C’è un proverbio indiano che dice “Tutto ciò che non è donato, è perduto”. Mi è tornato in mente in questi tristi giorni, come una luce nel buio di troppe cose andate storte, polemiche politiche, virologi incerti per certezze scientifiche spesso superate da intuizioni empiriche che loro non sapevano spiegare (…e quindi cure ritardate), imprevidenza, troppa sicurezza andata presto in fumo, poca saggezza e buon senso.
Tutto un “male” che rifiuto di credere prevarrà e spero che ci insegni qualcosa. Troppo il bene fatto da molti che si sono “donati” con abnegazione.
Mi lascia perplesso la caccia alle streghe, e la sensazione che siano ancora una volta solo “gli stracci ad andare per aria “. Il luogo comune sono diventate le RSA, al centro di una moderna caccia all’untore alimentata da troppa informazione superficiale e scontata.
Non credo alla giustizia che cede alla piazza di parenti urlanti, anche giustamente affranti (…spero tutti sinceramente affranti). Non cerchiamo un colpevole a qualunque costo, da portare in tribunale, naturalmente, e buttargli addosso gli errori di tutti gli altri. Errori ce ne sono stati, ma non tutti gli errori sono reati.
Cerco di riassumere quanto, secondo me, una informazione meno superficiale e sensazionalistica dovrebbe invece raccontare. In ambito sanitario tanti sono rimasti inizialmente intontiti dallo “tsunami” che gli è piombato addosso, quando non c’erano le mascherine, i guanti di lattice, i camici usa e getta e non c’erano i reagenti e i tamponi per distinguere i positivi dai negativi. Si è capito perfettamente come, quel poco che c’era, è stato dato solo agli ospedali. Medici di famiglia e RSA esclusi.
In queste strutture in Piemonte, come mi pare anche altrove, sono scarseggiati subito i dispositivi di sicurezza (di difficile reperimento sul mercato anche internazionale), non sono stati fatti dalle ASL (le uniche ad averne competenza) gli esami richiesti (i famosi tamponi) per distinguere chi era positivo e chi no. Si è iniziato a farli 40 giorni dopo l’inizio della epidemia. E oggi ancora solo al 50% degli ospiti o del personale sanitario. Difficile se non impossibile separare i sani dai malati asintomatici. Ai medici di famiglia non sono state date inizialmente, oltre ai DPI, direttive chiare su come trattare i malati a casa o nelle RSA (dove gli ospiti sono curati dai medici di famiglia). Così si è dilatato il numero di ricoveri in ospedale, di cui una parte è finita nelle terapie d’urgenza. Molti di quelli con patologie pregresse sono morti. Né si sono potuti trasportare subito dalle RSA negli ospedali i casi sintomatici sospetti, pur segnalati. Gli ospedali erano intasati.
Troppa informazione finisce per non considerare le carenze di ASL e servizio pubblico, quasi come se i responsabili della RSA volessero liberarsi di fastidiosi ospiti vecchi e malati. Basta una semplice e bieca considerazione per capire l’assurdità di tale accusa: tutti gli ospiti pagano le rette… finché sono in vita.
Ora tutti dicono che bisogna tornare a una sanità di territorio. Condivido. Ma che cosa significa? Provo a dire che cosa penso io. Significa non chiudere piccoli presidi sanitari, tenere medici, infermieri e oss anche negli ambulatori dei consorzi di paesi. Significa che il personale sanitario deve tornare a visitare anche a domicilio. Io ricordo i “ medici condotti” che andavano di casa in casa tutto il giorno. Oggi spesso, troppo spesso, anche con la febbre ti devi recare negli ambulatori dei medici: con una grave conseguenza che potrebbe essere una delle concause iniziali del contagio, che un malato viene a contatto nelle sale di attesa con molte altre persone. I medici devono tornare a visitare a domicilio, naturalmente adeguatamente riforniti di strumenti di protezione (che dovranno usare sempre anche nei loro studi).
Non voglio scatenare una polemica, ma è noto che taluni abbandonano il lavoro di medico ospedaliero perché si guadagna lo stesso (o forse di più) facendo il “medico della mutua”, con orari meno impegnativi: anche solo 15 ore di studio alla settimana. Insomma, riconosciuto il valore di tanti medici di famiglia, non bisogna tacere le criticità di un sistema che finisce per trasformarli, troppo spesso, in scrittori di ricette a richiesta. Questa è anche una delle cause dell’affollamento dei pronto soccorso. Ne è una dimostrazione che siano stati svuotati dalla pandemia (per i casi non Covid).
Non facciamo che, ancora una volta, tutto in Italia torni come prima, nelle spire della burocrazia, che alla fine fa anche comodo a tanti.
Tutto un “male” che rifiuto di credere prevarrà e spero che ci insegni qualcosa. Troppo il bene fatto da molti che si sono “donati” con abnegazione.
Mi lascia perplesso la caccia alle streghe, e la sensazione che siano ancora una volta solo “gli stracci ad andare per aria “. Il luogo comune sono diventate le RSA, al centro di una moderna caccia all’untore alimentata da troppa informazione superficiale e scontata.
Non credo alla giustizia che cede alla piazza di parenti urlanti, anche giustamente affranti (…spero tutti sinceramente affranti). Non cerchiamo un colpevole a qualunque costo, da portare in tribunale, naturalmente, e buttargli addosso gli errori di tutti gli altri. Errori ce ne sono stati, ma non tutti gli errori sono reati.
Cerco di riassumere quanto, secondo me, una informazione meno superficiale e sensazionalistica dovrebbe invece raccontare. In ambito sanitario tanti sono rimasti inizialmente intontiti dallo “tsunami” che gli è piombato addosso, quando non c’erano le mascherine, i guanti di lattice, i camici usa e getta e non c’erano i reagenti e i tamponi per distinguere i positivi dai negativi. Si è capito perfettamente come, quel poco che c’era, è stato dato solo agli ospedali. Medici di famiglia e RSA esclusi.
In queste strutture in Piemonte, come mi pare anche altrove, sono scarseggiati subito i dispositivi di sicurezza (di difficile reperimento sul mercato anche internazionale), non sono stati fatti dalle ASL (le uniche ad averne competenza) gli esami richiesti (i famosi tamponi) per distinguere chi era positivo e chi no. Si è iniziato a farli 40 giorni dopo l’inizio della epidemia. E oggi ancora solo al 50% degli ospiti o del personale sanitario. Difficile se non impossibile separare i sani dai malati asintomatici. Ai medici di famiglia non sono state date inizialmente, oltre ai DPI, direttive chiare su come trattare i malati a casa o nelle RSA (dove gli ospiti sono curati dai medici di famiglia). Così si è dilatato il numero di ricoveri in ospedale, di cui una parte è finita nelle terapie d’urgenza. Molti di quelli con patologie pregresse sono morti. Né si sono potuti trasportare subito dalle RSA negli ospedali i casi sintomatici sospetti, pur segnalati. Gli ospedali erano intasati.
Troppa informazione finisce per non considerare le carenze di ASL e servizio pubblico, quasi come se i responsabili della RSA volessero liberarsi di fastidiosi ospiti vecchi e malati. Basta una semplice e bieca considerazione per capire l’assurdità di tale accusa: tutti gli ospiti pagano le rette… finché sono in vita.
Ora tutti dicono che bisogna tornare a una sanità di territorio. Condivido. Ma che cosa significa? Provo a dire che cosa penso io. Significa non chiudere piccoli presidi sanitari, tenere medici, infermieri e oss anche negli ambulatori dei consorzi di paesi. Significa che il personale sanitario deve tornare a visitare anche a domicilio. Io ricordo i “ medici condotti” che andavano di casa in casa tutto il giorno. Oggi spesso, troppo spesso, anche con la febbre ti devi recare negli ambulatori dei medici: con una grave conseguenza che potrebbe essere una delle concause iniziali del contagio, che un malato viene a contatto nelle sale di attesa con molte altre persone. I medici devono tornare a visitare a domicilio, naturalmente adeguatamente riforniti di strumenti di protezione (che dovranno usare sempre anche nei loro studi).
Non voglio scatenare una polemica, ma è noto che taluni abbandonano il lavoro di medico ospedaliero perché si guadagna lo stesso (o forse di più) facendo il “medico della mutua”, con orari meno impegnativi: anche solo 15 ore di studio alla settimana. Insomma, riconosciuto il valore di tanti medici di famiglia, non bisogna tacere le criticità di un sistema che finisce per trasformarli, troppo spesso, in scrittori di ricette a richiesta. Questa è anche una delle cause dell’affollamento dei pronto soccorso. Ne è una dimostrazione che siano stati svuotati dalla pandemia (per i casi non Covid).
Non facciamo che, ancora una volta, tutto in Italia torni come prima, nelle spire della burocrazia, che alla fine fa anche comodo a tanti.
Condivido pienamente e aggiungo alcune considerazioni.
Il Covid 19 ha colto impreparato l’intero paese (governo, regioni, Asl e Rsa). E’ capitato anche altrove. Quanto detto da Paolo Girola per le Rsa vale a tutti i livelli. E’ quindi assurdo il reciproco scarico di responsabilità fra enti per gli errori, quasi inevitabili, commessi nella fase iniziale dell’epidemia, ed è altrettanto assurdo il dito puntato contro di essi da parte dei media quando sono stati in prima fila nel negare o minimizzare il pericolo per l’Italia allorché il morbo imperversava in Cina.
La strage di anziani negli istituti di ricovero è avvenuta quasi ovunque in Europa, ma solo in Italia la caccia ai presunti colpevoli da parte delle procure ha assunto una rilevanza tale da conquistare le prime pagine dei giornali e dei notiziari televisivi Questa discrepanza rispetto agli altri paesi europei, che secondo alcuni sarebbe un titolo di merito di una magistratura realmente indipendente, ritengo che invece metta in luce una anomalia, fra le tante che gravano negativamente sulla vita del nostro paese.
Quanto alla medicina territoriale (che secondo alcuni andrebbe potenziata), sarebbe opportuno chiarire bene in che cosa consista, al di là dei compiti dei medici di famiglia e della guardia medica. Ad esempio, quando si parla di mantenere aperti e incrementare numericamente i piccoli presidi sul territorio, teniamo conto che oggi ne sono proprio i potenziali utenti che, in caso di necessità, preferiscono affluire al più vicino pronto soccorso di un grande ospedale perché non hanno fiducia nelle prestazioni fornite da tali piccole strutture.