L’Italia è un Paese in perenne campagna elettorale. Viene da pensare che sia l’unica cosa che questa classe politica sa fare. In campagna elettorale si può dire di tutto e di più. Soprattutto nascondere la verità sui problemi reali, nonostante l’inondazione di parole e slogan.
I leader politici sono più impegnati a fare campagna elettorale che a quello che succede in Parlamento dove, francamente, succede ben poco e sta sempre più perdendo le sue funzioni principali. È stato eletto meno di due anni fa, qualcuno voleva tornare al voto qualche settimana dopo, da sei mesi a questa parte si invoca quotidianamente lo scioglimento.
Ogni test elettorale diventa un referendum pro o contro il governo. Ieri l’Umbria, tra pochi giorni l’Emilia Romagna e la Calabria, tra qualche mese altre regioni e comuni. Più il numero dei votanti è grande, più il test può dare indicazioni su scala nazionale, tuttavia non ho mai accettato l’idea che un cittadino vada a votare per il proprio comune o per la Regione pensando a Palazzo Chigi. Invece schiere di politici, in primis i vertici nazionali dei partiti, vanno città per città, piazza per piazza, attraverso i social addirittura persona per persona, per chiedere un voto per se stessi, non nell’interesse specifico di quella comunità.
Il voto è diventato un rito del fare politica, non più lo strumento per scegliere i governanti. E in questo stato perenne di campagna elettorale si spendono enormi risorse: le campagne elettorali costano, in modo particolare quando sono portate avanti, come si suol dire, in grande stile. Nessuno si domanda chi le paga. Intanto qualcuno paga, domani quel qualcuno chiederà conto degli “investimenti” fatti in campagna elettorale. In Italia si vota tanto, anche troppo e più si vota più aumenta la disaffezione della gente. I cosiddetti tagli alla politica dovrebbero partire da qui per ridare trasparenza alla competizione elettorale e ridare credibilità alla politica stessa e alle sue istituzioni.
Mentre vengono dilapidate ingenti risorse economiche per le campagne elettorali, l’Eurostat ci ricorda che il divario tra ricchi e poveri è aumentato di sei volte. L’Italia, con un valore 6,09, unico Paese in aumento rispetto a 12 mesi fa, ha il rapporto peggiore tra i paesi più popolosi con la Germania a 5,07, Francia a 4,23, Regno Unito a 5,95 e Spagna a 6,03 in deciso calo sull’anno precedente.
È evidente che l’Italia ha un problema di giustizia sociale. Questi dati sono stati diffusi nei giorni scorsi, ma sono stati completamente ignorati dalle forze politiche. Perché le forze politiche sono impegnate in campagna elettorale dove non si parla della realtà. La realtà è trasfigurata a proprio uso e consumo. La realtà diventa qualcosa di virtuale perché il leader dà l’illusione di dialogare via social con il proprio sostenitore, in realtà sta solo alimentando un stato di febbrile eccitazione per tenere unito un consenso sempre più liquido.
Un consenso costruito attorno a uno stato emozionale non su valori, progetti e programmi. La gente vota e non capisce che cosa vota. Inevitabile l’aumento della disaffezione. Spiegare perché aumenta il divario tra ricchi e poveri non è difficile, ma non si può ridurlo a uno slogan. Proporre qualche iniziativa per ridurre questo divario non è impossibile, ma probabilmente non scalda gli animi dei fan in Fb.
Un partito cristianamente ispirato ha senso se ha il coraggio di affrontare i problemi reali della gente, senza farsi prendere dalla “sondaggite”. Ma per affrontare seriamente i problemi della comunità serve una classe politica che non perda tempo a fare filmini da lanciare sui social. Serve una classe politica che lavori nelle istituzioni con impegno e professionalità. Ma questa classe politica si forma solo attraverso un sistema elettorale dove il cittadino può effettivamente scegliere: sa chi sceglie e gli chiede conto del suo operato. Solo così il Parlamento non sarà più lo zerbino del governo ma il suo controllore.
(Tratto da www.politicainsieme.com)
I leader politici sono più impegnati a fare campagna elettorale che a quello che succede in Parlamento dove, francamente, succede ben poco e sta sempre più perdendo le sue funzioni principali. È stato eletto meno di due anni fa, qualcuno voleva tornare al voto qualche settimana dopo, da sei mesi a questa parte si invoca quotidianamente lo scioglimento.
Ogni test elettorale diventa un referendum pro o contro il governo. Ieri l’Umbria, tra pochi giorni l’Emilia Romagna e la Calabria, tra qualche mese altre regioni e comuni. Più il numero dei votanti è grande, più il test può dare indicazioni su scala nazionale, tuttavia non ho mai accettato l’idea che un cittadino vada a votare per il proprio comune o per la Regione pensando a Palazzo Chigi. Invece schiere di politici, in primis i vertici nazionali dei partiti, vanno città per città, piazza per piazza, attraverso i social addirittura persona per persona, per chiedere un voto per se stessi, non nell’interesse specifico di quella comunità.
Il voto è diventato un rito del fare politica, non più lo strumento per scegliere i governanti. E in questo stato perenne di campagna elettorale si spendono enormi risorse: le campagne elettorali costano, in modo particolare quando sono portate avanti, come si suol dire, in grande stile. Nessuno si domanda chi le paga. Intanto qualcuno paga, domani quel qualcuno chiederà conto degli “investimenti” fatti in campagna elettorale. In Italia si vota tanto, anche troppo e più si vota più aumenta la disaffezione della gente. I cosiddetti tagli alla politica dovrebbero partire da qui per ridare trasparenza alla competizione elettorale e ridare credibilità alla politica stessa e alle sue istituzioni.
Mentre vengono dilapidate ingenti risorse economiche per le campagne elettorali, l’Eurostat ci ricorda che il divario tra ricchi e poveri è aumentato di sei volte. L’Italia, con un valore 6,09, unico Paese in aumento rispetto a 12 mesi fa, ha il rapporto peggiore tra i paesi più popolosi con la Germania a 5,07, Francia a 4,23, Regno Unito a 5,95 e Spagna a 6,03 in deciso calo sull’anno precedente.
È evidente che l’Italia ha un problema di giustizia sociale. Questi dati sono stati diffusi nei giorni scorsi, ma sono stati completamente ignorati dalle forze politiche. Perché le forze politiche sono impegnate in campagna elettorale dove non si parla della realtà. La realtà è trasfigurata a proprio uso e consumo. La realtà diventa qualcosa di virtuale perché il leader dà l’illusione di dialogare via social con il proprio sostenitore, in realtà sta solo alimentando un stato di febbrile eccitazione per tenere unito un consenso sempre più liquido.
Un consenso costruito attorno a uno stato emozionale non su valori, progetti e programmi. La gente vota e non capisce che cosa vota. Inevitabile l’aumento della disaffezione. Spiegare perché aumenta il divario tra ricchi e poveri non è difficile, ma non si può ridurlo a uno slogan. Proporre qualche iniziativa per ridurre questo divario non è impossibile, ma probabilmente non scalda gli animi dei fan in Fb.
Un partito cristianamente ispirato ha senso se ha il coraggio di affrontare i problemi reali della gente, senza farsi prendere dalla “sondaggite”. Ma per affrontare seriamente i problemi della comunità serve una classe politica che non perda tempo a fare filmini da lanciare sui social. Serve una classe politica che lavori nelle istituzioni con impegno e professionalità. Ma questa classe politica si forma solo attraverso un sistema elettorale dove il cittadino può effettivamente scegliere: sa chi sceglie e gli chiede conto del suo operato. Solo così il Parlamento non sarà più lo zerbino del governo ma il suo controllore.
(Tratto da www.politicainsieme.com)
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