L’Unione europea riuscirà a superare la crisi da coronavirus? L’Eurozona sopravviverà?
Dopo l’ultimo intervento della massima Corte tedesca di Karlsruhe appare più difficile rispondere positivamente a tali domande. Il perché si può esprimere in tre punti.
1. L’organismo principale della giustizia tedesca, paragonabile alla nostra Corte Costituzionale, ribadisce il principio che il diritto tedesco prevale su quello europeo. Ciò a tutela della sovranità del parlamento tedesco. Il Bundestag si conferma così l'unico organo sovrano dell'UE, le sue scelte in materia di bilancio sono insindacabili e se contrastano con organismi comunitari, prevalgono su di loro. In tal modo l'indipendenza della BCE è minata al cuore.
2. Di fatto con il suddetto pronunciamento la Germania dà l'ultimatum agli Stati con maggior debito pubblico dell’Eurozona: tre mesi di tempo per accettare la visione tedesca sulla crisi da virus. Visione che si può riassumere così: nonostante il tracollo delle attività economiche per il confinamento sanitario, nonostante una deflazione già lunga prima dell’emergenza e divenuta da brivido dopo, nonostante il rischio zero di inflazione, nella zona Euro non è consentito stampare moneta per uscire dalla crisi, sebbene questa sia la via maestra adottata da tutto il resto del mondo e persino dagli Stati dell’UE fuori dall’Euro.
La soluzione per la Germania è un’altra. Il patto di stabilità è stato temporaneamente sospeso per fare in modo che chi può, perché ha più basso debito pubblico, spenda mentre i Paesi con più alto debito pubblico devono sottostare al ventaglio di “aiuti” europei, tutti a debito che finiranno per indebitarli ancor di più e a gettarli in durissimi programmi di austerità non appena il patto di stabilità sarà ripristinato.
In caso contrario, vale a dire se i Paesi che i tedeschi giudicano poco virtuosi (ah il dover essere, Sollen) insistono nel richiedere comunque una garanzia BCE illimitata, ecco che scatta la minaccia. La Corte di Karlsruhe ha imposto l'obbligo alla Bundesbank di porre dei limiti ai programmi di acquisto titoli della BCE. Altrimenti la banca centrale tedesca non potrà più parteciparvi e in tal caso si entrerebbe in un altro mondo, quello della segregazione monetaria, perché l'Euro creato per sostenere l'Italia, la Francia, la Spagna sarebbe diverso da quello tedesco o olandese. Viene dunque considerata implicitamente la possibilità della fine dell'area monetaria comune per iniziativa della Germania.
3. Il messaggio che Karlsruhe dà ai mercati, nel bel mezzo di una crisi epocale, è devastante: non vi è più alcuna certezza di un prestatore di ultima istanza nella zona Euro, a differenza di quanto avviene nel resto del mondo. L’esatto contrario di ciò che serve.
Quella tedesca è una posizione ineccepibile dal punto di vista del diritto – perché sono i Trattati fatti male, non l'interpretazione dei giudici tedeschi – ma pone l'Italia (e la Francia) di fronte a una scelta esistenziale. Adeguarsi, accettando gli pseudo-aiuti UE a debito, e quindi esporsi a una prossima insostenibile disciplina austeritaria, su un ceto lavoratore già a terra, senza più la garanzia BCE, oppure interpretare la sentenza per quello che effettivamente è, un preavviso di novanta giorni sulla data di rottura della zona Euro, e prepararsi di conseguenza a gestire il ritorno alle monete nazionali, cercando di limitarne al massimo i danni, ma sapendo che invece, con l'accettazione di questo diktat tedesco l'Italia è perduta.
Questo sarà il principale tema che dividerà trasversalmente la politica italiana nei prossimi mesi. Chi pensa di poter aggiustare lo strappo tedesco a buon mercato, con la ricerca di un qualsiasi accordo politico, si illude. Con i tedeschi non si scherza, siamo stati avvisati. Nein (alla monetizzazione del debito) significa nein.
È la politica italiana che dovrà decidere il suo futuro ruolo: se quello di esecutore fallimentare del Paese, una prospettiva che forse neanche un quarto degli italiani possono reggere sul piano economico, oppure attivarsi senza più perdere altro tempo per costruire una alternativa al collasso economico, sociale e democratico, a cui andremo incontro in mancanza di una banca centrale che faccia sino in fondo il mestiere delle banche centrali.
Dopo l’ultimo intervento della massima Corte tedesca di Karlsruhe appare più difficile rispondere positivamente a tali domande. Il perché si può esprimere in tre punti.
1. L’organismo principale della giustizia tedesca, paragonabile alla nostra Corte Costituzionale, ribadisce il principio che il diritto tedesco prevale su quello europeo. Ciò a tutela della sovranità del parlamento tedesco. Il Bundestag si conferma così l'unico organo sovrano dell'UE, le sue scelte in materia di bilancio sono insindacabili e se contrastano con organismi comunitari, prevalgono su di loro. In tal modo l'indipendenza della BCE è minata al cuore.
2. Di fatto con il suddetto pronunciamento la Germania dà l'ultimatum agli Stati con maggior debito pubblico dell’Eurozona: tre mesi di tempo per accettare la visione tedesca sulla crisi da virus. Visione che si può riassumere così: nonostante il tracollo delle attività economiche per il confinamento sanitario, nonostante una deflazione già lunga prima dell’emergenza e divenuta da brivido dopo, nonostante il rischio zero di inflazione, nella zona Euro non è consentito stampare moneta per uscire dalla crisi, sebbene questa sia la via maestra adottata da tutto il resto del mondo e persino dagli Stati dell’UE fuori dall’Euro.
La soluzione per la Germania è un’altra. Il patto di stabilità è stato temporaneamente sospeso per fare in modo che chi può, perché ha più basso debito pubblico, spenda mentre i Paesi con più alto debito pubblico devono sottostare al ventaglio di “aiuti” europei, tutti a debito che finiranno per indebitarli ancor di più e a gettarli in durissimi programmi di austerità non appena il patto di stabilità sarà ripristinato.
In caso contrario, vale a dire se i Paesi che i tedeschi giudicano poco virtuosi (ah il dover essere, Sollen) insistono nel richiedere comunque una garanzia BCE illimitata, ecco che scatta la minaccia. La Corte di Karlsruhe ha imposto l'obbligo alla Bundesbank di porre dei limiti ai programmi di acquisto titoli della BCE. Altrimenti la banca centrale tedesca non potrà più parteciparvi e in tal caso si entrerebbe in un altro mondo, quello della segregazione monetaria, perché l'Euro creato per sostenere l'Italia, la Francia, la Spagna sarebbe diverso da quello tedesco o olandese. Viene dunque considerata implicitamente la possibilità della fine dell'area monetaria comune per iniziativa della Germania.
3. Il messaggio che Karlsruhe dà ai mercati, nel bel mezzo di una crisi epocale, è devastante: non vi è più alcuna certezza di un prestatore di ultima istanza nella zona Euro, a differenza di quanto avviene nel resto del mondo. L’esatto contrario di ciò che serve.
Quella tedesca è una posizione ineccepibile dal punto di vista del diritto – perché sono i Trattati fatti male, non l'interpretazione dei giudici tedeschi – ma pone l'Italia (e la Francia) di fronte a una scelta esistenziale. Adeguarsi, accettando gli pseudo-aiuti UE a debito, e quindi esporsi a una prossima insostenibile disciplina austeritaria, su un ceto lavoratore già a terra, senza più la garanzia BCE, oppure interpretare la sentenza per quello che effettivamente è, un preavviso di novanta giorni sulla data di rottura della zona Euro, e prepararsi di conseguenza a gestire il ritorno alle monete nazionali, cercando di limitarne al massimo i danni, ma sapendo che invece, con l'accettazione di questo diktat tedesco l'Italia è perduta.
Questo sarà il principale tema che dividerà trasversalmente la politica italiana nei prossimi mesi. Chi pensa di poter aggiustare lo strappo tedesco a buon mercato, con la ricerca di un qualsiasi accordo politico, si illude. Con i tedeschi non si scherza, siamo stati avvisati. Nein (alla monetizzazione del debito) significa nein.
È la politica italiana che dovrà decidere il suo futuro ruolo: se quello di esecutore fallimentare del Paese, una prospettiva che forse neanche un quarto degli italiani possono reggere sul piano economico, oppure attivarsi senza più perdere altro tempo per costruire una alternativa al collasso economico, sociale e democratico, a cui andremo incontro in mancanza di una banca centrale che faccia sino in fondo il mestiere delle banche centrali.
Desidero commentare non tanto l’articolo ma la decisione della massima Corte tedesca con due frasi per me molto significative estratte dalla Dichiarazione Schuman del 9/5/1950 che riporto: “L’Europa non potrà farsi in una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto” e “il contributo che un’Europa organizzata e vitale può apportare alla civiltà è indispensabile per il mantenimento di relazioni pacifiche”.
Fra pochi giorni è la Festa dell’Europa, istituita proprio per la ricorrenza di tale avvenimento, a soli 5 anni dalla fine del terribile secondo conflitto mondiale.
Mi chiedo se non è il caso che chi crede ancora in certi valori (e penso che siamo in tanti) gridi forte ai parlamentari, ai membri dei Governi, ai giudici, agli amministratori vari di ogni Paese e di ogni forza politica che il bene comune e il bene pubblico non si costruisce e non può essere costruito con altre modalità. Gridiamolo anche noi forte, da “liberi e forti”.
E’ una sfida in atto dove bisogna tenere i nervi saldi. Se la Germania ritiene di poter viaggiare da sola il motivo lo trova. Credo, invece, che prendersi la responsabilità di questo grave atto che metterebbe in crisi anche l’integrazione industriale che attualmente esiste, non è una cosa scontata. Gli interessi economici in pericolo, ora che la Germania è stata duramente colpita dalla politica di Trump, sono troppo alti per sfasciare la UE. Poiché siamo TUTTI in zona pericolo, credo che si troverà sicuramente una soluzione. Grandi Tedeschi che hanno voluto la UE , altrimenti, si rivolterebbero nella tomba. La Frau Merkel deve fare molta attenzione per non essere ricordata come distruttrice di questo giocattolo complicato che è la UE ma che da cui ha tratto vantaggi enormi sopratutto dal cambio marco euro. Se la Germania esce dall’Euro il marco si rivaluterebbe subito con ulteriori danni per l’economia tedesca. Io ho una figlia che vive da vent’anni in Germania e non auspico che ciò avvenga.
Fabbri, collaboratore della rivista LIMES, in RAI NOTTE di questa stanotte presenta un quadro ancor più tragico: Quanto sta succedendo sarebbe frutto dello scontro tedesco-statunitense per l’egemonia sull’Europa (v. LIMES N.4/2019). Gli organi istituzionali tedeschi, come la Corte Suprema di Karlsruhe, sarebbero proni al principio dell’egemonia statunitense in Europa e starebbero quindi al gioco del “divide et impera” tra europei, voluto dagli USA. Secondo LIMES invece gli industriali e altre rappresentanze della società civile tedesca, guidate dalla Merkel, sarebbero favorevoli ad un processo unitario che vedesse in qualche modo nella Germania il Piemonte risorgimentale dell’Europa, e quindi sarebbero favorevoli ad una politica solidaristica tra le nazioni europee.
Se le cose stessero in questi termini sarebbe possibile un Risorgimento europeo nel quale inevitabilmente gli USA assumerebbero quel ruolo che l’Impero Austriaco ebbe di avversario del Risorgimento Italiano.
Sarà così? Ma una cultura unitaria europea, ancorché poliglotta, che favorisca un tale animus patriottico che consenta di creare uno stato comune federale europeo, smussando le differenze psicologiche tra le nazioni europee, esiste veramente? Il sentirsi “sulla stesssa barca” è innanzitutto il sentirsi partecipi di un unico destino, non solo economico ma anche spirituale, che si esplicita in una unitaria visione del mondo. Questo ci dice la storia! Ora come ora siamo ancora fermi ad una “visione unica occidentale”, in realtà statunitense, nata con la catastrofe della II guerra mondiale e morta con la caduta del muro di Berlino. Temo che tutto giochi a favore degli USA contro l’Europa. E i fatti alla Karlsruhe sembrano confermarlo!
Veritas filia temporis.
A proposito di Germania, segnalo quanto alcuni giorni fa ha detto Dario Fabbri (uno dei più qualificati analisti di strategie internazionali) in un dibattito televisivo (Omnibus su La7).
Due fattori vanno tenuti presenti per capire il comportamento del governo tedesco, al di là delle concezioni economiche a cui si ispirano i gruppi dirigenti del paese.
In primo luogo, deve tener conto dell’opinione degli elettori. Molti sono contrari ad interventi in favore dei paesi dell’Europa meridionale e dell’Italia in particolare per il suo alto debito. Soprattutto lo sono gli elettori della parte orientale del paese dove il livello di vita della popolazione è modesto, non certo superiore (se mai inferiore) a quello dell’Italia centrosettentrionale: pertanto, non sono concepibili richieste di sacrifici a chi non sta meglio di chi si vorrebbe aiutare.
Il secondo aspetto (ricollegato a quanto scrive Domenico Accorinti) riguarda le possibili reazioni statunitensi ad un cambio della linea fino ad ora seguita dalla Germania rispetto alle problematiche europee. Gli americani (dice Fabbri) sono ossessionati dall’idea che la Germania possa mettersi alla guida del processo unitario europeo o comunque accrescere la sua influenza nel continente. La scelta di mettere in comune il debito (anche solo quello futuro) e di farsi carico dei problemi dei paesi in difficoltà verrebbe vista come un cambio di passo nella direzione temuta, e non resterebbe senza una pesante risposta. In Germania lo si sa, e ci si muove con prudenza. Sul suo territorio, sono ancora presenti numerose basi e consistenti truppe americane che ne fanno un paese non pienamente sovrano.
Ricevo da Antonio Padoa Schioppa, storico economico e federalista alcune osservazioni che condivido:
La situazione finanziaria dell’Italia costituisce davvero un rischio grave non solo per noi ma per l’Europa.
E’ sbagliato, lo abbiamo visto bene, subordinare gli interventi europei al previo risanamento nazionale. Sarebbe, una volta ancora, la sostanziale adozione della dottrina ordoliberista: “prima la casa in ordine … e poi non occorrerà probabilmente altro”. E’ invece giusto anzi necessario pretendere che le due strategie vadano avanti insieme.
Con gli interventi determinati dalla pandemia l’Italia avrà una massa enorme di nuove risorse con ulteriore vistosa dilatazione del nostro debito pubblico. Un aumento che sarebbe insostenibile senza gli acquisti dei titoli da parte della Bce, perché altrimenti già ora lo spread sarebbe salito a 500 punti. E ai mercati, i cui difetti di visione e di valutazione sono ormai chiari a chi li vuole vedere, non si può imputare di rifuggire dall’investimento in titoli di Stato di Paesi a rischio di default, se non a condizioni più allettanti sul tasso di interesse richiesto.
E allora non soltanto occorre determinare senza indugio come indirizzare le risorse, soprattutto nell’intento di non disperderle, di non imporre procedure confuse e inutilmente complicate, di puntare a investimenti e a supporti non occasionali, non abborracciati, diretti anche a correggere storture ed errori commessi in passato, ad esempio nell’insufficiente sostegno alla sanità pubblica e territoriale: errori dei quali tutti hanno colto solo ora gli effetti nefasti. Poche norme, spazi alla autocertificazione (da verificare ex post con rigore): il modello del nuovo ponte di Genova. Ma c’è di più: va impostata da subito una linea volta a recuperare in modo graduale una quota importante dell’evasione fiscale dell’Italia, che consentirebbe, puntando ad ottenere almeno il 50% dei 120 miliardi evasi ogni anno, sia una strutturale diminuzione del nostro debito pubblico sia una progressiva diminuzione di alcune aliquote. Senza l’adozione di questa linea di governo, prima o poi rischia davvero di andare a fondo. l’Italia. E con noi l’Unione europea. E il mercato unico. E l’euro.
La Merkel dunque qui ha ragione. Occorre una riforma delle fiscalità nazionali. L’Olanda deve smetterla con gli aiuti di Stato alle multinazionali. L’Italia – una volta aumentato ulteriormente il debito per le ragioni di emergenza di oggi – deve smetterla con gli sforamenti che innervosiscono i mercati, deve attuare davvero la spending review. E prima ancora deve disporre da subito una politica ferma e intelligente di rientro dall’evasione fiscale. L’occasione è storica, anche per ridurre la nostra economia in nero, l’enorme sommerso. E poi occorre un’armonizzazione fiscale al livello europeo, in particolare per la quota fiscale sui profitti societari, come del resto i Trattati prevedono. Ad oggi occorre per questo l’unanimità del Consiglio; ma bisogna arrivarci.
Le scelte che l’Europa sta facendo in queste settimane sono di portata storica. Il raddoppio del bilancio dell’Unione non avrebbe mai ottenuto il via libera del Consiglio europeo senza l’esplosione della pandemia. Naturalmente, il diavolo si annida nei dettagli, che poi tali non sono: quale la quota di vere risorse proprie? Quale la scadenza (dovrebbe essere molto lunga) e quale l’entità dei prestiti consentiti dall’aumento del bilancio settennale? Vedremo.
La sfida per il Governo Conte, che sta facendo bene checché ne dicano i commentatori nostrani – e un livello di consenso così alto per l’attività del governo non si era vista da moltissimi anni; qualcosa vorrà pur dire – questa sfida è di enorme portata. Non può essere persa.
Tutti interessanti i commenti successivi al mio, ma ragionando con questi parametri, a mio avviso, emerge subito e con evidenza che il cammino che si deve fare per essere una comunità di popoli è enorme, molto più arduo di quanto era ipotizzabile ai tempi di Adenanuer, De Gasperi e Schuman.
Alle mie tesi espresse mercoledì 6 mi è venuto in soccorso l’articolo apparso a pag. 34 su Famiglia Cristiana uscita ieri contenente un’intervista al Cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova, che dal 2016 guida il Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee (Ccee), organismo che raggruppa Vescovi in rappresentanza di 45 Paesi del continente europeo. Già il titolo è altamente significativo “L’UE a un bivio: o vera comunità o muore”. Mi siano consentite alcune citazioni: “Ognuno ha pregi e difetti, e nessuno deve sentirsi superiore se si vuole camminare insieme” … poi più avanti alla domanda “Quali sono le priorità concrete da cui l’Europa deve ripartire ?” risposta “Nell’attuale situazione la prima misura è mettere in campo ingenti risorse finanziarie, anche in forme inedite e senza condizioni capestro. Lesinare ora sarebbe miope e condannerebbe milioni di persone alla disoccupazione e altrettante famiglie sul lastrico: i postumi della grande crisi scarnificano ancora i più deboli. Non si può perdere tempo in discussioni: l’obiettivo è la ripartenza e nessuno deve stare indietro”. E poi ancora “E’ in ballo il futuro economico del continente in un mondo spaventato e incerto”.
A mio parere penso la Politica con la P maiuscola sia questa; le altre politiche, quelle con la p minuscola, basate su calcoli, in gran parte egoistici, creano solo muri e non ponti.
Dal termine “Unione”, anche se bello e nobile, si dovrebbe ritornare a quello iniziale “Comunità”, sicuramente più responsabilizzante, più segno di solidarietà.