L'economia globalizzata ha certamente fatto entrare nel circuito dello sviluppo nazioni che ne erano da sempre ai margini. La concorrenza internazionale di questi Paesi, come in un gigantesco gioco a somma zero, ha finito per penalizzare il mondo occidentale e in particolare l'Europa, che ha visto crescere precarietà e disuguaglianze. Come uscire da questa situazione che ha mandato in crisi il nostro modello sociale e da cui trae alimento un populismo illiberale che sta mettendo a rischio persino il processo di costruzione europea?
Non è facile rispondere a questo interrogativo, anche perché molte delle ricette del passato, ultima delle quali l'incontro tra liberalismo e laburismo (il famoso lib-lab, di moda un decennio fa), si sono rivelate inadeguate. Forse la strada da seguire non è solo quella di puntare su uguaglianza e libertà, ma anche di restituire nuova linfa alla solidarietà, come momento di incontro tra le persone nel soddisfacimento dei bisogni collettivi.
In quest'ottica solidaristica trova sicuramente spazio la proposta del popolarismo, alla cui base sta proprio la centralità della persona che si esprime anche nelle comunità intermedie (famiglia, luogo di lavoro, ecc...) dove essa si trova a vivere insieme agli altri.
Popolarismo come barriera al populismo? Forse questa è la strada, e di questo si è discusso nel recente convegno tenutosi al Sermig, promosso da Stefano Lepri parlamentare PD e autore di un saggio, Riformismo comuntario (Effatà editrice), dove vengono svolte ampie riflessioni su questo tema. All'incontro (cui hanno partecipato padre Occhetta e Pierluigi Castagnetti, l'economista Leonardo Becchetti e diversi esponenti democratici: il capogruppo alla Camera, Graziano Delrio e gli ex ministri Andrea Orlando e Maurizio Martina) è emersa pur con sfumature diverse, l'idea che sia sia giunto il momento di costruire, proprio partendo dai valori del popolarismo, un riformismo di comunità che nasca dal basso, valorizzando la famiglia e i corpi intermedi.
Qualcosa in piena antitesi non soltanto al populismo, con la sua falsa esaltazione del popolo contro le élite, ma anche, se non soprattutto, rispetto al liberismo di questi anni, con il suo disperato individualismo consumistico. Punti fondanti di un riformismo comunitario: una maggior tutela della famiglia, per favorire la natalità con opportuni strumenti fiscali; un'autentica valorizzazione del lavoro, attraverso forme partecipative e di cogestione; la promozione di un'economia civile, non solo improntata al mero profitto, nel segno di uno sviluppo sostenibile.
Più in generale questo significa anche un diverso rapporto tra i cittadini e le istituzioni, favorendo la partecipazione e, per quanto possibile, l'autogoverno. Un recupero dell'identità nel segno dell'inclusione e non della chiusura. Il superamento di una logica mercantile, intrisa di utilitarismo, che troppo spesso confina con quella cultura dello scarto evocata da papa Francesco, la realizzazione di un riformismo capace finalmente di far stare bene insieme le persone.
Ogni forma di comunitarismo è inaccettabile per la cultura liberale oggi imperante in tutto l’Occidente. In particolare lo è un comunitarismo che miri a creare comunità sorrette da legami solidaristici a corto raggio, in grado di far fronte ad esigenze vitali non più soddisfatte dalle politiche statali di welfare, sempre più costose e sovente gestite burocraticamente, senza anima. Ogni forma di comunitarismo, ci dicono i liberali, è un pericolo per l’intolleranza e l’egoismo che ad esso sarebbero connaturati, e perché la comunità soffoca la libertà individuale (il noi comprime l’io) e nel contempo ci contrappone agli “altri”. Marco Revelli (in “Poveri noi”) include in questa concezione, ritenuta “reazionaria”, l’esaltazione del principio di sussidiarietà e le politiche compassionevoli intessute di personalismo messe in campo da parte di un certo mondo cattolico, per il quale i diritti sociali vengono retrocessi a funzioni morali. Revelli (in sintonia con il pensiero liberal) contrappone alle risposte selettive e personalizzate, proprie del comunitarismo. i diritti, che sono universali, frutto di conquiste. La denuncia nei confronti del comunitarismo giunge a coinvolgere la stessa famiglia, che certamente rappresenta la comunità di base (alla famiglia si appartiene per nascita; in essa, l’aiuto reciproco si genera spontaneamente per i legami affettivi senza necessità di mettere in campo diritti e doveri). La famiglia, viene detto, soffoca la libertà di chi ne fa parte.
Quindi attenzione! Chi si inoltra sul terreno del comunitarismo finisce per essere associato al populismo, quando non rischia di essere accusato di razzismo o di fascismo mascherato, da parte del “politicamente corretto”, lo strumento con cui l’élite globalista promuove la caccia alle streghe nei confronti di chi propone modelli alternativi a quello dominante o semplicemente minaccia di scalfire il monopolio culturale-mediatico su cui si fonda la sua attuale egemonia.