La polemica politica, almeno quella più sterile ed inconcludente, ha sospeso la sua incessante ed inutile attività quotidiana. Ma, ci vuol poco a capirlo, riprenderà in tutto il suo splendore – si fa per dire – appena l’emergenza sanitaria internazionale, e nazionale, si attenuerà.
Ora, l’unica riflessione che mi sento di avanzare in un momento così delicato e così drammatico per il nostro Paese, è quello di capire perché la strategia “dell’unità nazionale” non riesce più a far breccia nella cittadella politica italiana. Certo, il dibattito, cioè gli insulti, le demonizzazioni e gli attacchi personali sono stati momentaneamente sospesi. E non poteva essere altrimenti. Ma è solo un fuoco che arde sotto le ceneri. E questo per un semplice motivo. E cioè, quando la politica è vittima e schiava delle percentuali legate ai sondaggi quotidiani, le costanti di fondo non possono che essere quelle legate alle continue e reiterate provocazioni. Un esempio per tutti. Il comportamento politico del capo di Italia Viva, Matteo Renzi. Anche se non è il solo, come ovvio e scontato.
Ma, fatta questa riflessione persin oggettiva nonché purtroppo veritiera, resta aperta la vera domanda politica. E cioè, perché il sistema politico italiano non riesce più a declinare una vera “unità nazionale” neanche di fronte ad eventi così drammatici che scuotono le coscienze dei cittadini mettendo a rischio la stessa tenuta democratica per le comprensibili e più che giustificate preoccupazioni di tutti i cittadini italiani?
Le risposte, probabilmente, sono sostanzialmente due.
Innanzitutto perché la politica non è più popolata da statisti ma da pianificatori del consenso. Le stagioni politiche che hanno prodotto nelle diverse fasi storiche la strategia della cosiddetta “unita’ nazionale” nascevano da situazioni drammatiche che scuotevano l’opinione pubblica e che richiedevano una unità politica indispensabile per poter affrontare adeguatamente e con senso di responsabilità le emergenze che si presentavano all’attenzione dei governanti. Leader politici e statisti che sapevano anteporre sempre gli interessi generali ai calcoli politici del momento. Oggi, e da molto tempo purtroppo, così non è più.
In secondo luogo manca del tutto la capacità di interpretare la politica come ricostruzione del cosiddetto “bene comune” partendo anche dal pieno riconoscimento politico dell’avversario. Perché di questo si tratta. E cioè, l’obiettivo politico di fondo resta sempre quello di distruggere il nemico. Altroché il rispetto dell’avversario politico. Altroché continuare a demonizzare la prima repubblica come ci hanno predicato per anni i 5 stelle. È sufficiente ricordare il rispetto tra gli statisti della Democrazia cristiana e alcuni leader del Partito comunista italiano anche quando i contrasti politici erano forti e visibili e il dibattito politico era, a tratti, anche caratterizzato da toni aspri e senza colpi. Ma non era difficile, in momenti cruciali e delicati per la vita democratica del nostro paese, convergere attorno ad un minimo comun denominatore in grado di governare insieme l’emergenza senza mettere in difficoltà l’equilibrio democratico dell’intero paese.
Ecco perché, oggi, di fronte a questa inedita sfida, la politica nel suo complesso non può più permettersi di continuare ad abdicare al suo ruolo tradizionale e storico. Anche se mancano gli statisti e, soprattutto, la cultura e la tensione del “bene comune”. Ne va della nostra credibilità come sistema paese e anche della tranquillità e della sicurezza di tutti i cittadini.
Ora, l’unica riflessione che mi sento di avanzare in un momento così delicato e così drammatico per il nostro Paese, è quello di capire perché la strategia “dell’unità nazionale” non riesce più a far breccia nella cittadella politica italiana. Certo, il dibattito, cioè gli insulti, le demonizzazioni e gli attacchi personali sono stati momentaneamente sospesi. E non poteva essere altrimenti. Ma è solo un fuoco che arde sotto le ceneri. E questo per un semplice motivo. E cioè, quando la politica è vittima e schiava delle percentuali legate ai sondaggi quotidiani, le costanti di fondo non possono che essere quelle legate alle continue e reiterate provocazioni. Un esempio per tutti. Il comportamento politico del capo di Italia Viva, Matteo Renzi. Anche se non è il solo, come ovvio e scontato.
Ma, fatta questa riflessione persin oggettiva nonché purtroppo veritiera, resta aperta la vera domanda politica. E cioè, perché il sistema politico italiano non riesce più a declinare una vera “unità nazionale” neanche di fronte ad eventi così drammatici che scuotono le coscienze dei cittadini mettendo a rischio la stessa tenuta democratica per le comprensibili e più che giustificate preoccupazioni di tutti i cittadini italiani?
Le risposte, probabilmente, sono sostanzialmente due.
Innanzitutto perché la politica non è più popolata da statisti ma da pianificatori del consenso. Le stagioni politiche che hanno prodotto nelle diverse fasi storiche la strategia della cosiddetta “unita’ nazionale” nascevano da situazioni drammatiche che scuotevano l’opinione pubblica e che richiedevano una unità politica indispensabile per poter affrontare adeguatamente e con senso di responsabilità le emergenze che si presentavano all’attenzione dei governanti. Leader politici e statisti che sapevano anteporre sempre gli interessi generali ai calcoli politici del momento. Oggi, e da molto tempo purtroppo, così non è più.
In secondo luogo manca del tutto la capacità di interpretare la politica come ricostruzione del cosiddetto “bene comune” partendo anche dal pieno riconoscimento politico dell’avversario. Perché di questo si tratta. E cioè, l’obiettivo politico di fondo resta sempre quello di distruggere il nemico. Altroché il rispetto dell’avversario politico. Altroché continuare a demonizzare la prima repubblica come ci hanno predicato per anni i 5 stelle. È sufficiente ricordare il rispetto tra gli statisti della Democrazia cristiana e alcuni leader del Partito comunista italiano anche quando i contrasti politici erano forti e visibili e il dibattito politico era, a tratti, anche caratterizzato da toni aspri e senza colpi. Ma non era difficile, in momenti cruciali e delicati per la vita democratica del nostro paese, convergere attorno ad un minimo comun denominatore in grado di governare insieme l’emergenza senza mettere in difficoltà l’equilibrio democratico dell’intero paese.
Ecco perché, oggi, di fronte a questa inedita sfida, la politica nel suo complesso non può più permettersi di continuare ad abdicare al suo ruolo tradizionale e storico. Anche se mancano gli statisti e, soprattutto, la cultura e la tensione del “bene comune”. Ne va della nostra credibilità come sistema paese e anche della tranquillità e della sicurezza di tutti i cittadini.
Al mio paese si dice che “il pesce puzza dalla testa”. Il nostro capo dell’esecutivo ormai da troppo tempo “sbarrella” un giorno si e l’altro “pure”. Egli appare come una qualunque maestrina che bacchetta i propri alunni quando cerca di insegnar loro la “buona educazione”. Ma chi è costui che si permette cosi tanto? Egli non fa che fomentare i dissidi con aggettivi regalati a destra e a manca ai suoi avversari politici e non solo! quest’uomo, che non è stato eletto da nessuno è ora che si faccia da parte e vada ad occuparsi dei suoi affari che si prospettano forieri di lauti guadagni. In questo momento bisogna aggregare tutto l’arco costituzionale politico perché, oltre al problema virus, bisogna evitare il capitombolo dell’economia. Bisogna attuare una sana economia sociale ed economica egoistica e smetterla, almeno per un po’ di tempo, di assumere atteggiamenti di salvatori del mondo. La guida spirituale cattolica continui pure nella sua “mission” ma non deve assolutamente sostituirsi alla gestione interna economica e politica del nostro Paese. Credo di essere un qualunque peccatore ma penso di non aver fatto mai male a nessuno. Spero, quindi, di non essere lapidato per quello che penso!
Forse una “sana economia egoistica” non è pane nè per i popolari, nè per i cattolici. Dottrina della Chiesa insegna!
OMC
Caro amico Calliano credo di essere una persona normale che si sforza di comportarsi bene nei confronti di tutti ma non mi sembra che coloro che si dichiarano popolari debbano per forza aspirare alla santificazione.