Hammamet è un film difficile, nel corso del quale Gianni Amelio – in una foresta di simboli e citazioni – chiede molto, forse troppo, sia allo spettatore sia all’onestà interpretativa di chi della storia di Craxi e del nostro paese spettatore non è stato.
Storia terminale, del disfacimento fisico d’un leader – un Favino stratosferico, che regge quasi da solo l’intero film – ormai lontano dal potere d’un tempo, i cui relitti gli galleggiano intorno come dopo un naufragio. Quelli d’un partito, il Psi finito nella polvere insieme a lui, impersonato dal vecchio militante (lombardiano?) Giuseppe Cederna, ombra che lo segue per tutto il film.
Della DC, tutta sintetizzata nel ricordo di De Mita (“l’irpino”) e nell’incontro con un notabile di andreottiano umorismo e cinismo, a cui Craxi dà l’addio con le stesse parole di Aldo Moro nell’ultima lettera alla moglie.
E ancora, il Craxi della notte di Sigonella, finita tra i giochi del nipote, e quello delle sue mantenute. E ovviamente quello dello scontro frontale con la magistratura (palese la citazione che l’ex Ghino di Tacco fa di Borrelli) e inseguito anche in Tunisia dalle monetine del Raphael.
Un uomo a cui, nel film, si finisce addirittura per guardare con simpatia. Ma un uomo a cui, nella realtà – ed eccoci in un secondo ambito, quello del dibattito che il film sta suscitando – si può anche guardare con pietas, a patto di non scambiare la pietas con l’oblio che tutto pareggia.
In un paese come il nostro, incapace di fare i conti con memorie molto più vecchie, non stupisce di assistere a damnatio memoriae che diventano riabilitazioni, come Amelio sintetizza facendo riportare a Craxi-Favino un suo sogno simbolico.
Non stupisce leggere pezzi senza vergogna da parte di ex nemici e pezzi senza vergogna da parte di ex delfini, pari solo nella loro capacità di strumentalizzare il tema, o di ridurlo alla sola questione giudiziaria.
Sì, Craxi è stato anche questo (e lo dico con cognizione di causa: conosco piccoli imprenditori che il venerdì rifiutarono ai socialisti la partecipazione alle proprie imprese e il lunedì si ritrovarono i crediti bancari chiusi) ma non è stato solo questo.
Oppure, se siamo già più vicini al passaggio dalle “memorie” alla “storia”, è stato entrambe le cose, e la sfida per chiunque è riuscire a tenerle insieme.
A tenere insieme, ad esempio, ottimi volumi come quelli di Marco Gervasoni (Gli anni Ottanta. Quando eravamo moderni), e di Paolo Morando (‘80. L’inizio della barbarie), perché la complessità della realtà non tollera manicheismi. D’altronde, volumi come quelli di Luigi Musella del 2007 (Craxi) o più recentemente di Fabio Martini (Controvento. La vera storia di Bettino Craxi) ne sono stati capaci. Dicendo che non c’è che la pacatezza della riflessione per sottrarre la storia a ogni distorsione messa in atto dai rancori, comprensibili o no, che essa stessa ha lasciato sul suo cammino.
Per l’appunto, ciò che il Bettino Craxi che Amelio tenta di mettere in scena non fu capace di fare.
Avendo vissuto quegli anni (e quelli dei due decenni precedenti) interessandomi della vita politica, ne conservo memoria. Di una cosa ho certezza: nessuno dei partiti politici in campo (al governo dello Stato, delle Regioni e dei Comuni) si è sottratto alla prassi dei finanziamenti illeciti. Inoltre, ci sono stati quanti ricevevano finanziamenti (illeciti) dall’estero, da Mosca in particolare, ma non solo. Alcuni, di varie parti politiche (ma non Craxi), non si sono limitati a finanziare il partito o sue correnti, ma si sono arricchiti personalmente. Resta pertanto aperto l’interrogativo, perché “mani pulite” ha infierito su di lui (sui socialisti e parte della DC) e chiuso entrambi gli occhi sugli altri?
La mia risposta non è quella di Berlusconi: i magistrati di mani pulite erano comunisti. Ritengo invece che molti (anche nella magistratura) abbiano visto nel progetto craxiano di riforma delle istituzioni una minaccia al proprio potere. Ricordo (lo scrive anche Giuseppe Ayala in “Chi ha paura muore ogni giorno”) che Giovanni Falcone (il quale auspicava una profonda riforma della giustizia) venne accusato di essersi venduto ai socialisti da quegli stessi (politici, magistrati, giornalisti) che demonizzavano Craxi.
C’è poi l’uomo politico ed il suo progetto sui quali sarebbe opportuno un dibattito scevro di rancori, ma forse è meglio lasciare questo compito agli storici.
Ho conosciuto molti personaggi di quel partito e posso affermare che questo signore ha fatto tanto male al nostro Paese ed alla morale dei nostri rappresentanti politici. Alcuni di essi all’epoca difendevano strenuamente la condotta del loro segretario affermando che i politici sono eletti dal popolo per rappresentare nelle istituzioni le loro necessità e aspettative. Per raggiungere questi obiettivi i politici devono svolgere un compito considerevole per raggiungere i desiderata dei loro elettori in forte concorrenza con le aspettative portate aventi dagli altri politici. Se gli obiettivi sono raggiunti il politico ha diritto ad un compenso separato che i magistrati, secondo loro, chiamano impropriamente “tangente”. Io, incredulo, ora debbo assistere alla santificazione di questo politico morto latitante. Non si finisce mai di stupirsi!
Sul recente “revival” relativo alla figura di Craxi, per ora, mi limiterei a tre riflessioni:
a) Il film Hammamet non è rivolto alla esaltazione di un uomo politico, ma al delineare la fase finale di un uomo che ha amato, forse ” ingordamente” il potere, ne è stato travolto e riflette sulla sua decadenza fisica, affettiva e psicologica. Varrebbe per molti altri politici che, narcisisti, vedono sfumare il piedestallo su cui avevano costruito la loro falsa autostima. Ricorda il saggio “Il volto demoniaco del potere” a cui ci abbeveravamo da giovani, per difenderci da quel contagio.
b) Sul piano artistico bravissimo Favino a delineare l’ aspetto fisio-psicologico, i tic, le incazzature del vecchio leone in gabbia.
c) Sul piano politico occorrerebbe fare un dibattito tra chi ha conosciuto e frequentato e chi esprime giudizi forse pre-concetti. In particolare tra i suoi allora avversari ed attuali lusingatori dell’elettorato socialista che, deluso, spesso ha allargato la massa degli astenuti, non sentendosi rappresentato nè dai presunti eredi (molti berlusconiani), nè dai presunti traghettatori (asinelli ecc.)
c) Sul piano di parte (partitico) comprendo, ma non condivido lo sdegno morale. Sono stato educato, alla Max Weber a distinguere tra etica delle intenzioni ed etica delle responsabilità. Chi fa politica, in particolare un leader, valuta e deve essere valutato per la visione strategica volta al bene comune e l’efficacia delle sue azioni. E’ su quel piano che dovrebbe essere giudicato un leader: sul progetto di modernizzare il sistema politico italiano, sulla rivalutazione del merito, sulla riforma concordataria propugnata da un cattolico come Acquaviva. Ha fallito o era troppo avanti nella sua visione ed è stato stoppato da chi lo vedeva come un ostacolo ad altri interessi geopolitici interni ed internazionali? Sarebbe bene che i popolari aprissero un serio dibattito sul punto se vogliono cambiare linguaggio, innovare e aprirsi anche al mondo laico, e giovanile, che non ricorda nè valuta così le passate esperienze.