Avviene tutto in una parentesi. Il ricordo del 18 aprile 1948 e la vittoria schiacciante della Democrazia cristiana e del suo maggior leader e statista dell’epoca, Alcide De Gasperi e la festa del 25 aprile, la festa della Liberazione, giunta alla sua 75° edizione. Tutto tra parentesi, dicevo, perché lo impone e lo richiede la drammatica emergenza sanitaria con cui, purtroppo, dobbiamo fare i conti. Eppure anche in in una fase storica dominata da un male oscuro e sempre più inquietante, c’è la possibilità e forse anche l’opportunità per fissare con maggior cognizione alcuni paletti pollici, culturali e anche di costume.
Innanzitutto non c’è, perché non c’è mai stato, alcun contrasto o alcuna frizione tra ciò che capitò in quel famoso 18 aprile ‘48 e il significato profondo della festa della Liberazione. Si tratta, infatti, della riaffermazione – su piani diversi e seppur con connotati diversi – del principio della libertà. La libertà politica, la libertà civile, la libertà economica, la rivendicazione del pluralismo e, soprattutto, la vittoria della democrazia. La vulgata che per molti anni ha stradominato la pubblicistica italiana influenzando settori consistenti della opinione pubblica rispondeva a criteri politico/partitici e di propaganda ma del tutto avulsi dai significato profondo che la Liberazione ha avuto nel nostro Paese. Una festa, quella del 25 aprile, che non poteva e non può essere appannaggio di qualcuno contro qualcun altro. Salvo contro quelli che negano la democrazia, il pluralismo, la libertà e la giustizia sociale. È la festa della democrazia e appartiene a tutti i democratici. Di qualsiasi colore politico, di qualsiasi fede religiosa e di qualsiasi cultura costituzionale.
In secondo luogo forse è giunto anche il momento, dopo svariati decenni e dopo una rivalutazione postuma di chi l’ha combattuta pregiudizialmente per un tempo indefinito – anche alla luce della pochezza e della mediocrità delle classi dirigenti seguenti – di rivalutare l’esperienza politica, culturale e sociale del cattolicesimo politico italiano. Una rivalutazione che parte proprio da quel fatidico 18 aprile 1948 e che poi si è snodata, seppur con gli alti e i bassi imposti alla storia e dalla concreta esperienza degli uomini, per quasi 50 anni di vita democratica. Una cultura e una politica, soprattutto di governo, che non sono mai venuti meno ai doveri imposti da una Costituzione che è stata il frutto anche e soprattutto dell’apporto del filone e della storia del cattolicesimo politico e democratico italiano.
In ultimo, e questo oggi è l’aspetto forse più importante, proprio il ricordo – purtroppo solo sulla rete – del 25 aprile può essere la concreta occasione per avviare definitivamente quella “riappacificazione” politica e culturale di cui il nostro Paese ha estremamente bisogno. Soprattutto in una fase difficile e complessa come quella che stiamo vivendo. Non ha alcuna importanza che l’iniziativa promossa per il ricordo in rete della Festa della Liberazione 2020 sia stata fatta da persone che appartengono dichiaratamente al campo della sinistra post comunista e riconducibile alla storia e all’esperienza della sinistra storica italiana. Quello che conta, almeno a mio parere, è l’obiettivo politico di questa iniziativa. Che non può che essere quella di unire e ricomporre in un unico grande campo democratico tutti coloro che si riconoscono nell’unico documento che riafferma i principi democratici e liberali, cioè la Costituzione repubblicana. Se, invece, dovesse limitarsi alla solita iniziativa di parte deliberatamente “contro” qualcuno e qualcosa, perderebbe lo stesso significato più profondo di una data che si vuol festeggiare insieme.
Ecco perché anche il 25 aprile 2020 è stato molto importante, pur non potendo scendere in piazza e non poter stringersi in un unico grande abbraccio. Perché proprio questo 25 aprile può segnare un maggior coinvolgimento emotivo e passionale e una miglior ricognizione culturale e politica del profondo significato che storicamente riveste questa data. Abbiamo il dovere di farlo. Anche in tempi difficili e complessi.
Innanzitutto non c’è, perché non c’è mai stato, alcun contrasto o alcuna frizione tra ciò che capitò in quel famoso 18 aprile ‘48 e il significato profondo della festa della Liberazione. Si tratta, infatti, della riaffermazione – su piani diversi e seppur con connotati diversi – del principio della libertà. La libertà politica, la libertà civile, la libertà economica, la rivendicazione del pluralismo e, soprattutto, la vittoria della democrazia. La vulgata che per molti anni ha stradominato la pubblicistica italiana influenzando settori consistenti della opinione pubblica rispondeva a criteri politico/partitici e di propaganda ma del tutto avulsi dai significato profondo che la Liberazione ha avuto nel nostro Paese. Una festa, quella del 25 aprile, che non poteva e non può essere appannaggio di qualcuno contro qualcun altro. Salvo contro quelli che negano la democrazia, il pluralismo, la libertà e la giustizia sociale. È la festa della democrazia e appartiene a tutti i democratici. Di qualsiasi colore politico, di qualsiasi fede religiosa e di qualsiasi cultura costituzionale.
In secondo luogo forse è giunto anche il momento, dopo svariati decenni e dopo una rivalutazione postuma di chi l’ha combattuta pregiudizialmente per un tempo indefinito – anche alla luce della pochezza e della mediocrità delle classi dirigenti seguenti – di rivalutare l’esperienza politica, culturale e sociale del cattolicesimo politico italiano. Una rivalutazione che parte proprio da quel fatidico 18 aprile 1948 e che poi si è snodata, seppur con gli alti e i bassi imposti alla storia e dalla concreta esperienza degli uomini, per quasi 50 anni di vita democratica. Una cultura e una politica, soprattutto di governo, che non sono mai venuti meno ai doveri imposti da una Costituzione che è stata il frutto anche e soprattutto dell’apporto del filone e della storia del cattolicesimo politico e democratico italiano.
In ultimo, e questo oggi è l’aspetto forse più importante, proprio il ricordo – purtroppo solo sulla rete – del 25 aprile può essere la concreta occasione per avviare definitivamente quella “riappacificazione” politica e culturale di cui il nostro Paese ha estremamente bisogno. Soprattutto in una fase difficile e complessa come quella che stiamo vivendo. Non ha alcuna importanza che l’iniziativa promossa per il ricordo in rete della Festa della Liberazione 2020 sia stata fatta da persone che appartengono dichiaratamente al campo della sinistra post comunista e riconducibile alla storia e all’esperienza della sinistra storica italiana. Quello che conta, almeno a mio parere, è l’obiettivo politico di questa iniziativa. Che non può che essere quella di unire e ricomporre in un unico grande campo democratico tutti coloro che si riconoscono nell’unico documento che riafferma i principi democratici e liberali, cioè la Costituzione repubblicana. Se, invece, dovesse limitarsi alla solita iniziativa di parte deliberatamente “contro” qualcuno e qualcosa, perderebbe lo stesso significato più profondo di una data che si vuol festeggiare insieme.
Ecco perché anche il 25 aprile 2020 è stato molto importante, pur non potendo scendere in piazza e non poter stringersi in un unico grande abbraccio. Perché proprio questo 25 aprile può segnare un maggior coinvolgimento emotivo e passionale e una miglior ricognizione culturale e politica del profondo significato che storicamente riveste questa data. Abbiamo il dovere di farlo. Anche in tempi difficili e complessi.
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