Dunque, Alessandra Ghisleri ci dice che il tasso di credibilità dei politici oggi è appena sopra il 4%. Il dato più basso dopo la stagione fatta di insulti, contumelie e volgarità che il fondatore dei 5 Stelle, Beppe Grillo, rovesciava sui politici italiani nel lontano 2008 all’epoca del cosiddetto “vaffaday”. Ilvo Diamanti, da par sua, ci ricorda attraverso una sua inchiesta, che la maggioranza dei cittadini italiani invoca sempre di più la presenza di un “capo” in politica.
Sono due elementi, questi, che portano ad una medesima conclusione, almeno così mi pare. E parliamo di ricerche condotte da due autorevoli e raffinati osservatori della politica italiana. E cioè, da un lato la sostanziale scomparsa, o meglio la progressiva irrilevanza, dei partiti come strutture politiche ed organizzative e, dall’altro, la caduta verticale del confronto interno ai partiti. Almeno per quanto riguarda la percezione di interesse dei cittadini. Due elementi, appunto, che non potranno non avere una forte influenza sugli stessi comportamenti politici furti dei cittadini.
E questo perché la verticalizzazione della politica, la richiesta di avere un capo e il tramonto dell’interesse per il confronto all’interno di partiti, non potrà che avere forti ripercussioni sulle stesse dinamiche della politica italiana. Non a caso, dicono sempre i due illustri studiosi dei trend e dei comportamenti politici nel nostro paese, si tratta di una tendenza già presente nel tessuto democratico del nostro sistema ben prima dell’emergenza sanitaria nazionale che ci ha drammaticamente colpiti nei mesi scorsi. Una tendenza che rischia, però adesso, di indebolire progressivamente la stessa qualità della democrazia e delle stesse istituzioni democratiche. Perchè, come ben sappiamo, sono proprio i partiti la garanzia per dare ossigeno democratico all’intero sistema politico. Quando i partiti si indeboliscono o non sono più percepiti come tali dalla pubblica opinione, ma una semplice presenza ornamentale, inevitabilmente cresce la voglia di avere un “capo” e quindi, di conseguenza, una riduzione degli stessi spazi democratici.
Ora, se questo è lo scenario che si apre al nostro orizzonte – e la difficoltà ad incontrarsi e a ripetere le modalità tradizionali del far politica lo accentua ancor di più – si tratta di capire come è possibile invertire la rotta e riprendere, se possibile, un percorso democratico nei partiti e nella stessa società italiana. Se, invece, si pensa che la personalizzazione della politica italiana sarà l’epilogo finale di questo processo, ci si dovrà rassegnare ad una prospettiva dove accanto ai capi partito ci saranno solo e soltanto dei comitati elettorali funzionali al capo di turno. Uno scenario decisamente diverso da quello che il sistema Italia ha conosciuto e sperimentato per molti decenni.
I partiti, di conseguenza, adesso devono riscoprire sino in fondo la loro valenza democratica, partecipativa e politica. E cioè, o sono strumenti politici in grado di canalizzare e veicolare la partecipazione popolare attraverso programmi e progetti, oppure è del tutto naturale che si trasformino in puri ed aridi cartelli elettorali del tutto evanescenti e persin inutili ai fini della elaborazione politica, culturale e programmatica. Perché se si sommano ancora per qualche tempo profonda sfiducia nei confronti dei politici e voglia crescente di verticalizzazione dei processi politici, i partiti saranno conosciuti solo per ciò che hanno rappresentato in un passato ormai improponibile e lontano, molto lontano. Molto dipende, al riguardo, come si comporteranno coloro che continuano a riconoscersi nelle culture politiche che hanno contribuito, e che contribuiscono, a rafforzare e a consolidare la nostra democrazia e il nostro impianto istituzionale democratico.
Certo, c’è poco da aspettarsi da partiti come i 5 Stelle che hanno sempre avuto come obiettivo prioritario quello di radere al suolo tutto ciò che è riconducibile al passato. Tocca, invece, a tutti coloro che continuano o credere nei partiti come strumenti democratici ed espressione di precise culture politiche, farsi carico di questo lavoro di ricostruzione della politica e della qualità della nostra democrazia. L’alternativa, purtroppo, già la conosciamo.
Sono due elementi, questi, che portano ad una medesima conclusione, almeno così mi pare. E parliamo di ricerche condotte da due autorevoli e raffinati osservatori della politica italiana. E cioè, da un lato la sostanziale scomparsa, o meglio la progressiva irrilevanza, dei partiti come strutture politiche ed organizzative e, dall’altro, la caduta verticale del confronto interno ai partiti. Almeno per quanto riguarda la percezione di interesse dei cittadini. Due elementi, appunto, che non potranno non avere una forte influenza sugli stessi comportamenti politici furti dei cittadini.
E questo perché la verticalizzazione della politica, la richiesta di avere un capo e il tramonto dell’interesse per il confronto all’interno di partiti, non potrà che avere forti ripercussioni sulle stesse dinamiche della politica italiana. Non a caso, dicono sempre i due illustri studiosi dei trend e dei comportamenti politici nel nostro paese, si tratta di una tendenza già presente nel tessuto democratico del nostro sistema ben prima dell’emergenza sanitaria nazionale che ci ha drammaticamente colpiti nei mesi scorsi. Una tendenza che rischia, però adesso, di indebolire progressivamente la stessa qualità della democrazia e delle stesse istituzioni democratiche. Perchè, come ben sappiamo, sono proprio i partiti la garanzia per dare ossigeno democratico all’intero sistema politico. Quando i partiti si indeboliscono o non sono più percepiti come tali dalla pubblica opinione, ma una semplice presenza ornamentale, inevitabilmente cresce la voglia di avere un “capo” e quindi, di conseguenza, una riduzione degli stessi spazi democratici.
Ora, se questo è lo scenario che si apre al nostro orizzonte – e la difficoltà ad incontrarsi e a ripetere le modalità tradizionali del far politica lo accentua ancor di più – si tratta di capire come è possibile invertire la rotta e riprendere, se possibile, un percorso democratico nei partiti e nella stessa società italiana. Se, invece, si pensa che la personalizzazione della politica italiana sarà l’epilogo finale di questo processo, ci si dovrà rassegnare ad una prospettiva dove accanto ai capi partito ci saranno solo e soltanto dei comitati elettorali funzionali al capo di turno. Uno scenario decisamente diverso da quello che il sistema Italia ha conosciuto e sperimentato per molti decenni.
I partiti, di conseguenza, adesso devono riscoprire sino in fondo la loro valenza democratica, partecipativa e politica. E cioè, o sono strumenti politici in grado di canalizzare e veicolare la partecipazione popolare attraverso programmi e progetti, oppure è del tutto naturale che si trasformino in puri ed aridi cartelli elettorali del tutto evanescenti e persin inutili ai fini della elaborazione politica, culturale e programmatica. Perché se si sommano ancora per qualche tempo profonda sfiducia nei confronti dei politici e voglia crescente di verticalizzazione dei processi politici, i partiti saranno conosciuti solo per ciò che hanno rappresentato in un passato ormai improponibile e lontano, molto lontano. Molto dipende, al riguardo, come si comporteranno coloro che continuano a riconoscersi nelle culture politiche che hanno contribuito, e che contribuiscono, a rafforzare e a consolidare la nostra democrazia e il nostro impianto istituzionale democratico.
Certo, c’è poco da aspettarsi da partiti come i 5 Stelle che hanno sempre avuto come obiettivo prioritario quello di radere al suolo tutto ciò che è riconducibile al passato. Tocca, invece, a tutti coloro che continuano o credere nei partiti come strumenti democratici ed espressione di precise culture politiche, farsi carico di questo lavoro di ricostruzione della politica e della qualità della nostra democrazia. L’alternativa, purtroppo, già la conosciamo.
Lascia un commento