Ricercatore in Scienze Politiche internazionali all'Università Cattolica di Milano, analista presso la NATO Defense College Foundation e collaboratore di “Limes”, Giorgio Cella è un attento osservatore degli scenari geopolitici, che potrebbero mutare con il “ciclone coronavirus”. Francesco Provinciali ha raccolto in un'ampia intervista le sue considerazioni e ipotesi.
Dottor Cella, che tipo di effetti può avere il nuovo coronavirus sugli equilibri geopolitici mondiali e quali superpotenze potrebbero trarre vantaggi strategici da tale situazione emergenziale?
Desidero chiarire in primis come sia lungi da me voler dare una qualsivoglia valutazione sulle specificità epidemiologiche del nuovo coronavirus; su tali aspetti dovrebbero infatti esprimersi esclusivamente i nostri autorevoli rappresentanti della comunità medico-scientifica, cosa che purtroppo nei media italiani non sempre accade. Desidero invece fornire un quadro sui possibili, nonché plausibili riflessi geopolitici che l’irruzione di tale ignota epidemia potrebbe imprimere sul corso storico corrente.
Partirei col definire ciò che non è: escluderei si tratti del famigerato cigno nero del secolo (in quanto nei primi due decenni del XXI secolo sono già occorsi casi similari come SARS e MERS ad esempio) nel senso, un po’ semplicistico, spesso evocato dai media nostrani. Non si tratta di un unicum. Se mai, cigno nero nel senso più autentico espresso da N.N. Taleb, l’autore libanese che rese noto tale concetto, coniato invece originariamente dal poeta latino Decimo Giunio Giovenale, il quale parlò di rara avis in terris, nigroque simillima cygno, ossia di cigno nero in quanto uccello raro in terra, nel senso di elemento scardinatore di certezze e di visioni del mondo date per acquisite. Si tratta invece, indubbiamente, quantomeno sul breve-medio termine, di un notevole game changer, ossia un elemento di svolta che irrompe negli equilibri interstatali e globali. Se tale game changer possa evolversi in un cambio di paradigma, per prendere a prestito concetto familiare al pontificato di papa Francesco, è ancora, rebus sic stantibus, presto per dirlo, la sua durata sarà in questo significativa. È certo come il fattore nuovo coronavirus, nell’attuale fase di grande imprevedibilità e volatilità globale, abbia già dimostrato di avere, e continuerà a dimostrarlo anche in futuro, una potente capacità trasformativa non solo sul piano socioeconomico, ma altresì sulle dinamiche internazionali.
Tali capacità trasformativa riferita al nuovo coronavirus quali effetti potrebbe creare nell’attuale competizione geopolitica internazionale: lo scacchiere mondiale lascia spazio ad assestamenti e movimenti imprevedibili?
La forza trasformatrice di tale dirompente elemento produce in molte persone un forte impatto sul lato psichico-emotivo, su cui ritorneremo, nonché sugli equilibri geopolitici, in specie sulla politica estera delle maggiori potenze mondiali.
Vediamo alcuni scenari potenziali. Ad esempio, se a causa dell’epidemia Pechino, oltre a una grave contrazione del PIL, dovesse far fronte a una sensibile riduzione degli investimenti esteri e a un processo di graduale delocalizzazione delle innumerevoli compagnie e multinazionali estere sul suo territorio, che delocalizzeranno in Paesi limitrofi, magari alleati agli Stati Uniti dove la manodopera è ancora più conveniente che in Cina, ciò porterebbe Pechino in condizioni sfavorevoli rispetto allo status quo ante pandemia, con una doppia battuta d’arresto, economica e geopolitica. Ciò può valere anche per quanto riguarda il destino, ora un po’ più incerto, del planetario progetto del Dragone della Nuova via della seta (Belt and Road Initiative), che difficilmente verrà totalmente compromesso, ma potrebbe sicuramente subire rallentamenti o contraccolpi; se più o meno gravi lo diranno i mesi a venire.
Se da un lato invece, come i più recenti dati sembrerebbero indicare, Pechino dovesse in un futuro prossimo risollevarsi e passare nella percezione globale da colpevole iniziale a maestra nella gestione dell’epidemia e il nuovo coronavirus dovesse dall’altro lato espandersi massivamente in America arrecando seri danni economici e mettendo in crisi il sistema sanitario, allora anche per Washington tale game changer potrebbe trasformarsi financo in un insidioso problema politico per l’amministrazione Trump, inserendosi prepotentemente nella campagna elettorale, come già sta accadendo, anche se, magari, entro giugno giugno-luglio, l’allarme potrebbe essere rientrato.
Su un piano ancora più ampio e in una prospettiva di più lungo termine, quali tipi di conseguenze potrebbe innescare il nuovo coronavirus nella politica internazionale? C’è un nesso di causalità diretto e di incidenza profonda e percepibile? A ben vedere si tratta di un aspetto della globalizzazione.
Non possiedo alcuna sfera di cristallo, purtroppo, ma se dovessi spingermi in previsioni ancora più di lungo termine, tenderei a vedere in questo improvviso quanto esiziale evento, un acceleratore di una incipiente crisi di un sistema internazionale ove il diritto internazionale appare sempre più evanescente sotto i colpi di una muscolare Realpolitik di ritorno, ma che tuttavia è per ora riuscito a delimitare crisi semi globali (vedi ad esempio crisi ucraina e siriana) in un contesto regionale. La crisi del coronavirus potrebbe quindi accelerare ulteriormente quell’instabilità economica e geopolitica che si trascina dal 2008, l’anno della crisi dei subprime e della guerra russo-georgiana, che ha poi visto l’indebolimento del legame euro-atlantico con le logoranti crisi in Ucraina e in Siria, ossia quella guerra mondiale a pezzi più volte evocata da papa Bergoglio. Eventi dietro i quali si staglia la crescente competizione per l’egemonia mondiale tra Washington e Pechino. In un indeterminato futuro, questo andazzo potrebbe ulteriormente incrinarsi traslandosi altresì sul piano del confronto militare.
In tale scenario, la posizione della Federazione Russa diverrà un cruciale ago della bilancia. Vorrei sottolineare la pericolosità e volatilità inedita dell’attuale fase internazionale per tre ragioni su tutte: 1 – la mancanza di una conferenza sistematrice (come occorso ad esempio con la Pace di Westfalia, con il Congresso di Vienna o con la Conferenza di Yalta) ed edificatrice di una nuova architettura di sicurezza condivisa nell’era post-bipolare, che ha determinato quella continua tensione tra Federazione Russa e Occidente per via dell’allargamento, legittimo ma problematico, delle strutture euro-atlantiche verso l’ex spazio sovietico. 2 – La protratta mancanza di coesione, nonché di un’identità chiara e condivisa e di proiezione militare e geopolitica dell’Unione Europea, purtroppo rivelatasi sinora poco incisiva anche nell’attuale emergenza sanitaria. Terzo elemento di rischio è costituito dalla questione degli armamenti strategici a seguito della morte del trattato INF e la possibile prossima fine anche del New START. A ciò, si collega evidentemente la relativa corsa al riarmo nucleare, con armamenti anche ipersonici da parte di Russia, Stati Uniti e Cina.
Varie teorie di tipo “complottistico” sono circolate nelle ultime settimane riguardo all’origine del COVID 19 , ad esempio con riferimento ad un prossimo dispiegamento di 20.000 soldati americani per un’esercitazione militare in vari Paesi europei. Cosa ci può dire al riguardo?
Nonostante concordi con la massima di Bertrand Russel secondo cui il problema dell’umanità è che gli stupidi sono sempre sicurissimi, mentre gli intelligenti sono pieni di dubbi, talune teorie appaiono quantomeno forzature di elementi tra loro spaiati e privi una chiara interdipendenza. A ben vedere infatti, spesso, poche settimane dopo la loro divulgazione, spariscono velocemente nel dimenticatoio. Tornando alla realtà, l’emergenza coronavirus sembra avere la sua origine in fenomeni naturali – il passaggio del virus dal pipistrello all’uomo – occorsi nei mercati cinesi ove si trattano animali selvatici, come purtroppo già occorso in passato.
È invece chiaro, come sopra anticipato, che la situazione creatasi può essere rifunzionalizzata in chiave di avanzamento degli interessi strategici delle due superpotenze. Difatti, e questa è una lettura sensata, l’irruzione di un tale elemento destabilizzante, così come per altre imprevedibili calamità, ha la capacità di rivelare lo stato di un determinato Sistema Paese, la capacità di reazione di quest’ultimo a fronte di tali improvvise crisi. Il nuovo coronavirus costituisce quindi un serio test per i governi e i loro sistemi di governance. Oltre a ciò, in uno sguardo lungo, è evidente di come questa situazione possa rappresentare il momento per una riscossa di un’unità europea, l’opportunità preziosa che l’Unione Europea potrebbe prendere per ricostituirsi come soggetto credibile e indispensabile: il piano appena varato di aiuti (Coronavirus Response Investment Fund) per 25 miliardi all’economia europea e la possibile flessibilità sul deficit per l’Italia vanno nella giusta strada. Per Bruxelles si tratta quasi di un imperativo: se non agisse in modo costruttivo e rapido, Pechino potrebbe inserirsi con un suo piano di aiuti economici, irrobustendo ulteriormente la presenza cinese in Italia, ergo nella stessa Europa.
Per quanto concerne invece l’arrivo delle truppe americane in Europa (arrivo già iniziato a febbraio) per l’operazione Europe Defender 2020, si tratta di un’importante esercitazione militare da ascriversi nel quadro globale di espansione assertiva delle relative sfere d’influenza (pensiamo alle imponenti esercitazioni militari russo-cinesi degli anni precedenti) e nei meccanismi di operazioni interforze NATO come già ne sono occorse negli anni scorsi: questa volta vi sono diciotto nazioni coinvolte, tra cui inizialmente anche il nostro Paese, che ha però preferito annullare la propria partecipazione per fronteggiare al meglio l’emergenza sanitaria in Italia. Se mai, degno di nota è il fatto che in tali esercitazioni sarà coinvolta anche la Georgia: ciò indica, evidentemente, nonostante Trump, una rinnovata assertività nei confronti di Mosca. Europe Defender 2020 rappresenterà certamente un banco di prova per verificare l’interoperabilità delle forze statunitensi in sinergia con quelle europee, nonché un significativo sforzo sul piano tattico-organizzativo.
Volerci vedere una connessione diretta con l’emergenza epidemiologica in corso rappresenta poco più che un’ingenuità o una fantasiosa forzatura, ancor più se si conoscessero quantomeno i fatti, ossia che tale esercitazione militare integrata fu programmata e messa a bilancio dagli Stati Uniti già nella prima metà del 2019… In conclusione, aggiungo che proprio a causa dell’emergenza coronavirus, tali esercitazioni potrebbero essere cancellate, com’è stata cancellata pochi giorni fa l’operazione NATO Cold Response 2020 in Norvegia, guarda un po’, proprio a causa coronavirus.
Da ultimo, quali riflessi invece di tipo valoriale e psichico-spirituale una tale situazione può ingenerare nei comportamenti delle masse, a livello sociale ?
Un pericolo invisibile, come lo è un virus, è qualcosa di intrinsecamente universale, nel senso più pieno del termine, globale e globalizzante, in quanto, specie nell’era dei social media, rende un po’ tutti protagonisti, nel bene o nel male. La sua entità riflette e riporta alla mia mente un aforisma di H.P. Lovercraft dai reconditi nonché terribili significati: il sentimento più forte e più antico dell’animo umano è la paura, e la paura più grande è quella dell’ignoto. Un tale evento, in effetti, funge altresì da universale memento mori, riportando l’ignoto e la morte più prossime nell’esistenza di tutti i giorni, e di tutti, nel mondo odierno che, specie quello occidentale, in una risibile illusione, fa di tutto per cancellarne ogni riferimento.
Per quanto riguarda gli effetti sulla società e i suoi valori invece, oltre a rivelare gli istinti etico-comportamentali di fondo di ciascun popolo, l’elemento dirompente del virus può financo produrre esternalità positive, come un aumentato senso di appartenenza alla comunità e attitudini più virtuose rispetto alla frenetica routine sociale moderna, portando per giunta a un eventuale ritorno, per i meno ilici quantomeno, a stati più riflessivi, spirituali o generalmente più contemplativi dell’esistenza. Aggiungo, e concludo, che qualora le crisi si facessero ben più gravi di quella attuale, come ad esempio in tempo di guerra, tali situazioni possono spingere le moltitudini a ritrovare financo antiche modalità dell’essere e principi che possono apparire oggi desueti, come quello del sacrificio, della disciplina o dello spirito di abnegazione. Naturalmente, l’auspicio è di non dover tuttavia saggiare in un futuro prossimo tali scenari e prospettive.
Dottor Cella, che tipo di effetti può avere il nuovo coronavirus sugli equilibri geopolitici mondiali e quali superpotenze potrebbero trarre vantaggi strategici da tale situazione emergenziale?
Desidero chiarire in primis come sia lungi da me voler dare una qualsivoglia valutazione sulle specificità epidemiologiche del nuovo coronavirus; su tali aspetti dovrebbero infatti esprimersi esclusivamente i nostri autorevoli rappresentanti della comunità medico-scientifica, cosa che purtroppo nei media italiani non sempre accade. Desidero invece fornire un quadro sui possibili, nonché plausibili riflessi geopolitici che l’irruzione di tale ignota epidemia potrebbe imprimere sul corso storico corrente.
Partirei col definire ciò che non è: escluderei si tratti del famigerato cigno nero del secolo (in quanto nei primi due decenni del XXI secolo sono già occorsi casi similari come SARS e MERS ad esempio) nel senso, un po’ semplicistico, spesso evocato dai media nostrani. Non si tratta di un unicum. Se mai, cigno nero nel senso più autentico espresso da N.N. Taleb, l’autore libanese che rese noto tale concetto, coniato invece originariamente dal poeta latino Decimo Giunio Giovenale, il quale parlò di rara avis in terris, nigroque simillima cygno, ossia di cigno nero in quanto uccello raro in terra, nel senso di elemento scardinatore di certezze e di visioni del mondo date per acquisite. Si tratta invece, indubbiamente, quantomeno sul breve-medio termine, di un notevole game changer, ossia un elemento di svolta che irrompe negli equilibri interstatali e globali. Se tale game changer possa evolversi in un cambio di paradigma, per prendere a prestito concetto familiare al pontificato di papa Francesco, è ancora, rebus sic stantibus, presto per dirlo, la sua durata sarà in questo significativa. È certo come il fattore nuovo coronavirus, nell’attuale fase di grande imprevedibilità e volatilità globale, abbia già dimostrato di avere, e continuerà a dimostrarlo anche in futuro, una potente capacità trasformativa non solo sul piano socioeconomico, ma altresì sulle dinamiche internazionali.
Tali capacità trasformativa riferita al nuovo coronavirus quali effetti potrebbe creare nell’attuale competizione geopolitica internazionale: lo scacchiere mondiale lascia spazio ad assestamenti e movimenti imprevedibili?
La forza trasformatrice di tale dirompente elemento produce in molte persone un forte impatto sul lato psichico-emotivo, su cui ritorneremo, nonché sugli equilibri geopolitici, in specie sulla politica estera delle maggiori potenze mondiali.
Vediamo alcuni scenari potenziali. Ad esempio, se a causa dell’epidemia Pechino, oltre a una grave contrazione del PIL, dovesse far fronte a una sensibile riduzione degli investimenti esteri e a un processo di graduale delocalizzazione delle innumerevoli compagnie e multinazionali estere sul suo territorio, che delocalizzeranno in Paesi limitrofi, magari alleati agli Stati Uniti dove la manodopera è ancora più conveniente che in Cina, ciò porterebbe Pechino in condizioni sfavorevoli rispetto allo status quo ante pandemia, con una doppia battuta d’arresto, economica e geopolitica. Ciò può valere anche per quanto riguarda il destino, ora un po’ più incerto, del planetario progetto del Dragone della Nuova via della seta (Belt and Road Initiative), che difficilmente verrà totalmente compromesso, ma potrebbe sicuramente subire rallentamenti o contraccolpi; se più o meno gravi lo diranno i mesi a venire.
Se da un lato invece, come i più recenti dati sembrerebbero indicare, Pechino dovesse in un futuro prossimo risollevarsi e passare nella percezione globale da colpevole iniziale a maestra nella gestione dell’epidemia e il nuovo coronavirus dovesse dall’altro lato espandersi massivamente in America arrecando seri danni economici e mettendo in crisi il sistema sanitario, allora anche per Washington tale game changer potrebbe trasformarsi financo in un insidioso problema politico per l’amministrazione Trump, inserendosi prepotentemente nella campagna elettorale, come già sta accadendo, anche se, magari, entro giugno giugno-luglio, l’allarme potrebbe essere rientrato.
Su un piano ancora più ampio e in una prospettiva di più lungo termine, quali tipi di conseguenze potrebbe innescare il nuovo coronavirus nella politica internazionale? C’è un nesso di causalità diretto e di incidenza profonda e percepibile? A ben vedere si tratta di un aspetto della globalizzazione.
Non possiedo alcuna sfera di cristallo, purtroppo, ma se dovessi spingermi in previsioni ancora più di lungo termine, tenderei a vedere in questo improvviso quanto esiziale evento, un acceleratore di una incipiente crisi di un sistema internazionale ove il diritto internazionale appare sempre più evanescente sotto i colpi di una muscolare Realpolitik di ritorno, ma che tuttavia è per ora riuscito a delimitare crisi semi globali (vedi ad esempio crisi ucraina e siriana) in un contesto regionale. La crisi del coronavirus potrebbe quindi accelerare ulteriormente quell’instabilità economica e geopolitica che si trascina dal 2008, l’anno della crisi dei subprime e della guerra russo-georgiana, che ha poi visto l’indebolimento del legame euro-atlantico con le logoranti crisi in Ucraina e in Siria, ossia quella guerra mondiale a pezzi più volte evocata da papa Bergoglio. Eventi dietro i quali si staglia la crescente competizione per l’egemonia mondiale tra Washington e Pechino. In un indeterminato futuro, questo andazzo potrebbe ulteriormente incrinarsi traslandosi altresì sul piano del confronto militare.
In tale scenario, la posizione della Federazione Russa diverrà un cruciale ago della bilancia. Vorrei sottolineare la pericolosità e volatilità inedita dell’attuale fase internazionale per tre ragioni su tutte: 1 – la mancanza di una conferenza sistematrice (come occorso ad esempio con la Pace di Westfalia, con il Congresso di Vienna o con la Conferenza di Yalta) ed edificatrice di una nuova architettura di sicurezza condivisa nell’era post-bipolare, che ha determinato quella continua tensione tra Federazione Russa e Occidente per via dell’allargamento, legittimo ma problematico, delle strutture euro-atlantiche verso l’ex spazio sovietico. 2 – La protratta mancanza di coesione, nonché di un’identità chiara e condivisa e di proiezione militare e geopolitica dell’Unione Europea, purtroppo rivelatasi sinora poco incisiva anche nell’attuale emergenza sanitaria. Terzo elemento di rischio è costituito dalla questione degli armamenti strategici a seguito della morte del trattato INF e la possibile prossima fine anche del New START. A ciò, si collega evidentemente la relativa corsa al riarmo nucleare, con armamenti anche ipersonici da parte di Russia, Stati Uniti e Cina.
Varie teorie di tipo “complottistico” sono circolate nelle ultime settimane riguardo all’origine del COVID 19 , ad esempio con riferimento ad un prossimo dispiegamento di 20.000 soldati americani per un’esercitazione militare in vari Paesi europei. Cosa ci può dire al riguardo?
Nonostante concordi con la massima di Bertrand Russel secondo cui il problema dell’umanità è che gli stupidi sono sempre sicurissimi, mentre gli intelligenti sono pieni di dubbi, talune teorie appaiono quantomeno forzature di elementi tra loro spaiati e privi una chiara interdipendenza. A ben vedere infatti, spesso, poche settimane dopo la loro divulgazione, spariscono velocemente nel dimenticatoio. Tornando alla realtà, l’emergenza coronavirus sembra avere la sua origine in fenomeni naturali – il passaggio del virus dal pipistrello all’uomo – occorsi nei mercati cinesi ove si trattano animali selvatici, come purtroppo già occorso in passato.
È invece chiaro, come sopra anticipato, che la situazione creatasi può essere rifunzionalizzata in chiave di avanzamento degli interessi strategici delle due superpotenze. Difatti, e questa è una lettura sensata, l’irruzione di un tale elemento destabilizzante, così come per altre imprevedibili calamità, ha la capacità di rivelare lo stato di un determinato Sistema Paese, la capacità di reazione di quest’ultimo a fronte di tali improvvise crisi. Il nuovo coronavirus costituisce quindi un serio test per i governi e i loro sistemi di governance. Oltre a ciò, in uno sguardo lungo, è evidente di come questa situazione possa rappresentare il momento per una riscossa di un’unità europea, l’opportunità preziosa che l’Unione Europea potrebbe prendere per ricostituirsi come soggetto credibile e indispensabile: il piano appena varato di aiuti (Coronavirus Response Investment Fund) per 25 miliardi all’economia europea e la possibile flessibilità sul deficit per l’Italia vanno nella giusta strada. Per Bruxelles si tratta quasi di un imperativo: se non agisse in modo costruttivo e rapido, Pechino potrebbe inserirsi con un suo piano di aiuti economici, irrobustendo ulteriormente la presenza cinese in Italia, ergo nella stessa Europa.
Per quanto concerne invece l’arrivo delle truppe americane in Europa (arrivo già iniziato a febbraio) per l’operazione Europe Defender 2020, si tratta di un’importante esercitazione militare da ascriversi nel quadro globale di espansione assertiva delle relative sfere d’influenza (pensiamo alle imponenti esercitazioni militari russo-cinesi degli anni precedenti) e nei meccanismi di operazioni interforze NATO come già ne sono occorse negli anni scorsi: questa volta vi sono diciotto nazioni coinvolte, tra cui inizialmente anche il nostro Paese, che ha però preferito annullare la propria partecipazione per fronteggiare al meglio l’emergenza sanitaria in Italia. Se mai, degno di nota è il fatto che in tali esercitazioni sarà coinvolta anche la Georgia: ciò indica, evidentemente, nonostante Trump, una rinnovata assertività nei confronti di Mosca. Europe Defender 2020 rappresenterà certamente un banco di prova per verificare l’interoperabilità delle forze statunitensi in sinergia con quelle europee, nonché un significativo sforzo sul piano tattico-organizzativo.
Volerci vedere una connessione diretta con l’emergenza epidemiologica in corso rappresenta poco più che un’ingenuità o una fantasiosa forzatura, ancor più se si conoscessero quantomeno i fatti, ossia che tale esercitazione militare integrata fu programmata e messa a bilancio dagli Stati Uniti già nella prima metà del 2019… In conclusione, aggiungo che proprio a causa dell’emergenza coronavirus, tali esercitazioni potrebbero essere cancellate, com’è stata cancellata pochi giorni fa l’operazione NATO Cold Response 2020 in Norvegia, guarda un po’, proprio a causa coronavirus.
Da ultimo, quali riflessi invece di tipo valoriale e psichico-spirituale una tale situazione può ingenerare nei comportamenti delle masse, a livello sociale ?
Un pericolo invisibile, come lo è un virus, è qualcosa di intrinsecamente universale, nel senso più pieno del termine, globale e globalizzante, in quanto, specie nell’era dei social media, rende un po’ tutti protagonisti, nel bene o nel male. La sua entità riflette e riporta alla mia mente un aforisma di H.P. Lovercraft dai reconditi nonché terribili significati: il sentimento più forte e più antico dell’animo umano è la paura, e la paura più grande è quella dell’ignoto. Un tale evento, in effetti, funge altresì da universale memento mori, riportando l’ignoto e la morte più prossime nell’esistenza di tutti i giorni, e di tutti, nel mondo odierno che, specie quello occidentale, in una risibile illusione, fa di tutto per cancellarne ogni riferimento.
Per quanto riguarda gli effetti sulla società e i suoi valori invece, oltre a rivelare gli istinti etico-comportamentali di fondo di ciascun popolo, l’elemento dirompente del virus può financo produrre esternalità positive, come un aumentato senso di appartenenza alla comunità e attitudini più virtuose rispetto alla frenetica routine sociale moderna, portando per giunta a un eventuale ritorno, per i meno ilici quantomeno, a stati più riflessivi, spirituali o generalmente più contemplativi dell’esistenza. Aggiungo, e concludo, che qualora le crisi si facessero ben più gravi di quella attuale, come ad esempio in tempo di guerra, tali situazioni possono spingere le moltitudini a ritrovare financo antiche modalità dell’essere e principi che possono apparire oggi desueti, come quello del sacrificio, della disciplina o dello spirito di abnegazione. Naturalmente, l’auspicio è di non dover tuttavia saggiare in un futuro prossimo tali scenari e prospettive.
” ……Se mai, degno di nota è il fatto che in tali esercitazioni sarà coinvolta anche la Georgia: ciò indica, evidentemente, nonostante Trump, una rinnovata assertività nei confronti di Mosca….”
Dunque dobbiamo augurarci la vittoria di Trump alle prossime elezioni americane nel nome della pace mondiale? Questa “assertività” fa paura.
Come ben sappiamo noi italiani (a parte l’affaire Crimea ma gli scopi come si sa erano altri) con la Russia controparte e parte dell’Europa occorre dialogare, confrontarsi, cooperare. Lo sapeva bene il sen. Andreotti che ci regalò la pubblicazione dei suoi diari (“Visti da vicino”) concernenti i rapporti con la Russia: e all’epoca c’era la cortina di ferro e la Russia si chiamava URSS! Come lo sapeva l’avv. Agnelli che coraggiosamente andò a impiantare una fabbrica di automobili a Togliattigrad.
Sono d’accordo con il commento di Andrea Griseri. In materia, Dario Fabbri ha scritto, sull’ultimo numero di Limes: Noi europei e altre nazioni comprese nella sfera d’influenza americana siamo convinti che il vantaggio economico muova il mondo. E che così debba restare, ignari della strategia imperiale statunitense, orientata alla potenza e alla gloria.
Fabbri aggiunge che una tale concezione (il solo interesse economico guida le scelte dei governi) lungi dall’essere universale è propria soltanto di alcune nazioni ed è legata a una congiuntura antropologica assai peculiare. Alla base di ogni atto della politica americana, c’è la determinazione degli apparati (alla cui volontà si è piegato anche Trump) di limitare e possibilmente ridurre la potenza politica, militare, produttiva ed economica di Cina e Russia e di ogni altro possibile competitore. In questo quadro, entrano il potenziamento della presenza militare americana in Europa ed il richiamo a rafforzare la Nato rivolto ai paesi europei. A tale obiettivo (antirusso e anticinese). si accompagna anche quello di spegnere ogni, sia pur remota, velleità europea (e della Germania e della Francia in particolare) di conseguire una autonomia reale in ambito di politica estera e militare.