L’Italia ferma nella guerra globale



Giuseppe Davicino    21 Giugno 2020       1

È opinione diffusa che gli eventi di straordinaria gravità che hanno segnato questo primo semestre del 2020 siano quasi niente in confronto a quanto rischia di succedere nel prossimo semestre in Europa e nel mondo. Il clima è tesissimo perché la guerra per ridefinire gli equilibri di potenza a livello globale è entrata nella fase decisiva.

L'élite super-ricca che controlla i giganti globali della finanza, dell'economia, dell'industria farmaceutica, dei media, di internet punta all'offensiva finale contro la democrazia e la libertà, le quali hanno nell'Occidente l'ultimo baluardo, in particolare nel suo centro, gli Stati Uniti. La suddetta oligarchia mira pertanto a riprendere il prossimo 3 novembre il pieno controllo degli USA, onde poter diluire la residua egemonia americana nei corruttibili e per questo a lei docili organismi internazionali, degradati a cinghia di trasmissione di quanto deciso sulla testa dell'umanità da un manipolo di miliardari senza alcun controllo democratico.

Questo, ridotto all'essenziale, è il nuovo totalitarismo che si sta costruendo nel XXI secolo grazie all'asse fra il cosiddetto "Stato profondo" americano, la Germania ridivenuta egemone in Europa, e la Cina che prova a pensarsi come potenza mondiale. Dove le nuove tecnologie e le nuove possibilità dischiuse dalla scienza, usate per scopi totalitari (come quei nuovi vaccini progettati non per proteggere dalle malattie ma per tracciare e controllare le persone fino a modificare il nostro codice genetico e abolire la nostra privacy), vengono coniugate insieme all'ordoliberismo tedesco, che sottrae l'economia al controllo dei parlamenti, e al regime dittatoriale cinese.

L'eccessivo allarmismo globale creato dai media per l'influenza stagionale di quest'anno, e ingigantito da protocolli scientemente sbagliati diffusi dalll'OMS, che hanno favorito i contagi anziché ridurli, a quel disegno serve.

Il teatro principale di questa guerra sono gli Stati Uniti. Ma dall'esito delle presidenziali americane, avvelenate ad arte dai conflitti razziali, dipenderà anche il futuro dell'Europa. Per questa ragione la Germania prende tempo e si prepara a qualunque scenario. Con la sentenza della propria corte costituzionale di Karlsruhe ha notificato che non esiste altra Europa al di fuori di quella austeritaria e ordoliberista tedesca. Creando così i presupposti per la fine dell'Eurozona nei prossimi mesi, nel caso in cui i Paesi del Sud Europa, verso cui la BCE a guida francese presta attenzione, non confermassero la loro sottomissione alle politiche euro-tedesche, e in caso di esito sfavorevole per Berlino delle elezioni americane.

In mezzo a questa guerra globale l'Italia appare immobile, incapace di abbozzare una propria strategia, se non quella di stare alla finestra a osservare l'evoluzione degli eventi.

Caduta completamente nella trappola dell'OMS, l'Italia ha dapprima minimizzato il virus quando servivano misure drastiche, modello Taiwan, per poi adottare restrizioni tardive, fortemente nocive per l'economia, a virus ormai molto depotenziato o addirittura scomparso. E non è stata capace di erogare sovvenzioni in misura adeguata ai danni prodotti dalla chiusura per virus e in tempi rapidi, contribuendo così ad aumentare i danni perché molte imprese e molti posti di lavoro saranno distrutti, preparando per l'autunno una situazione incandescente sul piano sociale ed economico.

Sciagurato appare il rifiuto del ministro dell'economia Gualtieri di non emettere subito titoli pubblici in misura adeguata ai bisogni per la ripresa. Titoli italiani che vanno a ruba sui mercati e che sono garantiti dalla BCE a guida Lagarde. L'ostinazione del Partito Democratico a voler sottostare a tutti i costi al MES, costerà molto cara al Paese, se non sarà sconfitta dalla volontà del premier Conte e dei parlamentari 5 Stelle di rifiutare di assumere impegni capestro che piacciono alla Germania e che mettono a rischio il lavoro, il welfare, le case e i risparmi degli italiani.

Il voto parlamentare sul fondo salva-Stati, che prima o poi vi sarà, ci dirà come stanno le cose sia nella maggioranza di governo che in una opposizione assente, inadeguata e priva di idee.

In tutto ciò traspare, come nelle fasi che precedono grandi conflitti, l'inadeguatezza dell'attuale classe dirigente e la difficoltà delle culture politiche democratiche e popolari di mettere a fuoco gli effettivi punti dello scontro in atto e il loro senso.

Ma una politica incapace di leggere il proprio tempo, di sensibilizzare e di orientare i cittadini e di indicare un orizzonte, è una politica che si condanna a essere scalzata da fenomeni e movimenti che dalle questioni irrisolte traggono forza e che sarà difficile contenere in un quadro democratico e di unità nazionale.

Anche per scongiurare questi pericoli i Popolari in questa fase così buia e delicata della storia, se ci sono, credo dovrebbero battere un colpo.


1 Commento

  1. Non solo l’Italia ma anche l’Europa, l’Europa politica, l’Europa dei popoli e delle cancellerie, balbetta e non riesce ad articolare un’analisi strategica, un’iniziativa chiara. Lo sta tentando fra mille esitazioni la Francia che forse ammaestrata dalla storia ha capito che la ricerca dell’equilibrio interno è vitale per il rilancio geopolitico del continente. I sogni neocarolingi intesi a costruire in Europa un ordine egemonico se in qualche caso sono stati vettori di modernità si sono infranti a causa del modello obsoleto e superato che pretendevano di incarnare: così avvenne alla Francia napoleonica (che seminò paradossalmente modernità e seppellì definitivamente l’antico regime) così fu per i sogni di gloria del terzo reich che seminò soltanto macerie; nel primo come nel secondo caso gli Stati europei seppero reagire ritrovando la traccia di un nuovo ordine fondato sull’equilibrio: con i trattati e le alleanze sapientemente soppesate nel caso dell’epoca postnapoleonica (e la pace di Vienna perdurò per una cinquantina di anni), con la creazione di un’unione dopo il secondo conflitto mondiale. La Germania con le sue pulsioni egemoniche mina le fondamenta di questa costruzione fragile e imprescindibile. Il frantumarsi dell’ordine scaturito dal congresso di Vienna liberò energie che sfociarono nei conflitti mondiali; oggi la pace è nuovamente a rischi ma le variabili nell’era della globalizzazione sono assai più complesse, contraddittorie, piene di trabocchetti e se un conflitto armato fra le potenze europee è impensabile (e anche storicamente un po’ … ridicolo) potrebbe scatenarsi su altri scenari geopolitici che non lascerebbero indenne il continente; l’Europa anziché essere luogo di mediazione potrebbe trasformarsi in virtù proprio della sua debolezza nel punto di caduta di tensioni planetarie (uno schema collaudato: pensiamo all’equilibrio dell’Italia che secondo l’acuta percezione di Metternich condizionava gli equilibri europei oppure, a inizio seicento, il ruolo nevralgico rappresentato dalla lotta apparentemente trascurabile per la conquista di un piccolo territorio come il Monferrato che fece da detonatore ai conflitti che devastarono l’Europa nel XVII secolo). Esiste oggi a complicare il quadro la questione della qualità delle classi dirigenti e politiche frutto anche del depauperamento democratico (voluto? Davicino sembra sospettarlo e non credo che sia lontano dal vero). A Vienna c’erano i Metternich, Talleyrand, Alessandro I di Russia, nel dopoguerra i De Gasperi, Adenauer, Monnet, Schuman… e oggi?

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