Educazione civica, la virtù sociale



Giannino Piana    4 Maggio 2020       1

Uno degli aspetti più significativi della discesa in campo delle “sardine” nell’agorà della politica è costituito dallo stile che ha caratterizzato il modo di proporsi al pubblico. Uno stile all’insegna della gentilezza e del garbo, dove non vi è spazio per le volgarità e la maleducazione. Uno stile da cui è assente ogni forma di violenza e sono banditi risentimento e odio nei confronti dell’avversario, peraltro ben individuato, ma non considerato come nemico da abbattere. La cosa non ha mancato di sorprendere e di suscitare reazioni positive in un ampio strato dell’opinione pubblica stanca di assistere a una serie di manifestazioni nelle quali a prevalere sono il turpiloquio, l’insulto e persino la calunnia.

Alle origini della situazione attuale

L’inquinamento del clima della vita sociale viene in realtà da lontano. La crisi in cui la politica ufficiale – quella dei partiti tradizionali – è entrata a partire dagli anni di Tangentopoli e che ha subito un processo progressivo di grave degrado, ha causato, accanto a disaffezione e presa di distanza – sintomatico è il fenomeno della crescita costante negli ultimi anni della diserzione dal voto –, la nascita dell’antipolitica, rappresentata da movimenti – il rifiuto di chiamarsi partiti, pur assumendone alcune caratteristiche qualificanti, è l’indice evidente di questa volontà di distinguersi nettamente dalla politica – che hanno fatto il loro ingresso arrogante nelle istituzioni all’insegna del dileggio e del disprezzo di chi fino a ieri le ha occupate. Si va dal «Vaffa» di Grillo e del Movimento 5 Stelle alla sterzata data da Salvini alla Lega, che non ha soltanto trasformato il partito di Bossi (il più anziano dell’attuale stagione parlamentare) in partito nazionale, ma ne ha accentuato gli aspetti folkloristici e di involgarimento, coinvolgendo anche i simboli religiosi branditi come armi di propaganda.

Le pesanti degenerazioni in atto, oltre a rivelare un’assoluta mancanza di stile, che denuncia il livello culturale ed etico sempre più basso di una parte consistente dell’attuale classe dirigente, finisce per minare gravemente la credibilità e il rispetto delle istituzioni. A farne le spese è soprattutto il Parlamento, trasformato spesso in un’arena in cui si scontrano, senza esclusione di colpi fino alla rissa non solo verbale, personaggi di modesta levatura, i quali ritengono di dare visibilità alla loro presenza mediante sceneggiate fatte di espressioni volgari e di gesti scurrili indegni di un ambiente che, per il significato che riveste, meriterebbe ben altri comportamenti. La deriva raggiunge poi il culmine quando a fare propria tale condotta sono gli stessi uomini di governo, con incarichi istituzionali di prim’ordine, i quali, anziché preoccuparsi di esercitare la propria mission, sono in interrotta campagna elettorale e non si vergognano di usare linguaggi rozzi e dissacranti irriguardosi della dignità connessa all’esercizio della funzione che ricoprono.

Dai media alla magistratura

D’altra parte, non è soltanto la politica a subire i contraccolpi di questo stato di cose. Il clima delineato ha in realtà una dimensione trasversale: si estende ai vari ambiti della vita associata, dando origine a un risentimento diffuso nella società civile, alimentato soprattutto dai mezzi di comunicazione. La diffusione di false notizie – le cosiddette fake news – talora infarcite di calunnie gratuite che fanno il giro di un numero sempre più ampio di persone e che vengono assunte come vere, diventando di fatto (anche quando si tenta di correre ai ripari cancellandole) del tutto incancellabili. Il peso dei social è oggi determinante nel fomentare rivalità e conflitti, sentimenti di inimicizia e focolai di odio.

Ma non sono solo i nuovi media a muoversi in tale direzione. Anche quelli più tradizionali come la televisione sono perfettamente allineati su tale modello. I talk show politici sono costruiti secondo questo cliché: ciò che si ha di mira è infatti lo spettacolo, che non si ottiene se non attizzando il fuoco polemico, con la creazione di contrapposizioni radicali e l’inasprimento delle tensioni conflittuali, che sfociano in liti anche clamorose. Se non si fa così, l’audience cala, il programma viene rapidamente eliminato da chi è padrone del mezzo, e il conduttore licenziato. La ricerca di un confronto pacato, anche tra posizioni assai diverse, e la creazione di spazi adeguati allo sviluppo di argomentazioni razionali sono considerate modalità anacronistiche, che non sanno fare i conti con lo statuto dei nuovi strumenti e con le richieste e gli interessi degli utenti che si accostano ad essi.

Un processo diverso, ma destinato anch’esso a rafforzare il clima di risentimento e di tensione soprattutto nei confronti di esponenti della politica e in genere di uomini che operano negli ambiti della vita pubblica (e non solo), è legato al campo di amministrazione della giustizia, dove vige, in alcuni settori (sia pure minoritari), una forma di giustizialismo, che condanna a priori chi è sottoposto a una verifica giudiziaria. L’avviso di garanzia, considerato normalmente come un attestato di colpevolezza, l’abuso del carcere preventivo, l’uso spropositato delle intercettazioni sono altrettanti fattori che contribuiscono a generare diffidenze e sospetti, dando origine a pericolose dietrologie che si rivelano in molti casi infondate.

La crescita dell’antipolitica, che ha purtroppo indiscutibili motivazioni in fenomeni di corruzione che hanno inquinato (e inquinano) la “cosa pubblica”, è anche espressione del farsi strada di una forma di qualunquismo, che mette tutti i politici sullo stesso piano – il politico non può che essere un uomo corrotto – e che è anche il prodotto di un sistema massmediale che si intreccia con la complicità di agenzie pubbliche e private le quali agiscono con superficialità, dando la stura a notizie scandalistiche del tutto false o parzialmente vere – questo è talvolta ancora peggiore perché rende difficoltoso ogni tentativo di fare con chiarezza discernimento – che, enfatizzate, assumono connotati di una gravità non corrispondente alla realtà dei fatti.

La necessità dell’educazione civica

Dall’insieme dei fenomeni citati emerge con evidenza la presenza in molti settori della vita pubblica, a partire da quelli istituzionali e di governo, di uno scarso senso di responsabilità. Il mancato rispetto della buona educazione da parte di chi è in autorità, con l’assunzione di atteggiamenti e di comportamenti arroganti e rozzi – a partire dal linguaggio infarcito di turpiloquio –, peggio ancora violenti, non contribuisce certo a far crescere la stima nei confronti delle istituzioni; anzi, rischia di impedire ogni confronto sereno, il quale presuppone il riconoscimento della dignità di ciascuno e la disponibilità all’ascolto di posizioni diverse dalle proprie, senza pregiudizi di partenza e senza rinunciare per questo all’esercizio del senso critico e a fornire valutazioni anche di segno diverso od opposto.

La necessità dell’educazione civica è dunque fuori discussione: essa rappresenta una condizione fondamentale per la coltivazione di un terreno di incontro tra diversi, che è la base della costruzione della democrazia. Il rifiuto di termini offensivi e l’uso di un linguaggio verbale e gestuale misurato, improntato a un garbo signorile e discreto creano le premesse per una efficace comunicazione. Non si tratta certo di ridimensionare le proprie posizioni per evitare ogni forma di conflitto; se infatti si dà una conflittualità negativa, che crea esclusivamente sterile contrapposizione, si dà pure una conflittualità positiva, per la quale l’elaborazione del conflitto diviene la via per lo sviluppo di forme di interazione arricchenti. Si tratta di agire nel rispetto di quel senso di civiltà, che è estraneo a ogni forma di scorrettezza e di prevaricazione: il “politicamente corretto”, quando non indulge in mera compiacenza formale o non ha la pretesa di esaurire in sé l’impegno civile, riveste una funzione indubitabilmente costruttiva. L’educazione civica è dunque una virtù sociale, che andrebbe posta alla base del comportamento di ogni cittadino che si sente parte della società cui appartiene e sente il dovere di prendere parte in modo responsabile alla vita di essa – le carenze che, al riguardo, sono state segnalate ai livelli alti sono largamente diffuse anche nell’ambito più vasto della società –; ma dovrebbe soprattutto essere appannaggio di chi si è assunto l’onere di esercitare un compito di guida nell’ambito della vita pubblica e – come recita la nostra Costituzione – ha l’obbligo di adempiere a tale compito “con disciplina e onore” (art. 54). Ne va infatti – come già si è ricordato –della credibilità delle istituzioni e del dovere di offrire ai cittadini un esempio di civismo da imitare facendolo proprio.

Nel segno della mitezza

La virtù che deve stare dietro all’educazione civica e fare ad essa da supporto è – come ci ha ricordato Norberto Bobbio in una conferenza tenuta a Milano nel 1983 (divenuta poi un libro con il titolo Elogio della mitezza) – la virtù della mitezza: una virtù che ha un alto significato etico-politico, in quanto – è Bobbio a rilevarlo – favorisce i legami sociali che tengono unita una comunità. Essa implica, da una parte, l’abbandono della protervia dell’assolutezza ideologica per accettare le vie della tolleranza, della mediazione e del dialogo; e, comporta, dall’altra, il superamento del rancore e della vendetta come di ogni forma di agonismo competitivo e di aggressività, che è alla radice dei meccanismi di esclusione, per ritrovare le ragioni di quella comunione che unisce ciascuno alla grande famiglia umana e lo spinge a rintracciare con realismo le possibili convergenze sociali e politiche. La mitezza assume in questo modo i contorni di una “religione civile”, nel senso alto e nobile del termine, e trova – secondo Bobbio – la sua

espressione più significativa nella democrazia.

Il tema della mitezza è stato ripreso di recente da papa Francesco in una delle catechesi del mercoledì in cui, dopo aver definito il mite come mansueto, gentile, privo di violenza – colui che reagisce pacificamente alle situazioni ostili – e dopo aver affermato che «le persone miti sono persone misericordiose, fraterne, fiduciose e persone di speranza», ha aggiunto: «La mitezza è conquista di tante cose. La mitezza è capace di vincere il cuore, salvare le amicizie e tanto altro, perché le persone si adirano ma poi si calmano, ci ripensano e tornano sui loro passi, e così si può ricostruire con la mitezza» (Catechesi di mercoledì 20 febbraio 2020).

In un mondo carico di gravi lacerazioni, che intaccano a tutti i livelli i rapporti umani – da quelli interpersonali a quelli sociali che hanno oggi una dimensione universalistica –, il segreto di un’autentica educazione civica sta nella coltivazione della virtù della mitezza, che ha la sua sede nelle profondità del cuore umano. E che fornisce a chi la fa propria quella serenità interiore da cui nasce la capacità di vivere ogni situazione, anche la più complessa, ricercando la verità e dando il proprio contributo alla costruzione della pace.

(Tratto da Rocca, rivista della Pro Civitate di Assisi)


1 Commento

  1. Mi complimento con Giannino Piana per questa analisi completa e totalmente condivisibile. Però fin quando mieteranno consenso e dunque utili i protagonisti di questa stagione cavalcheranno la tigre Le Sardine? Un segnale di inversione di tendenza nella società, ma ancora troppo occasionale e privo di stelle cometa. Comunque speriamo.

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