Germi di totalitarismo planetario



Giuseppe Davicino    5 Luglio 2020       1

Come continuatori di una cultura politica popolare e riformatrice di ispirazione cristiana possiamo rassegnarci all'idea che le sfide cruciali di questa prima metà del secolo siano lasciate solo a forze e organizzazioni che, per caso, in un estremo tentativo di salvare se stesse tentano di evitare, o almeno ritardano, l'epilogo tragico che incombe sul nostro tempo?

Il mondo sta precipitando in un'altra epoca buia. La nuova superclasse globale, un manipolo di miliardari della globalizzazione, non si accontenta più di condizionare la politica, ma scalpita per afferrare nelle sue mani il potere mondiale.

Visto da questa angolazione il virus rivitalizza ed accelera un piano che negli ultimi anni aveva subito qualche imprevista battuta d'arresto. Vista la manipolazione della psicologia collettiva, il fatto che in futuro sempre nuovi virus potranno alimentare il clima artificiale di terrorismo sanitario politico-mediatico e giustificare nuove cancellazioni di libertà personali e politiche, ne tradisce gli intenti totalitari. In questo senso il virus si è rivelato un buon investimento, c'è solo da attendere che maturino i suoi frutti in autunno.

Il cambio della guardia alla Casa Bianca è il presupposto perché un sistema totalitario mondiale possa instaurarsi, mettendo nei fatti la potenza militare ed economica americana al servizio delle organizzazioni internazionali infiltrate e controllate, anche con sistemi molto poco ortodossi, dai poteri globalisti. E che possa rafforzarsi attraverso l'alleanza con la grande Germania, alias Europa tedesca, e con la Cina, assumendo dalla prima il primato dell'economia e della moneta sulla politica e dalla seconda i metodi dittatoriali mixati con i nuovi e invasivi sistemi digitali di controllo e repressione.

Orbene, se tale ed enorme è il pericolo da scongiurare, non risulta giustificabile la latitanza delle culture riformatrici, alternative alla destra, a cominciare dalla nostra, quella cattolico-democratica e popolare. Non possiamo limitarci ad affrontare i pur importanti nodi economici e sociali senza interrogarsi sulla prospettiva. Un piano europeo per la ripresa può costituire un grande risultato, se viene posto al servizio di un progetto politico pensato per cittadini liberi e dotati di coscienza e dignità umana, e non di zombies, già morti in vita per la paura delle malattie in nome della quale rinunciano alla loro privacy e ai diritti individuali e alle libertà politiche, acconsentono a vaccinazioni a tappeto che li trasformano in automi transumani, eterodiretti secondo i capricci dell'élite globalista.

Urge farci sentire non foss'altro perché i disegni totalitari prima o poi si disintegrano, non senza prima però aver prodotto grandi rovine. E non ci può essere vero sviluppo economico, se prima non si ripristinano le condizioni per una vera comunità umana.

Per quale genere di sortilegio la cultura politica popolare, che ha nella sussidiarietà uno dei suoi pilastri, esita ad alzare la voce su un tale modello di governance? Perché mai la concentrazione estrema del potere in mano a lobbies e corporations prive di controllo democratico, dovrebbe esser preferibile al potere legittimamente esercitato dalle istituzioni ai vari livelli? Eppure la battaglia decisiva si sta svolgendo proprio su questo fronte, quello della sovranità democratica. Che non è sovranismo, bensì patriottismo costituzionale. Per timore del risorgere dei nazionalismi siamo divenuti complici, insieme a una sinistra che sembra aver smarrito le sue fondamentali cause storiche, delle peggiori e più agguerrite forme di nazionalismo: quello cinese, quello tedesco e quello americano, ma nei fatti apolide, dell'oligarchia economica e finanziaria.

Bisogna spezzare le catene del politicamente corretto (il recente articolo di Ladetto, di cui consiglio vivamente la lettura QUI IL LINK, ci ricorda il perché), se vogliamo riposizionarci dalla parte "giusta" della storia, per riconciliarci con la nostra comune identità politica e con la nostra tradizione. Ma soprattutto per esser all'altezza delle sfide del futuro, riguadagnando e rifondando su nuove basi il rapporto con la sinistra, bisognosa forse più di noi, di ritrovare se stessa.


1 Commento

  1. Effettivamente, nella società odierna, c’è una deriva totalitaria alimentata da cause varie: l’insofferenza della finanza internazionale rispetto ai limiti posti da confini, culture, sovranità nazionali; il conformismo prodotto da un pensiero unico veicolato dai media succubi del predetto finanzcapitalismo (nato nel mondo anglosassone e ad esso connaturato); la volontà degli apparati statunitensi (indipendentemente da chi sia al governo del paese) di garantire all’America il mantenimento del ruolo egemonico conquistato con il crollo dell’Unione Sovietica. Fin qui mi trovo in sintonia con quanto scrive Giuseppe Davicino.
    Non vedo invece il concorso della Germania e della Cina nella creazione di tale deriva in un mondo in cui il peso della superclasse globale sarebbe diventato tale da annullare i fattori geopolitici che da sempre muovono l’onda lunga della storia e determinano le strategie di politica internazionale.
    Ha scritto recentemente Lucio Caracciolo su La Stampa che, al di là delle mosse dettate sul momento da esigenze particolari, lo scontro con Pechino “per le élite strategiche di Washington è la partita del secolo. Perderla significa rinunciare al primato mondiale….L’obiettivo è chiaro: abbattere il regime del Partito comunista e frammentare la Cina, riportandola alla condizione di totale inconsistenza geopolitica sperimentata nel secolo del disonore, fra metà Ottocento e metà Novecento”. Consapevole di ciò, “Xi Jinping è sulla difensiva: sollecita l’orgoglio patriottico e mobilita le masse nel sacro richiamo alla protezione del territorio nazionale”. (Quanto accade a Hong Kong non è estraneo a questa rappresentazione).
    Disgregare la Cina, così come la Russia, è l’obiettivo di chi vuole la leadership planetaria. In tale obiettivo, rientrano anche il veto ad un serio processo di unificazione europea, e la messa nell’angolo della Germania (vista come potenziale centro di aggregazione del continente o comunque sempre come una protagonista ingombrante).

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