economica. Così, ci si dimentica che per distribuire ricchezza è necessario prima produrla, un procedimento non certo sostituibile con l’indebitamento. E il sussidio a fondo perduto non è che una terribile droga: l’illusione della ricchezza.

Va ribadito che le risorse erogate nel breve periodo, secondo la tecnica detta “a pioggia”, perdono di efficacia anche a livello di mera solidarietà sociale, se non sono “agganciate” a una logica produttiva di medio-lungo periodo. Serve una rotta, chiara e trasparente, sapendo dove andare, tenendo conto che il sistema produttivo italiano è inserito e integrato nella produzione globale. È, però, una componente “debole” della globalizzazione: bassa la produttività, scadente la produttività, raramente è capofila di una rete internazionale. Anche nel turismo, inestimabile patrimonio italiano, il sistema Italia cede il passo a Francia e Spagna, e non solo.

Il prodotto Italia ha perso colpi: lo abbiamo ribadito più volte dalle pagine di questo “magazine”. Alla base della crescita economica c’è l’innovazione tecnologica, che è diventata il vero motore della società. Su questo terreno il sistema produttivo italiano è in grave ritardo. Nella sua storia, l’imprenditoria privata italiana non è stata propensa a fare gli investimenti ad alto rischio che caratterizzano la ricerca e lo sviluppo. A dire il vero, le imprese italiane hanno anche avuto a che fare con un sistema bancario che, in linea di massima, ha sempre rifiutato l’assunzione di rischi presenti nei progetti veramente innovativi.

A nostro avviso, nel “che fare” di oggi è indispensabile una inversione di rotta rispetto al passato, ripartendo innanzi tutto da una diversa gestione delle attuali spese in ricerca e sviluppo. Sappiamo che lo Stato eroga oggi, annualmente, somme destinate alle attività di ricerca sia nelle Università che negli istituti di ricerca pubblici. È un’attività svolta da professori e ricercatori, spesso anche valida, ma sostanzialmente libera da vincoli tematici, e non sempre al servizio delle forti ragioni del bene comune. Data anche la scarsità delle risorse finanziarie disponibili, ci sembra auspicabile un radicale cambiamento nella direzione di una programmazione finalizzata decisamente a una attività di ricerca pubblica.

Quest’ultima andrebbe meglio organizzata mediante sistemi decentrati territorialmente delle università e dei centri di ricerca, e secondo priorità stabilite a livello governativo, ad esempio al primo posto le tecnologie verdi, al secondo gli algoritmi dell’intelligenza artificiale, ecc. Inoltre, va data priorità alla ricerca di base. Si potrebbe attuare anche prevedendo di destinare una parte dello stipendio del singolo professore (il 50%?) vincolandola al piano governativo delle priorità di ricerca. In tal modo, possono essere subito destinate alla ricerca somme nettamente superiori alle attuali. All’obiezione, da parte degli interessati, che così viene limitata la libertà dell’università o del singolo studioso, ci sembra giusto contrapporre il primato del generale interesse per la crescita e lo sviluppo della nostra società.

Solo con un deciso cambio di rotta si potranno programmare e attuare piani e progetti di R&S che difficilmente vedrebbero la luce con le sole forze del mercato. La conseguente ricaduta positiva dei risultati andrebbe a tutto vantaggio delle imprese italiane, sia per le possibili sinergie tra pubblico e privato che per una perseguibile logica di rete territoriale che produce sistema.

È indubbio che intervenire a sostegno dell’innovazione tecnologica significa dare nuova competitività strutturale alla produzione. A tal fine, a nostro modesto avviso, le ricette congiunturali servono ben poco. Su questi temi, a dire il vero, la difficoltà non è tanto nel trovare buone soluzioni di gestione della ricerca, ma nel “non fare” della politica attuale, in preda alla paralisi, incapaci di darsi un’agenda economica che possa ripristinare seriamente un processo di crescita, a iniziare dall’innovazione tecnologica. Va detto con franchezza, il voler dare un sussidio a tutti può servire a rastrellare voti in funzione elettorale, ma certo non consente di gestire la transizione dall’economia industrializzata a quella dell’innovazione, costruendo anche, a medio termine, protezione sociale.

Non tutti sembrano consapevoli di come la vera fonte del benessere di una società sia imprescindibile dalla conoscenza e dall’attività scientifica e tecnologica. Solo operando in tal senso avremo una società più aperta alle idee e alle persone, e la sicurezza di un benessere diffuso e duraturo a medio e lungo termine.

(Tratto da www.politicainsieme.com)


1 Commento

  1. Stimatissimo Pertile,
    tutto sacrosanto, ma la invito a mettersi al mio fianco per la verifica di ciò che scrive e si accorge che nel settore della ricerca italiana regnano pigrizia e i pregiudizi. Diversa è la situazione in Germania dove in modo generalizzato e sistematico si fa ricerca NT applicata e produttiva, in Joint con gruppi internazionali. La ricerca di casa nostra rispecchia la situazione del Bel Paese, confusione e inattendibilità, nonostante istituzionalmente tutte le Università siano abilitate a fare impresa.
    http://openinnovationdays.nova100.ilsole24ore.com/2016/09/13/smart-unipd-luniversita-si-fa-impresa/

    Gradirei essere smentito!

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