La lunga colonna notturna di camion militari che trasportano bare di deceduti nel bergamasco, resterà tra le immagini emblematiche di questi giorni, al pari della passeggiata domenicale del Papa argentino (triste, solitario y final) per una Roma deserta.
Cosa ci insegnano momenti come quelli che stiamo vivendo in questi giorni di emergenza? Il vero cambiamento c’è stato dal punto di vista sociale. Gli insegnamenti sono stati molti e dolorosi. Stiamo facendo tutti, più o meno consapevolmente, una prova generale di “decrescita infelice”. Alcuni movimenti politici avevano rilanciato nei mesi scorsi il tema della decrescita felice, ma quella a cui stiamo assistendo invece è una decrescita tragica, perché basata anche sui morti. È anagrafica, perché “sfoltisce” i più deboli e fragili, alleggerendo i conti della previdenza sociale. È psicologica, perché mette a dura prova il tessuto sociale che dovrebbe tenere unita una “comunità di destino”. È una decrescita “green” perché l’acqua dei canali di Venezia è più pulita, il cielo di Milano è tornato limpido e respirabile e sulla Pianura Padana, come mostrano le immagini via satellite, è praticamente scomparsa la nube di inquinamento.
Dopo la storica frase “non siamo qui per controllare gli spread”, che infinite sciagure inflisse ai listini mondiali, Christine Lagarde ha parzialmente corretto il tiro con una serie di Operazioni di mercato aperto (OMT) da 750 miliardi di euro, per stabilizzare i mercati. Vedremo se gli effetti saranno quelli sperati. Intanto però, con i principali asset strategici italiani a prezzo di saldo, arrivano (o arriveranno presto) le prime offerte pubbliche di acquisto. Tutto ciò nel silenzio (più che interessato) dei Paesi del Nord Europa. Quello di cui avremmo bisogno, un nuovo Piano Marshall, non sta arrivando da Washington, ma da Pechino. Consulenze e tecnologie sanitarie, respiratori e macchinari. La nuova “via della Seta” si vede anche nel momento del bisogno.
Intanto si prolunga il blocco totale (almeno in Italia) ben oltre la data fatidica del 3 aprile. I principali esperti ormai concordano su una realistica dead-line dell’emergenza coronavirus al mese di giugno, prima di poter tornare gradualmente a una vita normale. Il professor Massimo Galli, primario dell’Ospedale Sacco di Milano, dice apertamente che per una ripresa delle attività economiche bisognerà considerare “lo scenario peggiore”.
Tutto ciò quanto lo pagheremo? È questa la domanda che ci dobbiamo porre. Naturalmente si può sempre cantare alle finestre, abbracciarsi (virtualmente) sventolando il tricolore. Il richiamo alla Patria è più che legittimo, nei momenti di difficoltà. Ma quando si raggiunge un certo livello di benessere e si è abituati a un certo standard di consumi, è molto difficile accettare di tornare indietro. E questa “decrescita infelice” avrà un prezzo per tutti, in termini economici e sociali.
Andrà tutto bene? Speriamo.
(Tratto da www.ildomaniditalia.eu)
Cosa ci insegnano momenti come quelli che stiamo vivendo in questi giorni di emergenza? Il vero cambiamento c’è stato dal punto di vista sociale. Gli insegnamenti sono stati molti e dolorosi. Stiamo facendo tutti, più o meno consapevolmente, una prova generale di “decrescita infelice”. Alcuni movimenti politici avevano rilanciato nei mesi scorsi il tema della decrescita felice, ma quella a cui stiamo assistendo invece è una decrescita tragica, perché basata anche sui morti. È anagrafica, perché “sfoltisce” i più deboli e fragili, alleggerendo i conti della previdenza sociale. È psicologica, perché mette a dura prova il tessuto sociale che dovrebbe tenere unita una “comunità di destino”. È una decrescita “green” perché l’acqua dei canali di Venezia è più pulita, il cielo di Milano è tornato limpido e respirabile e sulla Pianura Padana, come mostrano le immagini via satellite, è praticamente scomparsa la nube di inquinamento.
Dopo la storica frase “non siamo qui per controllare gli spread”, che infinite sciagure inflisse ai listini mondiali, Christine Lagarde ha parzialmente corretto il tiro con una serie di Operazioni di mercato aperto (OMT) da 750 miliardi di euro, per stabilizzare i mercati. Vedremo se gli effetti saranno quelli sperati. Intanto però, con i principali asset strategici italiani a prezzo di saldo, arrivano (o arriveranno presto) le prime offerte pubbliche di acquisto. Tutto ciò nel silenzio (più che interessato) dei Paesi del Nord Europa. Quello di cui avremmo bisogno, un nuovo Piano Marshall, non sta arrivando da Washington, ma da Pechino. Consulenze e tecnologie sanitarie, respiratori e macchinari. La nuova “via della Seta” si vede anche nel momento del bisogno.
Intanto si prolunga il blocco totale (almeno in Italia) ben oltre la data fatidica del 3 aprile. I principali esperti ormai concordano su una realistica dead-line dell’emergenza coronavirus al mese di giugno, prima di poter tornare gradualmente a una vita normale. Il professor Massimo Galli, primario dell’Ospedale Sacco di Milano, dice apertamente che per una ripresa delle attività economiche bisognerà considerare “lo scenario peggiore”.
Tutto ciò quanto lo pagheremo? È questa la domanda che ci dobbiamo porre. Naturalmente si può sempre cantare alle finestre, abbracciarsi (virtualmente) sventolando il tricolore. Il richiamo alla Patria è più che legittimo, nei momenti di difficoltà. Ma quando si raggiunge un certo livello di benessere e si è abituati a un certo standard di consumi, è molto difficile accettare di tornare indietro. E questa “decrescita infelice” avrà un prezzo per tutti, in termini economici e sociali.
Andrà tutto bene? Speriamo.
(Tratto da www.ildomaniditalia.eu)
Lascia un commento