Il “Corriere della Sera” ha pubblicato, il 30 giugno scorso un'intervista di Walter Veltroni a Claudio Signorile, che “nel tempo del rapimento di Moro era vicesegretario del PSI (…) ed è stato tra i più impegnati nella ricerca di una soluzione politica che salvasse la vita del presidente della DC”.
È la terza intervista, dopo quelle a Rino Formica e a Claudio Martelli (di luglio e ottobre 2019), che Veltroni dedica ai “misteri” della tragedia di Aldo Moro.
Nella prima intervista, riferendosi al tentativo del PSI di entrare in contatto con le BR, Formica concludeva così la sua riflessione: “Tutti sapevano... Moro poteva essere liberato... Non si è fatto nulla”. E Martelli, ripartendo dal riferimento a Piperno e Pace “che andavano da Morucci”, aggiungeva nella seconda intervista: “Come mai nessuno si è sognato di seguirli? Sarebbero arrivati alla prigione di Moro”.
Il “Corriere”aveva poi pubblicato l'11 novembre 2019 una mia lettera: apprezzavo le due interviste di Veltroni ma contestavo la sconcertante narrazione fatta sugli ultimi giorni della tragedia Moro. In realtà il tentativo di incontrare le BR, cui si erano riferiti Formica e Martelli, parlandone come di una cosa nota a tutti, è emerso dal buio un anno dopo, nel '79, quando la rivista “Metropoli” pubblicò un fumetto sulla morte di Moro, svelando l'impegno di Signorile per stabilire – attraverso Pace e Piperno – un contatto con le BR per salvare Moro.
Per questo motivo ho parlato di “manipolazione della storia”; e riferendomi al “processo Metropoli”, iniziato nell'81, con una lunga istruttoria del giudice Amato, ho scritto: “È stato questo processo a raccontare come è fallito il tentativo dei socialisti di avviare una trattativa con le BR”.
Claudio Signorile ha allora scritto al “Corriere”, di fatto rivolgendosi a me, chiedendo “perché se ne parli ancora di quell'episodio.. .sul quale non ci sarebbe nulla da aggiungere a quanto ha detto la magistratura... Come se (io) ne fossi tormentato... Come se un'ombra sfiori le certezze.”
Per la verità, non io ero tornato “a parlare” di quell'episodio...
Letta l'intervista di Veltroni a Signorile, Pierluigi Castagnetti l'ha giudicata “un lodevole tentativo di raccogliere dai socialisti elementi sconosciuti di verità. Finora solo opinioni, legittime e a volte interessanti, ma pur sempre già conosciute. Mi limito semplicemente a constatarlo”. E dopo altri tweet di apprezzamento, ha aggiunto:“ Non mi sfugge che l'oggetto non è la qualità dell'intervista, decisamente eccellente, ma la reale praticabilità dell'altra linea. Dopo 42 anni siamo ancora lì. In questo senso apprezzo sinceramente che Veltroni continui a intervistare esponenti socialisti, Per capire. E Gianni Riotta, con un tweet che mi è sembrata quasi una provocazione, ha detto: “Ora Veltroni sentirà anche i DC in questa bella serie. Ma mancano troppe parole e vedo ancora – vedi Macaluso – il sinistro fronte della fermezza che impone la sua omertà. Basta leggere i libri di Gotor. Penso che la verità sarebbe feconda...”.
In realtà per conoscere le mie opinioni Riotta potrebbe leggere cosa ho scritto in 1978, la DC, Moro e il terrorismo. Tuttavia avevo già twittato: “Perché il tentativo socialista è fallito? A mio parere la risposta viene dal “processo Metropoli”, ma Signorile in questa intervista evita questa questione. Di buone intenzioni... con quel che segue”. Avrei potuto fermarmi qui. O avrei potuto ricordare che, dall'incontro con Craxi del 26 aprile, Zaccagnini era tornato a Piazza del Gesù a mani vuote. Avrei potuto notare che Signorile nella sua narrazione si riferisce a persone che non ci sono più: Leone, Andreotti, Fanfani, Zaccagnini, Cossiga, Galloni. E che quando, nel corso dell'intervista, Veltroni gli ha chiesto “perché la polizia non abbia seguito Piperno e Pace, dopo i colloqui con voi”, ha risposto : “Perché avevano avuto indicazione di non farlo”.
Veltroni ha insistito: “Da chi?”. E Signorile: “ Non mi permetto di fare illazioni”.
È comunque utile ricordare che Giovanni Galloni ha pubblicato nel 2008 un libro sui suoi 30 anni con Moro (Ed. Riuniti) che contiene una testimonianza sulle opinioni espresse da Signorile nell'incontro tra le delegazioni dei due partiti, avvenuto il 2 maggio. Si trattava di decidere come corrispondere al tema posto da Moro nelle sue lettere a Zaccagnini: lo scambio di prigionieri. Discussione drammatica, senza riferimenti al tentativo avviato dal PSI con Pace e Piperno. Galloni scrive di aver apprezzato l'intelligenza di Signorile e anche le sue opinioni sulla tragedia che stavamo vivendo. Quelle di Signorile erano ipotesi che sembrano anticipare l'intervista di Veltroni.
I dubbi sul “grande vecchio” tormentavano anche Galloni, e non solo lui: chi voleva la morte di Moro e la fine della solidarietà nazionale? I servizi segreti di Paesi del patto di Yalta, anche se tra di loro in conflitto? Negli anni della Guerra Fredda, l'Italia era un paese di frontiera... In quel contesto è accaduto qualcosa?
Alla base della narrazione di Signorile c'è, anche nell'intervista a Veltroni, il teorema sul “probabile” intreccio tra il sistema dei Servizi e la realtà del brigatismo. Ma per ciò che riguardava i Servizi italiani, c'è anche la risposta che, in quelle circostanze, ha dato il generale Ferrara a chi lo interrogava in merito: “I Servizi sono da ricostruire, siamo all'oscuro su tutto”.
Giovanni Galloni ricorda quei dubbi, ma non ignora, nelle sue memorie, le responsabilità delle BR e dei diversi movimenti (Lotta continua, Autonomia proletaria, Potere operaio) in diverso modo tutti con radici nella storia politica italiana; non ignora che condividevano l'obiettivo insurrezionale del partito armato; non ignora ciò che poteva significare un cedimento al terrorismo, un riconoscimento politico di un partito armato che voleva l'insurrezione... E condanna senza incertezze la responsabilità morale e politica di quanti dicevano “Né con lo Stato, né con le Brigate rosse”.
Claudio Signorile è convinto che la mano delle BR sia stata guidata da “qualcuno venuto da fuori”, come lo definì Craxi; e che, quando si indicano le BRcome responsabili dell'uccisione di Moro “si ha a che fare con figure tipo Moretti, che sono assolutamente subalterne, borderline...”. Questa convinzione lascia in ombra il fatto che – prima e dopo l'uccisione di Aldo Moro – le BR e le altre organizzazioni terroristiche hanno ucciso magistrati, giornalisti, politici, agenti e carabinieri, considerati “servi delle multinazionali”. Gli anni di piombo, il terrorismo e la strategia della tensione, non sono archiviabili come un incubo...Neppure la “svolta” nella lotta al terrorismo avviata dal ministro Rognoni e dal generale Dalla Chiesa ha troncato un attacco terrorista che ha inciso in profondità sulla storia della Repubblica.
Dal processo Metropoli emergono le responsabilità delle BR. Moretti, capo della colonna romana, decide di eseguire la sentenza di morte dello statista, con una decisione condivisa dai vertici delle BR; e porta – non da solo – il cadavere di Aldo Moro in via Caetani.
Restano senza risposta molte domande. Perché l'esecuzione è stata anticipata al giorno in cui era convocata la direzione della DC? Per tagliare il nodo di un contrasto con Morucci e Faranda? Perché questa era la volontà dell'organizzazione? Per timore che la polizia stesse scoprendo la prigione di Moro?
Ciò che resta oscuro non può essere usato per alimentare sospetti contro la strategia della fermezza.
E non aiuta “a capire” la narrazione che Signorile fa dell'incontro con Cossiga, la mattina del 9 maggio: dell'ignoto che stava per travolgere quella giornata, ne sapeva più Signorile (Pace aveva comunicato a Craxi che la situazione rischiava di precipitare...) che il Ministro degli Interni.
Il processo Metropoli non ha risposto a questi interrogativi, ma ha detto che la trattativa era gestita “politicamente” dai socialisti; che da questa vicenda “nel corso dell'istruttoria sono emersi particolari non noti alle autorità inquirenti, né all'opinione pubblica”; che il tentativo di incontrare le BR per avviare una trattativa (volta a salvare la vita di Moro) è fallito.
Il “Corriere della Sera” ha poi pubblicato, il 2 luglio, un'intervista di Walter Veltroni a Beppe Pisanu, con il titolo Quando Zaccagnini incontrò Craxi per salvare Moro. Ma fu deluso.
Come aveva previsto Gianni Riotta, Veltroni ha dato la parola a Beppe Pisanu, che era nel '78 capo della segreteria politica di Zaccagnini, “un testimone privilegiato di quei mesi di travaglio e dolore vissuti a Piazza del Gesù”. Nelle sue risposte, dopo aver ricordato “con il senno di allora”, con riferimento alle lettere di Moro, che “noi avevamo la sensazione che fosse in corso una subdola azione volta a screditare l'immagine morale e politica di Moro”, Pisanu riconosce che “la rilettura critica fatta in sede storiografica” ha dimostrato che “in realtà Moro – a parte i condizionamenti delle BR – stava facendo vivere le idee che aveva sempre sostenuto sul primato della persona umana”. Circa l'idea socialista “che era possibile una qualche forma di trattativa con le BR”, dice di “ricordare bene che il 26 aprile Zaccagnini decise di andare lui da Craxi per chiedere che cosa esattamente si potesse proporre. Fu piuttosto deluso”. E sottolinea come questo passo di Zaccagnini abbia suscitato anche critiche da parte delle altre parti politiche...
Zaccagnini, era convinto che “non bisognasse lasciare nulla di intentato per restituire Moro alla famiglia e al suo partito” ; e nello stesso tempo “si attenne lealmente alle intese sulla linea della fermezza, nella convinzione politica profonda che non ci fosse alternativa a quella linea”. “Anche se – aggiunge Pisanu – con il senno di poi uno Stato democratico più forte e con una più solida maggioranza parlamentare forse avrebbe accettato la trattativa e poi avrebbe regolato a suo modo i conti con le BR”.
L'intervista a Pisanu (che è stato Ministro degli Interni nel 2005-2006), rievoca l'ostilità di Kissinger verso Moro (di cui ha scritto ampiamente Galloni) e verso la sua politica, e anche i sospetti sulla presenza di diversi Servizi segreti in questa tragica vicenda.
Tuttavia per quanto riguarda le interviste/ricerca di Veltroni, il pensiero di Pisanu si riassume in queste parole: ”C'erano le sollecitazioni che arrivavano dalle BR e poi le notizie che di rimbalzo giungevano dal Partito socialista, che sembrava avere una sua linea di comunicazione con i brigatisti... Abbiamo appreso 'dopo' che faceva capo a Pace e Piperno. Solo fumi, niente che ci potesse fare immaginare a quale gesto avrebbe corrisposto davvero la liberazione di Moro”.
È la terza intervista, dopo quelle a Rino Formica e a Claudio Martelli (di luglio e ottobre 2019), che Veltroni dedica ai “misteri” della tragedia di Aldo Moro.
Nella prima intervista, riferendosi al tentativo del PSI di entrare in contatto con le BR, Formica concludeva così la sua riflessione: “Tutti sapevano... Moro poteva essere liberato... Non si è fatto nulla”. E Martelli, ripartendo dal riferimento a Piperno e Pace “che andavano da Morucci”, aggiungeva nella seconda intervista: “Come mai nessuno si è sognato di seguirli? Sarebbero arrivati alla prigione di Moro”.
Il “Corriere”aveva poi pubblicato l'11 novembre 2019 una mia lettera: apprezzavo le due interviste di Veltroni ma contestavo la sconcertante narrazione fatta sugli ultimi giorni della tragedia Moro. In realtà il tentativo di incontrare le BR, cui si erano riferiti Formica e Martelli, parlandone come di una cosa nota a tutti, è emerso dal buio un anno dopo, nel '79, quando la rivista “Metropoli” pubblicò un fumetto sulla morte di Moro, svelando l'impegno di Signorile per stabilire – attraverso Pace e Piperno – un contatto con le BR per salvare Moro.
Per questo motivo ho parlato di “manipolazione della storia”; e riferendomi al “processo Metropoli”, iniziato nell'81, con una lunga istruttoria del giudice Amato, ho scritto: “È stato questo processo a raccontare come è fallito il tentativo dei socialisti di avviare una trattativa con le BR”.
Claudio Signorile ha allora scritto al “Corriere”, di fatto rivolgendosi a me, chiedendo “perché se ne parli ancora di quell'episodio.. .sul quale non ci sarebbe nulla da aggiungere a quanto ha detto la magistratura... Come se (io) ne fossi tormentato... Come se un'ombra sfiori le certezze.”
Per la verità, non io ero tornato “a parlare” di quell'episodio...
Letta l'intervista di Veltroni a Signorile, Pierluigi Castagnetti l'ha giudicata “un lodevole tentativo di raccogliere dai socialisti elementi sconosciuti di verità. Finora solo opinioni, legittime e a volte interessanti, ma pur sempre già conosciute. Mi limito semplicemente a constatarlo”. E dopo altri tweet di apprezzamento, ha aggiunto:“ Non mi sfugge che l'oggetto non è la qualità dell'intervista, decisamente eccellente, ma la reale praticabilità dell'altra linea. Dopo 42 anni siamo ancora lì. In questo senso apprezzo sinceramente che Veltroni continui a intervistare esponenti socialisti, Per capire. E Gianni Riotta, con un tweet che mi è sembrata quasi una provocazione, ha detto: “Ora Veltroni sentirà anche i DC in questa bella serie. Ma mancano troppe parole e vedo ancora – vedi Macaluso – il sinistro fronte della fermezza che impone la sua omertà. Basta leggere i libri di Gotor. Penso che la verità sarebbe feconda...”.
In realtà per conoscere le mie opinioni Riotta potrebbe leggere cosa ho scritto in 1978, la DC, Moro e il terrorismo. Tuttavia avevo già twittato: “Perché il tentativo socialista è fallito? A mio parere la risposta viene dal “processo Metropoli”, ma Signorile in questa intervista evita questa questione. Di buone intenzioni... con quel che segue”. Avrei potuto fermarmi qui. O avrei potuto ricordare che, dall'incontro con Craxi del 26 aprile, Zaccagnini era tornato a Piazza del Gesù a mani vuote. Avrei potuto notare che Signorile nella sua narrazione si riferisce a persone che non ci sono più: Leone, Andreotti, Fanfani, Zaccagnini, Cossiga, Galloni. E che quando, nel corso dell'intervista, Veltroni gli ha chiesto “perché la polizia non abbia seguito Piperno e Pace, dopo i colloqui con voi”, ha risposto : “Perché avevano avuto indicazione di non farlo”.
Veltroni ha insistito: “Da chi?”. E Signorile: “ Non mi permetto di fare illazioni”.
È comunque utile ricordare che Giovanni Galloni ha pubblicato nel 2008 un libro sui suoi 30 anni con Moro (Ed. Riuniti) che contiene una testimonianza sulle opinioni espresse da Signorile nell'incontro tra le delegazioni dei due partiti, avvenuto il 2 maggio. Si trattava di decidere come corrispondere al tema posto da Moro nelle sue lettere a Zaccagnini: lo scambio di prigionieri. Discussione drammatica, senza riferimenti al tentativo avviato dal PSI con Pace e Piperno. Galloni scrive di aver apprezzato l'intelligenza di Signorile e anche le sue opinioni sulla tragedia che stavamo vivendo. Quelle di Signorile erano ipotesi che sembrano anticipare l'intervista di Veltroni.
I dubbi sul “grande vecchio” tormentavano anche Galloni, e non solo lui: chi voleva la morte di Moro e la fine della solidarietà nazionale? I servizi segreti di Paesi del patto di Yalta, anche se tra di loro in conflitto? Negli anni della Guerra Fredda, l'Italia era un paese di frontiera... In quel contesto è accaduto qualcosa?
Alla base della narrazione di Signorile c'è, anche nell'intervista a Veltroni, il teorema sul “probabile” intreccio tra il sistema dei Servizi e la realtà del brigatismo. Ma per ciò che riguardava i Servizi italiani, c'è anche la risposta che, in quelle circostanze, ha dato il generale Ferrara a chi lo interrogava in merito: “I Servizi sono da ricostruire, siamo all'oscuro su tutto”.
Giovanni Galloni ricorda quei dubbi, ma non ignora, nelle sue memorie, le responsabilità delle BR e dei diversi movimenti (Lotta continua, Autonomia proletaria, Potere operaio) in diverso modo tutti con radici nella storia politica italiana; non ignora che condividevano l'obiettivo insurrezionale del partito armato; non ignora ciò che poteva significare un cedimento al terrorismo, un riconoscimento politico di un partito armato che voleva l'insurrezione... E condanna senza incertezze la responsabilità morale e politica di quanti dicevano “Né con lo Stato, né con le Brigate rosse”.
Claudio Signorile è convinto che la mano delle BR sia stata guidata da “qualcuno venuto da fuori”, come lo definì Craxi; e che, quando si indicano le BRcome responsabili dell'uccisione di Moro “si ha a che fare con figure tipo Moretti, che sono assolutamente subalterne, borderline...”. Questa convinzione lascia in ombra il fatto che – prima e dopo l'uccisione di Aldo Moro – le BR e le altre organizzazioni terroristiche hanno ucciso magistrati, giornalisti, politici, agenti e carabinieri, considerati “servi delle multinazionali”. Gli anni di piombo, il terrorismo e la strategia della tensione, non sono archiviabili come un incubo...Neppure la “svolta” nella lotta al terrorismo avviata dal ministro Rognoni e dal generale Dalla Chiesa ha troncato un attacco terrorista che ha inciso in profondità sulla storia della Repubblica.
Dal processo Metropoli emergono le responsabilità delle BR. Moretti, capo della colonna romana, decide di eseguire la sentenza di morte dello statista, con una decisione condivisa dai vertici delle BR; e porta – non da solo – il cadavere di Aldo Moro in via Caetani.
Restano senza risposta molte domande. Perché l'esecuzione è stata anticipata al giorno in cui era convocata la direzione della DC? Per tagliare il nodo di un contrasto con Morucci e Faranda? Perché questa era la volontà dell'organizzazione? Per timore che la polizia stesse scoprendo la prigione di Moro?
Ciò che resta oscuro non può essere usato per alimentare sospetti contro la strategia della fermezza.
E non aiuta “a capire” la narrazione che Signorile fa dell'incontro con Cossiga, la mattina del 9 maggio: dell'ignoto che stava per travolgere quella giornata, ne sapeva più Signorile (Pace aveva comunicato a Craxi che la situazione rischiava di precipitare...) che il Ministro degli Interni.
Il processo Metropoli non ha risposto a questi interrogativi, ma ha detto che la trattativa era gestita “politicamente” dai socialisti; che da questa vicenda “nel corso dell'istruttoria sono emersi particolari non noti alle autorità inquirenti, né all'opinione pubblica”; che il tentativo di incontrare le BR per avviare una trattativa (volta a salvare la vita di Moro) è fallito.
Il “Corriere della Sera” ha poi pubblicato, il 2 luglio, un'intervista di Walter Veltroni a Beppe Pisanu, con il titolo Quando Zaccagnini incontrò Craxi per salvare Moro. Ma fu deluso.
Come aveva previsto Gianni Riotta, Veltroni ha dato la parola a Beppe Pisanu, che era nel '78 capo della segreteria politica di Zaccagnini, “un testimone privilegiato di quei mesi di travaglio e dolore vissuti a Piazza del Gesù”. Nelle sue risposte, dopo aver ricordato “con il senno di allora”, con riferimento alle lettere di Moro, che “noi avevamo la sensazione che fosse in corso una subdola azione volta a screditare l'immagine morale e politica di Moro”, Pisanu riconosce che “la rilettura critica fatta in sede storiografica” ha dimostrato che “in realtà Moro – a parte i condizionamenti delle BR – stava facendo vivere le idee che aveva sempre sostenuto sul primato della persona umana”. Circa l'idea socialista “che era possibile una qualche forma di trattativa con le BR”, dice di “ricordare bene che il 26 aprile Zaccagnini decise di andare lui da Craxi per chiedere che cosa esattamente si potesse proporre. Fu piuttosto deluso”. E sottolinea come questo passo di Zaccagnini abbia suscitato anche critiche da parte delle altre parti politiche...
Zaccagnini, era convinto che “non bisognasse lasciare nulla di intentato per restituire Moro alla famiglia e al suo partito” ; e nello stesso tempo “si attenne lealmente alle intese sulla linea della fermezza, nella convinzione politica profonda che non ci fosse alternativa a quella linea”. “Anche se – aggiunge Pisanu – con il senno di poi uno Stato democratico più forte e con una più solida maggioranza parlamentare forse avrebbe accettato la trattativa e poi avrebbe regolato a suo modo i conti con le BR”.
L'intervista a Pisanu (che è stato Ministro degli Interni nel 2005-2006), rievoca l'ostilità di Kissinger verso Moro (di cui ha scritto ampiamente Galloni) e verso la sua politica, e anche i sospetti sulla presenza di diversi Servizi segreti in questa tragica vicenda.
Tuttavia per quanto riguarda le interviste/ricerca di Veltroni, il pensiero di Pisanu si riassume in queste parole: ”C'erano le sollecitazioni che arrivavano dalle BR e poi le notizie che di rimbalzo giungevano dal Partito socialista, che sembrava avere una sua linea di comunicazione con i brigatisti... Abbiamo appreso 'dopo' che faceva capo a Pace e Piperno. Solo fumi, niente che ci potesse fare immaginare a quale gesto avrebbe corrisposto davvero la liberazione di Moro”.
Bodrato conosce la mia reazione di sconcerto alle paginate del Corriere sul caso Moro che portano la firma di Walter Veltroni. Con Guido, che non sentivo da anni, avevo sfogato il mio disappunto. Al tempo del sequestro Moro non facevo politica, ma partecipai con grande intensità emotiva a quel dramma: lavoravo al fianco di Giuseppe Lazzati, costituente, rettore della Cattolica, sincero amico ed estimatore di Moro, che tuttavia mai nutrì dubbi sulla linea della fermezza. Pur con una indicibile sofferenza.
No, io non ho apprezzato le interviste del Corriere ai tre socialisti che, in forme più o meno aperte, sostenevano che i vertici politici e istituzionali tutti – notare: targati Dc – sarebbero stati a conoscenza della possibilità di raggiungere i brigatisti che tenevano in ostaggio Moro, solo che non vollero spendersi davvero per la sua liberazione. Scusate se è accusa da poco! Mi sorprendo, anzi, che a tali accuse non si sia reagito con adeguata fermezza da parte di chi ebbe responsabilità decisionali. Tantomeno ho apprezzato che a mettere la firma in calce a quella inchiesta sia non un giornalista qualsiasi, ma una persona come Veltroni che ha avuto alte responsabilità politico-istituzionali. Come hanno osservato Bodrato e, dopo di lui, Pisanu, persino con troppo garbo, in quelle interviste si è manipolata la realtà e non si è aggiunto niente di nuovo. La sola domanda suscitata da quelle paginate è quale mai sia l’intento di Veltroni. Davvero non mi spiego. Forse quello di prendere le distanze dal vecchio PCI e dalla sua linea della fermezza, nel solco dell’endorsement veltroniano secondo il quale lui non è mai stato comunista?
Non sarò io a negare le tante, troppe pagine oscure di quella tragedia nazionale. Anche io faccio fatica a credere che non vi siano stati interferenze e condizionamenti esterni alle Br. Nè tocca a me, che non avevo responsabilità alcuna, difendere i vertici Dc di allora – Zaccagnini e i suoi più stretti collaboratori – più o meno esplicitamente accusati di inerzia se non di complicità. Ma trovo l’operazione grossolana, semplicistica (come se la liberazione di Moro fosse cosa facile) e persino infamante per chi si assunse la grave responsabilità di non scendere a patti con i terroristi. In nome di un’etica della responsabilità in capo a uomini dello Stato che, noto, con il tempo, si tende a rappresentare come un alibi pretestuoso e bugiardo. A distanza di tanti anni e alla luce di ciò che è affiorato poi, si può anche rivedere qualche giudizio, si deve di sicuro sostenere che non lo Stato come tale, ma quel concreto Stato e chi lo rappresentava, rivelatisi così inadeguati, per qualità ed efficacia, non furono all’altezza del loro compito e anche a pensare che forse l’esito avrebbe potuto essere diverso. Ma di qui a concludere che tutti sapevano e tuttavia non vollero liberare Moro ne corre.
Bodrato ha chiarito un punto cruciale: del canale aperto con i rapitori rappresentato da Piperno e Pace non è vero che la Dc e le autorità istituzionali fossero a conoscenza. Comunque non Zaccagnini e i suoi collaboratori. Lo erano taluni esponenti socialisti che oggi lo rivendicano come un merito e si spingono sino a imputare ad altri la colpa di non essersene avvalsi. Per parte mia, all’opposto, non giudico affatto come un merito l’avere intrattenuto relazioni tanto pericolose con l’acquario torbido nel quale nuotavano i pesci del terrorismo. Costoro dovevano cooperare allora, con trasparenza e senza secondi fini, con le autorità per stanare i rapitori e non muovere ora ad altri accuse tanto infamanti quanto indimostrate. Tali comportamenti al limite della provocazione semmai mi confermano in una convinzione: che, a fronte di chi sosteneva con limpida coscienza la linea della trattativa (salvo una massima indeterminatezza circa le sue concrete concessioni), vi fossero altri che erano mossi da ragioni politiche non altrettanto innocenti. Diciamo non di natura umanitaria. In breve, non ho cambiato opinione: penso che, allora, in concreto, non si dessero alternative alla linea della fermezza e che un cedimento avrebbe travolto le istituzioni. Oltre che le due forze, Dc e PCI, architrave del sistema politico. Per essere più schietto: le pesanti accuse e il polverone sollevato a tanta distanza di tempo dai vari Formica e Signorile semmai mi confermano nell’opinione che al conclamato umanitarismo nel PSI, dentro quella distretta, si associasse un calcolo politico mirato a profittarne per mettere in scacco i due principali partiti schierati sulla linea della fermezza. In coerenza con la strategia craxiana mirata a farsi largo con ogni mezzo tra Dc e PCI, rovesciando i rapporti di forza a sinistra. La circostanza che siano trascorsi tanti anni non è una buona ragione perché ex politici e improvvisati giornalisti trattino una materia così incandescente con tale disinvoltura.
Grazie molte delle precisazioni dell’amico Guido Bodrato su un tema delicatissimo, che richiede rispetto e riguardo, e grazie anche a Franco Monaco, che di rincalzo, denuncia con vigore la superficialità di chi, con grave irresponsabilità come il “divo” Veltroni, tratta con disinvoltura una materia così dolorosa e incandescente.