UE: egemonia tedesca o disfacimento?



Dialogo tra Davicino e Ladetto    8 Aprile 2020       2

Abbiamo notato che non tutti i lettori hanno solitamente l'abitudine di soffermarsi sui commenti agli articoli pubblicati, che purtroppo non sono molto numerosi ma quasi sempre aggiungono validi contenuti al dibattito. Così talvolta recuperiamo degli interventi che meritano di essere posti in evidenza trasformandoli in articoli. Questa volta lo facciamo con un dialogo tra due nostre autorevoli firme, Giuseppe Davicino e Giuseppe Ladetto, che si sono confrontati in un vivace scambio di opinioni sul ruolo della Germania in Europa in calce all'ampio e circostanziato intervento di Enrico Seta che abbiamo pubblicato esattamente una settimana fa con il titolo La partita europea tra ideologia e geopolitica e che potete recuperare cliccando qui. Davicino e Ladetto avevano già disputato sul tema dell'Europa alla tedesca sulla nostra rivista on-line, e potrebbe essere utile ritornare preliminarmente ai contenuti di quel confronto, cui potete accedere cliccando qui.

Ladetto
Se il nuovo padrone dell’Europa (temporaneo) sarà una nazione europea, non me ne dolgo. È la strada che hanno seguito tutte le nazioni nei percorsi di formazione dello stato unitario. Per un certo tempo, il Paese protagonista del processo unitario ha assunto un ruolo egemonico lasciando poi spazio a un assetto più partecipato ed ugualitario. In Italia il ruolo egemone del Piemonte sabaudo è durato molto poco.

Davicino
La Germania, a differenza del Regno di Sardegna, non punta all’unità. Ancora in questi giorni Berlino ribadisce la più assoluta contrarietà ad ogni forma di trasferimento fiscale nell’Eurozona e di condivisione del rischio. Più chiaro di così. Il piano tedesco non è cambiato. Temo, purtroppo, abbia ragione Paolo Savona. La Germania, attraverso l’Euro – il modo errato, disfunzionale e asimmetrico con cui è stato costruito – non fa che proseguire, e attuare con i mezzi dell’economia, ciò che il regime nazista non riuscì a fare con la guerra. È la continuazione del Piano Funk, del 1936, del ministro dell’economia, che vedeva la Germania come potenza industriale guida e gli altri Paesi prevalentemente come serbatoio di lavoro, economia agricola e turismo, e prevedeva che le monete europee gravitassero attorno al marco. Ecco perché su queste basi la Germania non potrà mai essere la potenza unificatrice, bensì quella che l’Europa la disfa.
Se questo è vero, i Paesi latini sono le vittime designate. Non devono più commettere l’errore di assecondare la Germania nella sua fobia del debito, con cui sarà impossibile uscire dalla crisi provocata dal coronavirus. L’Italia deve piuttosto attivare subito immissione di liquidità con Banca d’Italia e BCE, almeno entro il programma PEPP, acquisto di titoli straordinario per la pandemia, già varato dall’Istituto centrale di Francoforte. La Germania va messa di fronte al fatto compito della creazione di ingenti quantità di moneta non a debito per fronteggiare questa emergenza. Se si adeguerà, avremo nei fatti l’Europa unita, perché la condivisione del debito unisce, genera solidarietà.
L’errore più grosso che si potrebbe compiere in questa delicata fase è invece quello di credere nella capacità di guida della Germania. Se le proposte anticrisi sinora in discussione a Bruxelles fossero adottate (tutti prestiti, nessuno stimolo monetario per l’economia reale), esse ci porterebbero nel giro di qualche mese alla stagflazione, recessione e inflazione insieme, uno scenario nero da cui possono nascere rivolte e guerre.
Del resto la storia è piena di lezioni. Coloro che si sono fidati dei tedeschi sono sempre finiti male. Emblematica è la lezione storica degli ebrei polacchi del ghetto di Łódź. Questi, avendo una grande produttività in settori strategici per la Wehrmacht, pensarono di potersi salvare, collaborando con la Germania. Ogni anno, sotto il comando del presidente del locale consiglio ebraico Rumkowski, davano ai nazisti una lista di persone inidonee al lavoro, da mandare nel campo di sterminio di Chełmno per essere gasati in camere a gas mobili, in modo da salvare gli altri. Questo durò fino al 1944 quando all’approssimarsi dei russi, i tedeschi non mostrarono alcuna riconoscenza: tutti gli abitanti del ghetto di Łódź furono deportati e gasati.
Così oggi, svenarsi per rispettare i vincoli economici eurotedeschi (lo abbiamo fatto dal 1992 e in misura più intensa nello scorso decennio, apportando dei tagli sanguinosi alla sanità, alla scuola, alle pensioni, precarizzando il lavoro, disinvestendo da piani di sviluppo e di ricerca, di prevenzione delle calamità naturali, ecc.) non ci preserverà dalla richiesta tedesca di far fallire nostro Paese o di metterlo sotto amministrativa controllata, a partire dall’accettazione delle prossime misure europee “anticrisi”. Abbiamo sacrificato loro il meglio delle nostre partecipazioni statali, delle nostre aziende, un decennio di mancato sviluppo per seguire le loro folli politiche deflattive. Tutti questi sacrifici non basteranno a salvarci. Se non agiamo risolutamente come Paese, facendo ciò che è necessario per salvare l’Italia, non ciò che ci comanda l’UE-Germania, l’Italia intera sarà il nuovo ghetto di Łódz, prima o poi ci gaseranno, economicamente, tutti, scaraventando il Paese nel caos, nell’ingovernabilità e nelle rivolte.

Ladetto
Ribadisco quanto ho già detto in altra occasione. Se si ritiene che la Germania sia marchiata da una tara genetica “nazista”, inestirpabile, destinata a riemergere sempre, allora che senso ha parlare ancora di unità europea visto che la Germania sta al centro del continente per collocazione e dimensione geografica, per peso demografico, economico e tecnologico? È possibile costruire un’Europa senza la Germania? Si può pensare che allo scopo sia necessario fare tabula rasa di tutto quanto ha rappresentato la Germania nei secoli con la sua cultura, visto che sarebbe inscindibile dal nazismo? C’è chi lo ha pensato e lo pensa ancora oggi.
In realtà (come ha scritto Gian Enrico Rusconi) la Germania, malgrado la sua forza economica e tecnologica, che le offre l’opportunità di porsi alla guida del continente, appare incerta perché non si sente ancora capace di farsene carico per non superati sensi di colpa. Anche per questo motivo, riversa tutte le sue energie nel solo ambito economico.
Quando dico che non mi rammarico del fatto che il nuovo padrone dell’Europa possa essere una nazione europea, intendo due cose: 1) è difficile realizzare l’Europa senza che un suo Paese, avendone i mezzi, assuma un ruolo propulsore dell’impresa; 2) finché dura il dominio americano non ci sarà mai l’unità del continente. Come ha scritto Barbara Spinelli, sintetizzando la posizione statunitense in materia: “Questo matrimonio europeo non s’ha da fare né domani né mai”.

Davicino
Certo che no, il problema non è la parentesi nazista della Germania. Il problema è la geopolitica che gioca da sempre contro l’unità europea. Solo un supplemento di politica, dunque di solidarietà, di condivisione del rischio, di trasferimenti fiscali all’interno dell’Eurozona può sopperire all’insanabile divergenza di interessi che divide il Centroeuropa dal Mediterraneo.
E la crisi attuale è l’occasione giusta per dimostrarlo, vincendo gli egoismi nazionali. Se non lo si farà, come purtroppo tutto lascia presagire, se la BCE non si trasformerà alla svelta in prestatore di ultima istanza, tutti noi vivremo ciò che seguirà come un cataclisma ma sarà semplicemente la storia che si rimette sui suoi binari “naturali”.
Il dopoguerra ci ha insegnato che l’integrazione europea si fa finché non vi è una grande potenza mitteleuropea (la Germania era divisa in due). Quando l’Impero centrale riemerge (la CEE che diventa UE, Maastricht), tutto si blocca. E non credo abbia ragione Rusconi: la Germania non ha affatto rinunciato al suo ruolo guida politico. Lo ha fatto come poteva, da Paese ancora, e per fortuna, presidiato militarmente dagli Alleati, che non può avere una propria compagnia petrolifera e che tuttavia mira a sostituire la Francia come membro permanente del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, a creare una armata europea sotto il suo comando, il cd. “esercito europeo”, ma soprattutto lo ha fatto codificando nei nuovi trattati europei ordoliberismo e mercantilismo, le linee guida del proprio interesse nazionale, anziché mediare alla ricerca dell’interesse comune.
Dunque, se nell’ora della crisi estrema non scatta in tutti il senso di solidarietà, per l’Italia rimangono solo due strade. O assoggettarsi all’Europa tedesca, come cercò già di fare Mussolini: ma allora come oggi questa via significa la rovina dell’Italia. Accettando il MES o suoi surrogati generatori di debito aggiuntivo, senza creare via banca centrale la liquidità necessaria – che non va restituita – ad affrontare le conseguenze del coronavirus, si porterà presto il Paese nel caos e nell’ingovernabilità. La Germania con la sua insensata rigidità davanti a questa crisi, sta trascinando l’intera Europa verso una nuova tragedia che rischia di avere risvolti molto cruenti e di natura bellica.
L’altra via è prendere atto, con estremo rammarico, ma con realismo geopolitico, che con una Germania debordante l’Italia muore, mentre guardando ancora una volta agli Stati Uniti, possiamo ripartire. Perché dobbiamo la nostra unità nazionale agli inglesi e la nostra liberazione dalla prima dominazione tedesca agli americani. Non sono gli USA che cercano di dividere l’Europa, siamo noi ad aver bisogno di loro. Agli Stati Uniti interessa solo che la Germania la smetta di fare il vandalo globale, scassando gli equilibri economici planetari col suo mercantilismo sporco, ottenuto indebolendo i propri concorrenti europei e con la riedizione dell’Asse con la potenza egemonica dell’Asia, la Cina in sostituzione del Giappone.
Siamo ancora in tempo a salvarci. Ma devono essere le prossime settimane tempi di scelte storiche. Dopo il 25 luglio del blocco dell’economia a causa del virus, serve un nuovo 8 settembre monetario: abiurare le politiche tedesche e adottare quelle americane, come ha consigliato Mario Draghi, riattivando la Banca d’Italia come prestatrice di ultima istanza, imponendo il controllo dei capitali. Facendo in sostanza il primo passo verso l’uscita dall’euro, prima che esso collassi malamente, e ponendo la Germania di fronte al fatto compiuto: o le politiche espansive si fanno insieme, con la BCE, e si arriva a occhi chiusi alla vera unità europea, oppure ognuno per la sua strada, non per scelta ma per necessità vitale.


2 Commenti

  1. Visto il risalto dato allo scambio di opinioni fra Giuseppe Davicino e il sottoscritto, ritengo utile, per meglio definire l’ambito a cui ricondurlo, introdurre alcune considerazioni di ordine geopolitico. Su quelle di ordine politico, è stato molto chiaro Oreste Calliano nel suo ultimo articolo su questo giornale.
    Una Europa unificata e sovrana, oggi come ieri, non sarebbe seconda a nessuna altra potenza per popolazione, territorio, capacità produttiva e tecnologica, prodotto interno lordo e potenziale militare, diventando (anche per il peso della sua storia) il punto di riferimento per il settore occidentale del pianeta. Per questa ragione, prima l’Inghilterra ed in seguito gli Usa, potenze marittime, hanno sempre cercato e cercano di impedirlo non consentendo l’affermarsi di stati sul continente in grado di aggregare gli altri paesi europei.
    Le potenze marittime sono poco interessate a realizzare grandi organismi territorialmente accorpati perché affidano il proprio status egemonico, di portata planetaria, al dominio dei mari mediante il quale controllano gli scambi commerciali e condizionano le potenze continentali. Ciò vale ancora oggi, malgrado i mezzi aerei e soprattutto le comunicazioni in rete. Lo conferma il fatto che gli Usa vedano con il fumo negli occhi la “via della seta”, proprio perché realizza un percorso di scambi commerciali non marittimo e quindi da loro poco controllabile.

  2. Interessante sintesi di un ipotetico dibattito a distanza fra Davicino e Ladetto!
    Però, a mio avviso, vi sono alcuni punti che devono essere meglio precisati.

    1. La BCE è prestatore di ultima istanza – come tutte le banche centrali – eccetto che nei confronti delle amministrazioni pubbliche dei paesi membri dell’Area Euro.

    2. La moneta creata dalla BCE – come da qualunque banca centrale – è un debito della BCE, solo che, in regime di circolazione monetaria inconvertibile, la BCE non ha obbligo di conversione in alcunché. E’ un potenziale stimolo monetario che può però non essere efficace nei confronti dell’economia reale – a parte il caso di mancanza di liquidità per far fronte a impegni pregressi o a esigenze imprescindibili – perché la moneta creata prende la via della speculazione finanziaria o non riesce a stimolare la domanda di imprese o famiglie (come è avvenuto nel decennio passato di inefficace quantittive easing europeo).

    3. Ordoliberismo e mercantilismo sono due etichette che ben s’addicono al tipo di politica che la Germania ha sposato per lo meno nell’ultimo quarto di secolo e che ha cercato, riuscendovi, a imporre nell’UE. Ma, specie il secondo, non sono fonte di benessere economico, poiché quest’ultimo non è dato dal PIL, ma dal volume dei beni di cui una nazione viene a disporre. Un paese che esporta molto più di quello che importa spinge in su il PIL, ma frena il benessere economico della comunità. Un ricco avaro che risparmia pressoché tutto ciò che produce, per cui muore di fame, non sta bene!

    4. Gli USA hanno, per un po’ di tempo, temuto la competizione dell’economia di un’Europa coesa e di una moneta europea unita. Ora temono solo più la Cina.

    5. Parlando di processo di unificazione europea, non dobbiamo fare riferimento alla formazione del Regno d’Italia (né del Regno di Germania), in cui uno stato ha svolto un ruolo egemonico, bensì al modello federativo statunitense. Questo ha seguito la via: stato unitario, mercato unico, moneta unica, debito pubblico unico. L’Europa ha seguito un processo a zig-zag (mercato unico, moneta unica, anche se non per tutti) non concluso per un’evidente diffusa mancanza di una convinta vocazione alla creazione di uno stato unitario. In assenza di un governo unico, seppure di tipo federale, con un bilancio unico, è impossibile che, prima o poi, non vengano al pettine rilevanti nodi nel funzionamento della moneta e del debito unitari. Lo si è visto con l’euro; lo si vedrebbe con gli eurobond.

    6. Ciò non toglie che, in questo momento di pandemia infettiva, abbia un forte senso richiedere solidarietà a livello europeo, anche nella forma di creazione di garanzie finanziarie comunitarie nei confronti di progetti volti a far uscire dallo stato di profonda crisi morale ed economica i paesi che più hanno sofferto o soffriranno per la pandemia. Con un bilancio europeo che non arriva al 10 per cento dei bilanci consolidati pubblici dei paesi membri è velleitario parlare di eurobond. E’ invece doverosa un’azione di solidarietà europea condivisa – anche nella forma di annullamento o attenuazione dei vincoli di spesa al momento presenti – la quale deve trovare la strada aperta, in cui non si trovino pietre in cui qualcuno si possa o si voglia inciampare.

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