La solita FIAT



    3 Giugno 2020       6

E così FCA ha chiesto a Banca IntesaSanpaolo un prestito di 6,3 miliardi di euro garantiti dallo Stato italiano al 70%.

Come tutti sanno l'acronimo FCA significa FIAT Chrysler Automobiles, ma questa volta potremmo declinarlo con FIAT Chiede Aiuto. E di aiuto la casa automobilistica ne ha davvero bisogno, vista la crisi economica mondiale da coronavirus.

Anche prima dell'epidemia non è che la Company, orfana del suo salvatore Marchionne, navigasse in buone acque, e aveva cercato di risollevarsi lanciando la fusione con Peugeot. Che dall'accordo con i francesi, ai quali andrà la maggioranza, arrivassero 5 miliardi di euro nelle tasche degli azionisti FCA può aver fatto erroneamente pensare a una situazione di cassa florida per il gruppo di origini torinesi. Poi il patatrac del virus planetario, con crollo delle vendite, auto nuove mestamente ammassate sui piazzali, produzione ferma, cassa integrazione negli stabilimenti. E la richiesta di megaprestito garantito in ultima istanza dallo Stato italiano.

Qui le polemiche si sono sprecate. Ma come? Se il gruppo si è trasferito da anni con sede legale ad Amsterdam e sede fiscale a Londra (per pagare meno tasse, principalmente...), non può più battere cassa dalle parti di Roma...

In realtà FCA ha pieno diritto a chiedere il prestito per sostenere le sue attività in Italia, molto ridotte rispetto ai tempi d'oro (e a Torino ne sappiamo qualcosa...): dopo tutto il governo Conte ha deciso di garantire con le banche i prestiti non solo per fare un bel gesto ma perché le aziende – piccole, medie e grandi – ne usufruissero. Nessuna sorpresa quindi per la richiesta di FCA, anche accettando le tre vincolanti condizioni del finanziamento: 1) non distribuire dividendi; 2) non acquistare azioni proprie; 3) non licenziare. C'è chi ritiene questa mossa l'implicita ammissione di essere in situazione disperata, bisognosa di soldi non per fare investimenti, ma per pagare dipendenti e fornitori.

Non sappiamo se è proprio così, e cosa riserverà il futuro. Vedremo.

Abbiamo però buona memoria del passato e ricordiamo le tante scelte fallimentari fatte dagli Agnelli e dai loro manager di fiducia succedutisi al comando dell'azienda. Tutti campioni di un capitalismo italico abilissimo nel privatizzare i profitti e socializzare le perdite: risultato ottenuto grazie all'asservimento di una classe politica che tra Prima e Seconda Repubblica si è sempre dimostrata prona – con qualche eccezione, pensiamo a Donat-Cattin – ai voleri della casa regnante torinese. Forse per una malintesa interpretazione del celeberrimo verso evangelico Fiat voluntas tua o, più realisticamente, per la capacità persuasiva – tra potere, denaro, giornali, relazioni e glamour – che esprimeva l'Avvocato.

Oggi molte cose sono cambiate: da Gianni a John, da Montezemolo a Lapo, dalle 500 e Punto per tutti alle (nuove) 500 e Jeep per pochi, dai Valletta e Romiti ai manager svizzeri, inglesi, francesi. E a Torino, dove tutto è cominciato, la presenza industriale dell'azienda si è ridotta al lumicino: il cuore di FCA si è disperso fra Detroit, Londra, Amsterdam, tra poco anche Parigi.

Ma quando si ripresenta l'occasione di mungere un po' di denaro dalle nostre malandate casse pubbliche, ecco che torniamo a riconoscerla: è sempre lei, la solita, cara, carissima FIAT.


6 Commenti

  1. siete l’associazione popolari o Rifondazione Comunista. Articolo in cui dimenticate che se gli Agnelli hanno avuto soldi dallo Stato al Governo c’eravate sempre voi. articoli che spingono la gente a destra, e nel populismo quando lo capirete sarà troppo tardi, saluti.

    • bravo, giusto Claudio.
      in particolare nell’articolo si omette che i soldi andranno alla filiera dell’indotto della FCA italiana, salvando miglia e migliaia posti di lavoro, che si leggono: OPERAI E IMPIEGATI

  2. Inquadrare con equilibrio la situazione serve per capire: cui prodest? Lo stato puo’sostenere le imprese ma cum grano salis. Il pregiudizio, quale che esso sia, serve alla propaganda. Non alla politica.

  3. Articolo bellissimo, vale più di mille analisi socioeconomiche dei cosiddetti professori. Un po’ meno il commento rabbioso, fuori luogo e gratuitamente insultante di C.Chiarle, ovvio che con simili pensieri, i rampanti nuovi manager cosmopoliti della Fiat (ritengo Gianni Agnelli un personaggio anni luce avanti, rispetto a questi) e con loro tutto il capitalismo arcaico italiano dormiranno sonni tranquilli.

  4. Non capisco il tono del pezzo. Il costo del Lockdown mette in difficoltà quasi tutte le migliori aziende e pertanto il credito è necessario. Il punto è che i vari Governi non si sono dati una politica industriale dell’auto, l’industria delle industrie. Grave non lo abbia fatto Prodi il più attrezzato nel genere dopo Donat-Cattin. Ora, dopo l’accordo con PSA, è irrinunciabile. Così come è irrinunciabile chiedere a John Elkan di reinvestire su Torino.

  5. Questione complessa mi limito a poche osservazioni. Marchionne ha ristrutturato i conti salvando probabilmente un’azienda in chiara difficoltà, spostando successivamente il baricentro sulla finance e concedendo alla componente engineering e produttiva dell’azienda giusto una minima quantità di ossigeno così da scongiurarne la morte industriale; questo in EMEA: su altri quadranti geoeconomici gli investimenti non sono mancati; EMEA e (per conseguenza) Torino hanno patito le conseguenze di questa politica.
    In secondo luogo: FCA conservava una preminenza nel campo dei motori diesel grazie alle ricerche e agli investimenti effettuati in passato: ora il diesel è sotto accusa. Ingiustamente, non è vero che un diesel moderno euro 6-d sia particolarmente inquinante; in termini assoluti, se si considerano i consumi di carburante non lo è; emette una quantità di polveri sottili leggermente superiore a quella di un benzina di ultima generazione ma sempre in misura molto ridotta rispetto agli euro 4 di pochi anni fa. Sono i paesi nordici (proprio quelli “frugali” che stanno affossando l’Europa e pretendono il massacro dei nostri pensionati, Rutte dixit) a pilotare questo attacco che penalizzerà moltissimo anche la Germania. La scomparsa della filiera del diesel rappresenterà un danno gravissimo per le nostre eccellenze ingegneristiche e per il nostro mercato. La transizione all’elettrico puro favorirà moltissimo la Cina dove le fabbriche di batterie costano molto meno che in Europa semplicemente a causa dei bassissimi sistemi di tutela dei lavoratori che vigono in quella che è – non dimentichiamolo mai!- una dittatura retta dal partito unico (e sui fatti di Honk Kong si moltiplicano le distrazioni e le amnesie). Il motore elettrico tecnicamente è molto più semplice di un motore diesel e richiede meno competenza ingegneristica e meno addetti alla produzione. Perché FCA sempre pronta a utilizzare la politica non crea un cartello con altri produttori per contrastare questa tendenza giustificata da un equivoco e falso ecologismo (chi scrive si è da sempre impegnato nelle battaglie a favore dell’ambiente: ma quelle vere!)
    Un ultima osservazione: è vergognoso che esistano i paradisi fiscali in Europa (l’arroganza olandese è inescusabile) ma è parimenti deplorevole che tanti italiani ne approfittino a cominciare dalla famiglia Elkann.

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