E la natura finisce per ribellarsi…



Francesco Provinciali    31 Maggio 2020       0

Anche adoperando la distinzione tra “mondo” e “terra” recentemente proposta da Pietrangelo Buttafuoco per spiegare il conflitto natura-progresso e dar conto dello “stupro” che si perpetua, riuscirebbe difficile riassumere quello che è successo negli ultimi decenni di presenza dell’uomo e della vita sul pianeta.

Siamo sideralmente lontani dalla descrizione del villaggio di Macondo nel celebre incipit di Cent’anni di solitudine di Gabriel Garcia Marquez: “Il mondo era così recente, che molte cose erano prive di nome, e per citarle bisognava indicarle col dito”.

Dopo l’onda lunga e pervasiva della globalizzazione che ha scardinato le coordinate spazio-temporali della sostenibilità ambientale a favore di una prevalenza antropologica totalizzante e ubiquitaria, ora potremmo dire che quella concezione primordiale di conoscenza del mondo – che generava stupore, emozione e rispetto nella sua scoperta – si è ribaltata: sappiamo adesso il nome di ogni cosa e anzi abbiamo a disposizione più nomi che oggetti.

Per la prima volta nella storia disponiamo di una serie di definizioni superiori alla stessa realtà: poiché la dominiamo apparentemente al punto tale da sentircene padroni per poterla descrivere in modi diversi. Specialmente se utilizziamo le categorie della conoscenza reale e di quella virtuale: la globalizzazione agisce come moltiplicatore infinito di potenzialità a portata di mano.

Tecnologia e digitalizzazione rischiano di perdere la loro neutralità se non sono guidate dalla prudenza e dalla lungimiranza che muovono verso il bene comune. Bisogna recuperare le ragioni di una compresenza tra due poli che non sono antitetici: come sostiene Giulio Giorello scienza e tecnica possono essere ancillari alla ricerca filosofica poiché sono in grado di offrire un supporto strumentale indispensabile al perseguimento di scopi e progetti esistenziali e di modelli di convivenza eticamente orientati.

Tuttavia la crescita economica è spesso incompatibile con le regole imposte dalla natura: quando queste sono violate si possono verificare conseguenze dagli esiti imprevedibili. Una intera umanità che gira con le mascherine, che è irreggimentata in divieti, regole, ordini, sanzioni pone interrogativi sul presente e sul futuro. Il Mondo nuovo di Aldous Huxley è alle porte: anzi lo stiamo già abitando. Crescendo in media di 70 milioni ogni anno entro il 2050 raggiungeremo l’astronomica cifra di dieci miliardi di abitanti.

È giunta l’ora che i governi degli Stati e gli Organismi internazionali impongano confini invalicabili all’invadenza espansiva della post-globalizzazione, che l’uomo la smetta di consumare e distruggere le risorse naturali e ambientali pena l’incombenza di ultimative condizioni di sopravvivenza delle specie, ivi compresa quella umana.

L’ONU ha evidenziato che ci troviamo alle soglie della sesta estinzione della vita sul pianeta, la prima per mano dell’uomo. È inaccettabile che gli interessi dei singoli Stati o delle alleanze generate a livello geopolitico e geoeconomico ignorino il grido d’allarme ambientalista, sia esso quello lanciato da Greta Thunberg o rappresentato dagli atti degli organismi internazionali, troppo spesso ignorati.

Il mondo sta tollerando una costosa burocrazia dell’inazione e dell’indecisione: istituzioni che producono Rapporti eloquenti nella loro drammaticità previsionale ma che non sortiscono esiti concreti e inversioni di rotta, poiché cozzano con le logiche appropriative, espansive e spartitorie delle grandi potenze.

Il tema della sostenibilità ambientale sovrasta ogni ragionevole discussione sui destini del mondo.

A cominciare dal processo di estinzione delle biodiversità, analizzato in tutta la sua drammatica attualità dai Rapporti ONU/OCSE/Ipbes dello scorso anno, più volte citati anche in relazione agli studi e alle ricerche che hanno messo e mettono in relazione questo fenomeno con l’eziopatogenesi del flagello pandemico planetario in atto.

L’impreparazione dell’umanità in generale a un simile evento e lo scomposto reagire della politica mondiale – tra delirio di onnipotenza e di controllo da un lato ed empiriche soluzioni di contenimento e di profilassi e terapia dall’altro – hanno messo in evidenza la forza dirompente e reattiva della natura ad una costruzione antropocentrica della realtà.

Il pianeta è come una balena spiaggiata, piena di plastica e intossicata, le sue icone sono la deforestazione (specie Amazzonica) provocata dall’uomo, per disboscamento o incendio, l’inquinamento totale, la siccità, il surriscaldamento globale, la scomparsa lenta e inesorabile delle biodiversità, l’innalzamento dei mari provocato dallo scioglimento dei ghiacciai.

Uno studio del 2017 dell'AMAP (Arctic Monitoring and Assessment Programme) prevede che nel 2100 a causa dello scioglimento dei ghiacciai del Polo Nord, i livelli degli oceani potrebbero innalzarsi fino a 25 centimetri, un'evenienza che avrebbe ripercussioni drammatiche in città come New York e Tokyo, per citare le più importanti.

La natura sembra subire l’opera distruttiva dell’uomo ma quando gli equilibri di compresenza e compatibilità vengono alterati, essa si ribella e finisce per ostacolare, arginare, fermare lo strapotere della specie umana.

Vivendone ora le drammatiche conseguenze dovremmo capire che anche lo scatenarsi di una crisi pandemica a livello mondiale rientra in una forma reattiva a comportamenti scellerati.


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