Il potere di scelta e tre sagge tasse



Leonardo Becchetti    7 Gennaio 2020       1

Gli anni del nuovo millennio se ne vanno lasciandoci un’eredità pesante: diseguaglianze interne ai Paesi che crescono, con il declino dei ceti medi e delle classi più deboli, impoverimento del senso del vivere e fatica di ancora tanti a capire e accettare la sfida dell’emergenza climatica.

In Italia come altrove il disagio sociale ha prodotto la nascita di due grandi fazioni che, come i capponi di Renzo nei “Promessi Sposi”, sprecano gran parte delle loro energie nel beccarsi tra di loro mentre mani forti li conducono verso un triste destino. Sarebbe importante invece riconoscere con lucidità la matrice dei problemi e lavorare nella stessa direzione, seppur nelle diverse sfumature dialettiche e di prospettiva, per la soluzione del problema.

La causa dei problemi che viviamo è chiarissima ed è la race-to-thebottom (la corsa al ribasso) delle grandi imprese che nella concorrenza del mercato globale si sfidano sui prezzi andando a cercare luoghi dove produrre costa meno (perché si pagano meno tasse, si paga meno il lavoro e le normative ambientali sono meno severe).

Questi meccanismi mettono lavoratori a bassa e media qualifica in concorrenza tra loro, impediscono ai salari di crescere con la produttività, generando anzi pressioni ribassiste fino a quando l’immenso bacino dell’esercito di riserva del lavoro a basso costo (ci sono nel mondo 4 miliardi e mezzo di persone che vivono con meno di 5 dollari al giorno) non sarà prosciugato.

Puntare alla qualità, all’innovazione, alla formazione, aggredire i nostri ritardi strutturali (burocrazia, tempi della giustizia, infrastrutture) è fondamentale e doveroso, ma non estinguerà d’incanto e immediatamente i problemi della maggioranza del Paese e soprattutto quelli dei ceti più deboli e dei lavoratori meno qualificati.

Trovare capri espiatori come lo “straniero” o l’Europa può generare qualche beneficio elettorale di breve periodo, ma è ancora più deleterio.

La moneta sovrana non ha risolto questo problema in nessun Paese del mondo, tant’è vero che negli Stati Uniti — la nazione con maggiori poteri e libertà macroeconomiche e valutarie — la crisi dei ceti deboli è gravissima e ha assunto i contorni drammatici dell’epidemia di morti per disperazione che ha ridotto l’aspettativa media di vita dei bianchi non ispanici.

Ci sono due sole ricette (una dal basso e una dall’alto) che devono combinarsi per risolvere il problema. La prima dal basso consiste nel prendere il toro per le corna. Se il centro del sistema economico sono i consumi, se tutto il modello è fondato sull’idolatria del consumatore, è proprio usando le scelte di consumo come “voto col portafoglio” che possiamo cambiare il mercato. Per farlo ci vuole consapevolezza, informazione e coordinamento delle scelte.

La finanza e i fondi d’investimento stanno procedendo speditamente, ma i consumatori (che fanno più fatica a essere consapevoli, informati e a coordinarsi) devono rapidamente imparare ad organizzarsi per promuovere il loro interesse (un lavoro degno, la sostenibilità ambientale, la salute e la ricchezza di senso del vivere) facendo vincere le aziende più brave a coniugare creazione di valore economico e sostenibilità. Sistemi di autovalutazione partecipata, piattaforme digitali etiche, esercizi di coordinamento come i cash mob e sistemi d’informazione più capillare sono tutti strumenti che possono aiutare questo percorso.

La seconda ricetta è quella di Stati, o meglio unioni di Stati come la UE, che con una Web Tax, una Border Carbon Tax e una Dignity of Labour Tax alzano una barriera fiscale davanti a merci in arrivo alle proprie frontiere che usano l’arma del dumping sociale, fiscale e ambientale (prezzi più bassi per sfruttamento del lavoro, dell’ambiente e elusione /evasione fiscale) per fare la concorrenza ai prodotti nazionali. Non si tratta di “dazi” che sono una misura verso tutte le merci di un Paese estero (quindi un atto di ostilità verso quel Paese), ma di misure a difesa della dignità del lavoro, della tutela dell’ambiente e delle entrate fiscali necessarie per finanziare il Welfare in tutti i Paesi del mondo. Un prodotto “cinese” o di qualunque altro Paese che dà dignità al lavoro in loco passa la frontiera senza alcuna tassa addizionale. Le tre tasse sono lo strumento necessario per “umanizzare” la globalizzazione e vanno intese come un punto di partenza e non un punto d’arrivo. Aprono a livello internazionale un negoziato tra UE e Paesi terzi perla definizione di standard ambientali e di

lavoro compatibili con le caratteristiche di ciascun Paese per evitare che dietro ognuna di queste tasse ci sia un dotto mascherato.

Inutile dire che per mettere in campo queste ricette fare la battaglia all’Europa non aiuta, ma piuttosto allontanala soluzione perché l’Unione Europea ha molte più chance di un singolo Stato nazionale di affermare e far vincere una strategia a difesa di dignità del lavoro nelle trattative con gli altri giganti del pianeta.

Nell’articolo del primo dell’anno l’amico e collega “economista civile” Luigino Bruni ha ripreso un bellissimo verso del profeta Gioele nel quale si afferma che i giovani faranno profezie se gli anziani faranno sogni. I sogni devono avere basi solide e un’analisi lucida dei fatti se vogliono avere gambe e speranza e dare ali alle energie dei giovani che stanno scendendo in piazza per difendere il loro futuro.

L’Italia ha la forza culturale, il peso specifico per ispirare una staffetta tra nuove e vecchie generazioni, e persino una convergenza tra forze di governo e di opposizione per avviare un processo di rivoluzione e di cambiamento. Un nuovo anno è iniziato, è ora di partire.

(Tratto da www.avvenire.it)


1 Commento

  1. Considerazioni in gran parte condivisibili, eccetto che il continuare a sostenere che puntare sulla qualità, sull’innovazione, sulla formazione ecc. sarebbe cosa buona, ma richiederebbe molto tempo per essere efficace, per cui si continua a metterla da parte, seguendo il pensiero di gran parte dell’imprenditoria italiana, che è evidenziato dal fatto che gran parte di quest’ultima insiste, ormai da molto, troppo tempo, sulla flessibilità del mercato del lavoro, sullo sviluppo dei posti di lavoro a tempo determinato, che è conferma dello scarso interesse nei confronti dell’investimento in capitale umano (non si fa formazione on the job se i contratti hanno durate di pochi mesi!).
    Occorre un ribaltamento di natura culturale: se al centro dell’attività economica c’è la persona, occorre puntare sulla qualità del lavoro, che di per sé porta all’elevazione della qualità del prodotto e che, attraverso i risultati della ricerca che porta alle innovazioni produttive, eleva anche la qualità del capitale. La qualità del lavoro al centro, quindi!
    Alzare barriere di vario tipo, che convergono nel mantenere il grado di competitività in termini di prezzo, lasciando da parte le azioni volte a migliorare la terna educazione/istruzione/formazione, non crea un ambiente in cui la creatività insita nella qualità del lavoro porta allo sviluppo della dignità delle persone coinvolte nell’attività produttiva, e non solo di queste.

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