Da www.ilcaffeonline.it rilanciamo la parte iniziale della lunga intervista che Maurizio Cuzzocrea ha fatto a Giuseppe Fioroni, presidente della Commissione bicamerale sul caso Moro che ha concluso i propri lavori nella passata legislatura.
Il 9 maggio è la data del ritrovamento del corpo di Aldo Moro, una data che segna la storia dell’Italia repubblicana. Cosa ricorda? Come ha vissuto quei giorni del ’78?
Sono quarantadue anni da quando Aldo Moro fu ucciso. Noi giovani democristiani eravamo in mobilitazione permanente. Fu uno shock, un trauma. Ero in Università cattolica e, appena appresa la notizia, convergemmo tutti in Piazza del Gesù sconvolti da quello che era accaduto e delle cui dimensioni non avevamo alcuna cognizione. Non avevamo cognizione di ciò che quell’evento avrebbe significato per le vite degli italiani degli anni ’70 e ’80, ma soprattutto di ciò che avrebbe significato nella vita delle donne e degli uomini contemporanei. Chi ha rapito e poi ucciso Aldo Moro dopo aver massacrato gli uomini della sua scorta lo ha fatto perché Moro rappresentava l’architrave della rinascita, della rigenerazione della democrazia italiana. Non della Democrazia Cristiana, ma della democrazia italiana.
Moro era quindi un innovatore?
Aveva compreso dai piccoli segni dei tempi (come tutti coloro che hanno un pensiero lungo e approfondito aveva una visione profetica del tempo che trascorreva) quello che sarebbe accaduto alla nostra democrazia. Piccoli fatti come la riduzione che oggi definiremmo dell’affluenza alle urne, che viveva come un momento di distacco tra l’elettore e la politica, con la percezione chiara che quando l’elettore non partecipa alle elezioni è la sconfitta della democrazia. E non capitava, come spesso oggi viene la tentazione di dire, che “gli elettori non mi hanno capito”. Moro non ha mai detto “gli elettori non ci hanno capito”. Moro aveva chiarissimo che quando la politica non riesce ad ottenere il consenso degli italiani c’è solo una possibilità, che non è cambiare gli elettori ma adeguare la linea politica o cambiare i politicanti. E da questi piccoli segni dei tempi aveva capito che la democrazia italiana aveva bisogno di un elettroshock, aveva bisogno di un radicale processo di rigenerazione. Aveva di fronte a sé che la prima fase della Repubblica, finita il 9 maggio del ’78 (questo credo che sia ormai un dato assodato), era inevitabilmente in declino.
Iniziava quindi già allora un corto circuito tra società e rappresentanza politica?
L’Italia era diventata una Nazione perché quel patto costituente, che aveva visto uniti i partiti popolari di massa che condividevano un certo nucleo di valori, le aveva dato una bussola valoriale. Ciò valse da subito, negli anni immediatamente successivi all’approvazione della Costituzione, ma già con l’allargamento della maggioranza a centrosinistra Moro, come pure Berlinguer, avverte la necessità che una rigenerazione ridisegnasse una bussola valoriale comune per gli italiani, che desse inizio della Seconda Repubblica. Parlo di quei valori che sono indiscutibili e inalienabili per tutti i cittadini, o almeno per la loro grande maggioranza, e che per essi rappresentano il bene, e quei disvalori che rappresentano il male. Chi ha ucciso Moro ha bloccato questo percorso, e ciò ci ha portato inevitabilmente al punto in cui siamo oggi, quando l’Italia è senza una bussola valoriale di riferimento, e non intendo una bussola di tipo politico-partitico ma di un tipo che indichi ciò che è bene per il Paese e ciò che è male.
A distanza di tanto tempo, la crisi politica di quegli anni rimane attuale in forma di crisi di valori della società?
Questo procedere affannoso del dopo Moro ci conduce ad oggi, quando la bussola è semplificata nel fatto che quello che fa piacere a me è il mio bene, e quello che fa dispiacere a me è il mio male, un egoismo che causa un danno incredibile non alle singole persone ma al sistema comunità. Insomma, è come se fossimo un grandissimo sacco di lombrichi, dotati di grande vivacità che sprecano nell’arrampicarsi l’uno sull’altro, pensando che ci si possa salvare da soli e uscire dal sacco. La rigenerazione che voleva mettere in campo Moro era questa bussola di valori condivisi che consentisse a tutti di rinunciare a qualche cosa di legittimo oggi in cambio di un domani pieno di risposte per i propri figli. Chi ha ucciso Moro ha inevitabilmente bloccato tutto questo, come capita in un sisma, quando ti viene giù l’architrave di casa e perdi la testa, esci in ordine sparso, ti butti dalla finestra.
Moro era un leader che credeva nella partecipazione dei cittadini alla costruzione della società tramite i partiti e la partecipazione alla vita politica?
Dal giorno successivo al rapimento è iniziata la paura del dopo Moro, la paura perché l’architrave della rigenerazione democratica non c’era più. Così si giunse al navigare a vista dell’ultimo tempo, quello del pentapartito, in cui si cominciò con il rinunciare alle visioni lunghe per finire con lo spiaggiarsi sulle vicende di Tangentopoli. Lì si è verificato il secondo drammatico rischio paventato da Moro. Tutte le sue pagine trasudano della necessità che il cittadino sia compartecipe della progettazione, sia consapevole dei programmi, ma sia anche profondamente legato ad una appartenenza valoriale e di identità. Dal ’94, senza bussola, siamo passati in una situazione in cui nessuno è stato più in grado di elaborare un progetto politico lungimirante e un pensiero lungo di politica. Si è aggirato l’ostacolo togliendo centralità alla politica e trasformando il bisogno di un surplus di politica nel totem della legge elettorale. Noi abbiamo sostituito la politica con la legge elettorale e abbiamo, a fronte del feticcio della stabilità, approvato il criterio che non serve credere in qualcosa e poi scegliere qualcuno, ma serve soltanto credere in qualcuno. È una cosa importante la leadership, ma quando tutto diventa leadership, i partiti diventano come fan club di qualcuno, e quando c’è la personalizzazione della scelta, con una grande parte di elettorato fluttuante, è inevitabile che si annidi quel degrado che poi è il principio di una politica inquinata dal mercanteggiare dove tutti si comprano e tutti si vendono.
È l’assenza di un progetto di lungo periodo che porta i cittadini a disertare le urne?
Si pensi che Moro era preoccupato della riduzione anche minimale dell’affluenza alle urne, come lo era Berlinguer, mentre oggi le elezioni le vincono quasi sempre quelli che rimangono a casa, e le nostre leggi elettorali dicono che non c’è problema purché la maggioranza di quei pochi che vanno a votare la possa detenere io. Immaginate la gente come Moro che faceva i comizi fino alle due di notte per avere il contatto carnale con la gente. Oggi la vedrei dura, per lui, ridurre i suoi discorsi in 140 caratteri o in un post su facebook. Moro aveva il contatto con milioni di persone perché girava l’Italia per piazze gremite. C’era un rapporto tra eletto ed elettore. Noi abbiamo invertito anche questo rapporto. Oggi il rapporto è tra l’eletto e il capo. È il capo che si preoccupa di portare i consensi e l’eletto si preoccupa di dare il consenso al capo. Il rapporto tra eletto ed elettore è del tutto marginale perché vicariato dal rapporto tra eletto e capo, e questo è parte del processo involutivo che la morte di Aldo Moro ha avviato.
Quali erano i cardini delle politiche di Aldo Moro?
A me piace ricordare due cose: l’istruzione e la politica estera. Moro è stato uno dei più grandi ministri della pubblica istruzione in Italia, dove nel concetto di pubblica egli faceva rientrare anche il diritto delle scuole paritarie di esistere e di esistere anche nella pluralità al diritto di educare. Il Moro professore riconobbe necessario, per l’aumento del PIL del Paese, il “Non è mai troppo tardi” di Alberto Manzi. Il direttore della Rai gli disse: “Abbiamo trovato il maestro per la trasmissione” ma non lo guardava negli occhi. “E allora? Qual è il problema?” “Non so come dirglielo. È iscritto al Partito comunista” “Perché, per le tabelline e la grammatica è necessario non essere iscritti al Partito comunista?”. La seconda cosa che fece fu avviare il ciclo dell’obbligo dell’istruzione, che oggi mettiamo in discussione non capendo a cosa serve. Lui lo portò ai tre anni della media, che poi completò l’attuale Presidente Mattarella, nella convinzione che ci sono delle conoscenze e delle competenze che prescindono da quello che farai nella vita, ma da cui dipende il tuo diritto di cittadinanza. Questo è lo schema che Moro aveva. Faccio riferimento all’istruzione perché Moro capì per primo che l’educazione e il merito, che bistrattiamo tanto,consentono a chiunque di fare qualsiasi cosa, a prescindere dalle raccomandazioni dovute al censo o alla nascita.
E la politica estera?
E poi ci sono i tre fatti di politica estera. Quando nel ’71 va all’ONU e, in un mondo diviso fra Est e Ovest, fa un grandissimo discorso dove dice che non è possibile vivere in un pianeta in cui la storia è fatta soltanto da pochi Paesi, e gli altri Paesi la subiscono. Di qui la necessità della multilateralità e della solidarietà internazionale, con la convinzione che i Paesi che non fanno la storia, quando non avranno più nulla da perdere, prenderanno le barche e verranno da noi. Questo discorso potrebbe essere stato scritto oggi, cinquant’anni dopo. Poi, nel 1973, ipotizza la prima conferenza Europa Mediterraneo. Dicono di Renzi che abbia l’imprimatur di “Europa è Mediterraneo”, ma l’idea è di Aldo Moro, del 1973, quando fece il giro dei Paesi del Nord Africa, facendo avvelenare sia i russi che gli americani e mettendo le basi per la prima conferenza Europa Mediterraneo. Infine, il lavoro che fa in Europa. Moro era ossessionato dal fatto che l’Italia fosse un piccolo Paese, lungo, dentro il Mediterraneo, e che quindi avesse bisogno, per contare di più, di un ONU forte e di un’Europa fortissima, e un’Europa fortissima doveva essere una Europa politica. Così, sotto la sua presidenza ci fu la decisione di fare la prima elezione a suffragio universale del Parlamento europeo, che fu poi spostata dal ’78 al ’79 perché egli morì. Tutto questo configura perché lo hanno rapito e perché lo hanno ucciso. Moro ai terroristi, chiunque essi siano, non mette paura perché gestisce il potere, ma mette paura perché elabora, pensa, progetta, innova e ammoderna. E Moro era il prototipo di tutto questo, di chi poteva cambiare l’Italia con il processo di rigenerazione e rinnovamento della democrazia italiana ed era quindi il loro principale nemico. Poi la convergenza di non essere gradito né all’Est né all’Ovest ha indotto molti a commettere peccati di omissione, perché potendo fare non hanno fatto e potendo sapere non hanno voluto sapere.
Il 9 maggio è la data del ritrovamento del corpo di Aldo Moro, una data che segna la storia dell’Italia repubblicana. Cosa ricorda? Come ha vissuto quei giorni del ’78?
Sono quarantadue anni da quando Aldo Moro fu ucciso. Noi giovani democristiani eravamo in mobilitazione permanente. Fu uno shock, un trauma. Ero in Università cattolica e, appena appresa la notizia, convergemmo tutti in Piazza del Gesù sconvolti da quello che era accaduto e delle cui dimensioni non avevamo alcuna cognizione. Non avevamo cognizione di ciò che quell’evento avrebbe significato per le vite degli italiani degli anni ’70 e ’80, ma soprattutto di ciò che avrebbe significato nella vita delle donne e degli uomini contemporanei. Chi ha rapito e poi ucciso Aldo Moro dopo aver massacrato gli uomini della sua scorta lo ha fatto perché Moro rappresentava l’architrave della rinascita, della rigenerazione della democrazia italiana. Non della Democrazia Cristiana, ma della democrazia italiana.
Moro era quindi un innovatore?
Aveva compreso dai piccoli segni dei tempi (come tutti coloro che hanno un pensiero lungo e approfondito aveva una visione profetica del tempo che trascorreva) quello che sarebbe accaduto alla nostra democrazia. Piccoli fatti come la riduzione che oggi definiremmo dell’affluenza alle urne, che viveva come un momento di distacco tra l’elettore e la politica, con la percezione chiara che quando l’elettore non partecipa alle elezioni è la sconfitta della democrazia. E non capitava, come spesso oggi viene la tentazione di dire, che “gli elettori non mi hanno capito”. Moro non ha mai detto “gli elettori non ci hanno capito”. Moro aveva chiarissimo che quando la politica non riesce ad ottenere il consenso degli italiani c’è solo una possibilità, che non è cambiare gli elettori ma adeguare la linea politica o cambiare i politicanti. E da questi piccoli segni dei tempi aveva capito che la democrazia italiana aveva bisogno di un elettroshock, aveva bisogno di un radicale processo di rigenerazione. Aveva di fronte a sé che la prima fase della Repubblica, finita il 9 maggio del ’78 (questo credo che sia ormai un dato assodato), era inevitabilmente in declino.
Iniziava quindi già allora un corto circuito tra società e rappresentanza politica?
L’Italia era diventata una Nazione perché quel patto costituente, che aveva visto uniti i partiti popolari di massa che condividevano un certo nucleo di valori, le aveva dato una bussola valoriale. Ciò valse da subito, negli anni immediatamente successivi all’approvazione della Costituzione, ma già con l’allargamento della maggioranza a centrosinistra Moro, come pure Berlinguer, avverte la necessità che una rigenerazione ridisegnasse una bussola valoriale comune per gli italiani, che desse inizio della Seconda Repubblica. Parlo di quei valori che sono indiscutibili e inalienabili per tutti i cittadini, o almeno per la loro grande maggioranza, e che per essi rappresentano il bene, e quei disvalori che rappresentano il male. Chi ha ucciso Moro ha bloccato questo percorso, e ciò ci ha portato inevitabilmente al punto in cui siamo oggi, quando l’Italia è senza una bussola valoriale di riferimento, e non intendo una bussola di tipo politico-partitico ma di un tipo che indichi ciò che è bene per il Paese e ciò che è male.
A distanza di tanto tempo, la crisi politica di quegli anni rimane attuale in forma di crisi di valori della società?
Questo procedere affannoso del dopo Moro ci conduce ad oggi, quando la bussola è semplificata nel fatto che quello che fa piacere a me è il mio bene, e quello che fa dispiacere a me è il mio male, un egoismo che causa un danno incredibile non alle singole persone ma al sistema comunità. Insomma, è come se fossimo un grandissimo sacco di lombrichi, dotati di grande vivacità che sprecano nell’arrampicarsi l’uno sull’altro, pensando che ci si possa salvare da soli e uscire dal sacco. La rigenerazione che voleva mettere in campo Moro era questa bussola di valori condivisi che consentisse a tutti di rinunciare a qualche cosa di legittimo oggi in cambio di un domani pieno di risposte per i propri figli. Chi ha ucciso Moro ha inevitabilmente bloccato tutto questo, come capita in un sisma, quando ti viene giù l’architrave di casa e perdi la testa, esci in ordine sparso, ti butti dalla finestra.
Moro era un leader che credeva nella partecipazione dei cittadini alla costruzione della società tramite i partiti e la partecipazione alla vita politica?
Dal giorno successivo al rapimento è iniziata la paura del dopo Moro, la paura perché l’architrave della rigenerazione democratica non c’era più. Così si giunse al navigare a vista dell’ultimo tempo, quello del pentapartito, in cui si cominciò con il rinunciare alle visioni lunghe per finire con lo spiaggiarsi sulle vicende di Tangentopoli. Lì si è verificato il secondo drammatico rischio paventato da Moro. Tutte le sue pagine trasudano della necessità che il cittadino sia compartecipe della progettazione, sia consapevole dei programmi, ma sia anche profondamente legato ad una appartenenza valoriale e di identità. Dal ’94, senza bussola, siamo passati in una situazione in cui nessuno è stato più in grado di elaborare un progetto politico lungimirante e un pensiero lungo di politica. Si è aggirato l’ostacolo togliendo centralità alla politica e trasformando il bisogno di un surplus di politica nel totem della legge elettorale. Noi abbiamo sostituito la politica con la legge elettorale e abbiamo, a fronte del feticcio della stabilità, approvato il criterio che non serve credere in qualcosa e poi scegliere qualcuno, ma serve soltanto credere in qualcuno. È una cosa importante la leadership, ma quando tutto diventa leadership, i partiti diventano come fan club di qualcuno, e quando c’è la personalizzazione della scelta, con una grande parte di elettorato fluttuante, è inevitabile che si annidi quel degrado che poi è il principio di una politica inquinata dal mercanteggiare dove tutti si comprano e tutti si vendono.
È l’assenza di un progetto di lungo periodo che porta i cittadini a disertare le urne?
Si pensi che Moro era preoccupato della riduzione anche minimale dell’affluenza alle urne, come lo era Berlinguer, mentre oggi le elezioni le vincono quasi sempre quelli che rimangono a casa, e le nostre leggi elettorali dicono che non c’è problema purché la maggioranza di quei pochi che vanno a votare la possa detenere io. Immaginate la gente come Moro che faceva i comizi fino alle due di notte per avere il contatto carnale con la gente. Oggi la vedrei dura, per lui, ridurre i suoi discorsi in 140 caratteri o in un post su facebook. Moro aveva il contatto con milioni di persone perché girava l’Italia per piazze gremite. C’era un rapporto tra eletto ed elettore. Noi abbiamo invertito anche questo rapporto. Oggi il rapporto è tra l’eletto e il capo. È il capo che si preoccupa di portare i consensi e l’eletto si preoccupa di dare il consenso al capo. Il rapporto tra eletto ed elettore è del tutto marginale perché vicariato dal rapporto tra eletto e capo, e questo è parte del processo involutivo che la morte di Aldo Moro ha avviato.
Quali erano i cardini delle politiche di Aldo Moro?
A me piace ricordare due cose: l’istruzione e la politica estera. Moro è stato uno dei più grandi ministri della pubblica istruzione in Italia, dove nel concetto di pubblica egli faceva rientrare anche il diritto delle scuole paritarie di esistere e di esistere anche nella pluralità al diritto di educare. Il Moro professore riconobbe necessario, per l’aumento del PIL del Paese, il “Non è mai troppo tardi” di Alberto Manzi. Il direttore della Rai gli disse: “Abbiamo trovato il maestro per la trasmissione” ma non lo guardava negli occhi. “E allora? Qual è il problema?” “Non so come dirglielo. È iscritto al Partito comunista” “Perché, per le tabelline e la grammatica è necessario non essere iscritti al Partito comunista?”. La seconda cosa che fece fu avviare il ciclo dell’obbligo dell’istruzione, che oggi mettiamo in discussione non capendo a cosa serve. Lui lo portò ai tre anni della media, che poi completò l’attuale Presidente Mattarella, nella convinzione che ci sono delle conoscenze e delle competenze che prescindono da quello che farai nella vita, ma da cui dipende il tuo diritto di cittadinanza. Questo è lo schema che Moro aveva. Faccio riferimento all’istruzione perché Moro capì per primo che l’educazione e il merito, che bistrattiamo tanto,consentono a chiunque di fare qualsiasi cosa, a prescindere dalle raccomandazioni dovute al censo o alla nascita.
E la politica estera?
E poi ci sono i tre fatti di politica estera. Quando nel ’71 va all’ONU e, in un mondo diviso fra Est e Ovest, fa un grandissimo discorso dove dice che non è possibile vivere in un pianeta in cui la storia è fatta soltanto da pochi Paesi, e gli altri Paesi la subiscono. Di qui la necessità della multilateralità e della solidarietà internazionale, con la convinzione che i Paesi che non fanno la storia, quando non avranno più nulla da perdere, prenderanno le barche e verranno da noi. Questo discorso potrebbe essere stato scritto oggi, cinquant’anni dopo. Poi, nel 1973, ipotizza la prima conferenza Europa Mediterraneo. Dicono di Renzi che abbia l’imprimatur di “Europa è Mediterraneo”, ma l’idea è di Aldo Moro, del 1973, quando fece il giro dei Paesi del Nord Africa, facendo avvelenare sia i russi che gli americani e mettendo le basi per la prima conferenza Europa Mediterraneo. Infine, il lavoro che fa in Europa. Moro era ossessionato dal fatto che l’Italia fosse un piccolo Paese, lungo, dentro il Mediterraneo, e che quindi avesse bisogno, per contare di più, di un ONU forte e di un’Europa fortissima, e un’Europa fortissima doveva essere una Europa politica. Così, sotto la sua presidenza ci fu la decisione di fare la prima elezione a suffragio universale del Parlamento europeo, che fu poi spostata dal ’78 al ’79 perché egli morì. Tutto questo configura perché lo hanno rapito e perché lo hanno ucciso. Moro ai terroristi, chiunque essi siano, non mette paura perché gestisce il potere, ma mette paura perché elabora, pensa, progetta, innova e ammoderna. E Moro era il prototipo di tutto questo, di chi poteva cambiare l’Italia con il processo di rigenerazione e rinnovamento della democrazia italiana ed era quindi il loro principale nemico. Poi la convergenza di non essere gradito né all’Est né all’Ovest ha indotto molti a commettere peccati di omissione, perché potendo fare non hanno fatto e potendo sapere non hanno voluto sapere.
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