Lo spettro di Sanders sulla politica italiana



Giuseppe Davicino    15 Febbraio 2020       1

Lo si sa da sempre che la politica, cucinata alla romana, tutto assimila e tutto attutisce.
Fu così negli anni Novanta con i “barbari” padani, presto ammansiti con colate di potere e di denaro di Stato. É stato così per il sindaco rottamatore di Firenze. In ancor meno tempo la stessa cosa è successa ai fautori delle piazze dei “vaffa”, nonché ai “duri e puri” degli opposti estremismi di destra e di sinistra. In tal modo la politica italica si è costruita, non senza il determinante concorso di fattori esteri, una bolla resiliente a ogni possibile disturbo proveniente dal Paese reale, con tanti saluti alla rappresentanza.


Ormai nel dibattito politico, come nelle narrazioni giornalistiche e “specialistiche” che vanno per la maggiore, si sono persi i rudimentali agganci con la realtà.


Siamo in piena recessione. Nel 2019 la produzione industriale è crollata del 4,3%. L’Italia non cresce dal 2007 e rispetto ad allora il PIL pro-capite è sceso dell’8%. Ma soprattutto stiamo attraversando una fase storica da brividi. Sia dal punto di vista militare che da quello economico e sociale. Nonostante i media non ne parlino, la tregua tra Siria e Turchia non sta tenendo e dall’inizio dell’anno sono ripresi violenti combattimenti per il controllo della provincia siriana nord-occidentale di Idlib che vede contrapporsi al secondo esercito NATO, quello di Ankara, le forze siriane, sostenute da quelle russe. Turchia e Russia già sono su fronti contrapposti in altri teatri di guerra (Libia, Ucraina) e basta un nulla perché la situazione possa degenerare in uno scontro aperto fra le due potenze regionali alle porte dell’Europa.


Altrettanto alto è l’allarme sul versante economico. Alle previsioni negative che si stanno realizzando e che hanno indotto tutti, tranne l’Unione Europea, da tempo a prendere contromisure di straordinaria portata, si stanno aggiungendo le imponderabili conseguenze sul commercio e sull’economia globale del nuovo coronavirus.


Dunque, in un siffatto contesto non si comprende come mai in Italia e in Europa, si continui a sprecare così tanto tempo, evitando di affrontare le enormi emergenze che avanzano. Regna un immobilismo che molto assomiglia alla quiete che c’è nell’occhio del ciclone.


L’Unione Europea lo scorso anno ha avuto una grande occasione, costituita dall’avvio della nuova legislatura e dal rinnovo delle sue principali istituzioni, per cambiare rotta. Ma nulla è stato fatto. L’austerità e la deflazione procedono esattamente come prima. In ciò purtroppo è doloroso dover constatare la disfatta della classe politica italiana nel suo insieme. È da almeno sette anni, dalle politiche del 2013, che l’elettorato manifesta una volatilità mossa dalla ricerca di un cambiamento, che si è riversata, a torto o a ragione, principalmente su M5S, Renzi e la Lega come pure nelle piazze delle Sardine. Ma la politica odierna anziché misurarsi con tali istanze mostra nei fatti una incrollabile fede nelle politiche ordoliberiste euro-tedesche, nonostante la loro validità sia stata smentita da ben un decennio di mancata crescita e di crisi. Un colpevole abbandono nelle mani dell’infido alleato tedesco, paragonabile solo a quello che ebbe Mussolini a suo tempo. E un disconoscimento nei fatti del cardine su cui si è costruita tutta la politica (e il grande benessere del Paese) della Prima Repubblica soprattutto per merito della Democrazia cristiana: il rapporto privilegiato, e riconoscente, con gli Stati Uniti, da cui il Paese ha tratto incommensurabili benefici, a differenza di quello con Berlino che ci ha dato declino e grande crisi economica e sociale, oltre alla manomissione del grande progetto europeista del padri fondatori, sostituito da un modello mercantilistico architettato in continuità con la tradizionale geopolitica tedesca.


Ma mentre l’Europa appare ferma e impreparata di fronte alla bufera globale, al di là dell’Atlantico uno spettro si aggira per l'America: lo spettro di Bernie Sanders. Il candidato democratico alle primarie, non sconfitto nel 2016 ma fatto fuori con i brogli alla convention dem, questa volta sembra essere in vantaggio per la conquista della nomination a sfidante di Trump. Sulla sua candidatura si sono ritrovati l’anima popolare dei democratici, i molti scontenti e indignati dall’aumento stratosferico delle disuguaglianze e i fautori di nuove politiche economiche capaci di aprire un ciclo espansivo negli Stati Uniti e nel mondo, con politiche monetarie calibrate sulle necessità dell’economia reale e sui bisogni delle persone, anziché sull’avidità senza limiti della finanza e sulla schiavitù del debito, alla quale è sottoposta l’Eurozona.


È certamente prematuro per capire come finirà. Ma una cosa appare certa sin d’ora. Qualora, smentendo ancora una volta le previsioni, l’attempato senatore del Vermont dovesse mai arrivare alla Casa Bianca, l’intera classe politica italiana, ma in particolare lo schieramento di centrosinistra, verrebbe messa in grande imbarazzo, poiché le politiche neokeynesiane del nuovo presidente non potrebbero che far risaltare quanto sono lontane dal buonsenso, dalla solidarietà, da un’idea di sviluppo equo e sostenibile, le politiche austeritarie, accettate e praticate acriticamente nell’ultimo decennio da tutte le forze politiche, vecchie e nuove, e che stanno impoverendo l’Italia e dissestando il percorso verso la completa integrazione europea.




1 Commento

  1. Temo che sia un po’ azzardato fare i LAUDATORES TEMPORIS ACTI al fine di dirigere la politica attuale lodando il Secondo dopoguerra quando, piaccia o non piaccia (al di là degli uomini al governo, che vanno e vengono) materialmente e, soprattutto spiritualmente nell’animus, l’ecumene non è più quella, gli USA non sono più quelli, l’Europa (in fieri) non è più quella, la Germania non è più quella e, infine, anche l’Italia non è più quella.
    Ho l’impressione che sia la storia a fare (la qualità de)gli uomini (che tengono la ribalta) e non viceversa.

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