Per quanto riguarda i cattolici democratici italiani, il 2019 è stato segnato dal lancio del Manifesto con la proposta di un impegno per la nascita di un “nuovo” soggetto politico d’ispirazione cristiana e popolare al fine di contribuire a una radicale trasformazione dell’Italia.
Il grande interesse suscitato e l’allargamento del numero di personalità e di gruppi intenzionati a far parte del progetto costituiscono un ulteriore stimolo per proseguire lungo il percorso delineato in occasione dell’incontro di Roma dello scorso 30 novembre, concluso con la decisione di presentare un documento politico programmatico, organizzare circoli regionali in cui saranno coinvolti tutti i gruppi, le associazioni e i singoli che hanno aderito al Manifesto e prevedere un’Assemblea costituente da tenere nel corso del 2020.
Il 2019 si era aperto con le celebrazioni del centenario sturziano dell’Appello “ai liberi e forti”. Due elementi hanno caratterizzato le dichiarazioni di quanti hanno partecipato alla ricorrenza. Tra di loro, certuni sono caduti in una evidente contraddizione, sia pure inconsapevole.
Da un lato, infatti, abbiamo ascoltato l’esaltazione di don Luigi Sturzo meritevole di avere, attraverso la costituzione del Partito popolare italiano, segnato una pagina originale e moderna nella partecipazione dei cattolici italiani alla cosa pubblica. Dall’altro, il coincidente convincimento da parte di alcuni che non si possa oggi, secondo altri neppure si debba, pensare a dare vita ad una forma organizzata sotto forma di un vero e proprio partito.
È evidente che l’attaccarsi a termini forzatamente d’uso comune possano rischiare di trascinare la discussione in un campo astratto e del tutto avulso da quel complesso di fenomeni della vita reale che giustificano e spiegano una scelta politica. In questo caso, è la stessa definizione di partito a richiede una riflessione in più. Proprio nel momento in cui questa particolare forma di partecipazione collettiva alla cosa pubblica mostra una profonda crisi e, non a caso, si assiste alla nascita di movimenti o di altre espressioni spontanee di aggregazione. Un fenomeno mondiale non ancora completamente definito e compreso e che un po’ dappertutto emerge anche attraverso forme di decisa contestazione.
Il punto di fondo resta, in ogni caso, non quello del contenitore, bensì quello della sostanza. Se nel dire ciò ci si riferisce al coinvolgimento nella dialettica politica, la partecipazione alla vita delle istituzioni e, più in generale, alla cosa pubblica.
L’anniversario sturziano ha coinciso con la generale constatazione su come la complessiva presenza dei cittadini italiani di formazione cattolica sia finita nell’irrilevanza e nell’indifferenza a seguito della “diaspora” degli ultimi 25 anni. Le risposte sono state e restano di vario genere.
Del resto, anche noi firmatari del Manifesto, siamo consapevoli che i cattolici non hanno mai votato allo stesso modo e sono sempre stati presenti in formazioni politiche diverse, persino ferocemente avversarie. Questo spiega anche perché è davvero irrealistico, oltre che concettualmente sbagliato e storicamente ingiustificato, parlare di partito “cattolico” o pensare ad un’organizzazione politica che raccolga tutti i cristiani sulla base della sola constatazione del fatto che vi è una fede in comune. In comune devono esserci un pensiero politico, scelte politiche ben precise, una proposta programmatica e progettuale da portare all’attenzione di tutti i i cittadini.
A questo punto, però, è necessaria una premessa d’ordine generale.
In particolare in Europa, il pensiero sociale della Chiesa, patrimonio esclusivo dei cattolici, sin dalla promulgazione della Rerum Novarum del 1891, ha significato la responsabilizzazione pubblica del cristiano sulla base di una specificità collegata e sollecitata dalla concreta evoluzione dei Paesi in cui hanno preso corpo formazioni politiche popolari o dc.
Un elemento tanto forte al punto che in molte nazioni a noi vicine, ma anche nel Centro e nel Sud delle Americhe, vi sono forti partiti che si dicono ispirati cristianamente senza che nessuno abbia da ridire. Vi sarà un motivo?
Ve ne sono, in realtà, più d’uno di motivi: culturali, economici, storici e politici. Si collegano tutti alle caratteristiche proprie di popoli e Paesi e a quella dialettica, giunta anche a sfociare in scontri veri e propri, economica, sociale e civile che li ha caratterizzati per oltre un secolo e mezzo.
Il capitalismo e i suoi oppositori, ma soprattutto la situazione effettiva di molte realtà del Vecchio e del Nuovo continente rendevano, e rendono, necessaria una presenza in grado di assicurare metodi e contenuti peculiari e distinti da quanto rappresentato dalle altre grandi linee di pensiero e di azione politica dell’Occidente, in particolare quelle del liberalismo e del socialismo.
La questione, ancora oggi, sta tutta qua.
Sono cambiate le condizioni al punto da far ritenere che una presenza organizzata dei cattolici democratici e dei popolari non sia più da ritenersi necessaria? Altre correnti di pensiero e alternative proposte politiche rispondono adeguatamente alla ricerca di quei concetti di solidarietà, sussidiarietà, difesa della dignità umana e agognano alla giustizia sociale così come indicato dai movimenti popolari e dei cristiano democratici?
I sottoscrittori del Manifesto pensano di no. Le stesse vicende degli ultimi 25 anni e le condizioni dell’Italia di oggi dimostrano quanto ancora sia invece indispensabile un coinvolgimento significativo di quella parte della società che ancora crede nella possibilità e nella necessità di spendersi per il bene comune con generosità, altruismo e nella piena consapevolezza che al “dono” ricevuto con la vita si risponda almeno in parte con una dedizione disinteressata alla cosa pubblica.
Questo è il messaggio universale del pensiero sociale della Chiesa. Esso non parte dal mondo cattolico e in esso vi resta confinato. In realtà, si dilata e si amplifica fino ad interessare l’interezza delle comunità in cui si organizzano tutti gli esseri umani. Ciò significa riconoscere l’esistenza di una particolarità da portare nella dialettica politico parlamentare fino ad accettare, se necessario, che essa possa sfociare in una battaglia, anche in uno scontro, per il sostegno di tutti quei progetti che sono indirizzati verso il “bene comune”.
Qui sta molta della differenza che quelli del Manifesto intendono segnare rispetto ai numerosi soggetti che pure si sono finora mossi in politica sulla base di un’ispirazione cristiana, ma poi finiti per perdere ogni capacità d’incidere, fossero essi schierati nel centrodestra o nel centrosinistra.
Noi, allora, crediamo in una piena assunzione di responsabilità sulla base di una scelta di autonomia e di libertà. La forza viene da un riferimento fermo e coerente alla Costituzione e alla Dottrina sociale della Chiesa cui guardiamo nella sua complessità e interezza. In questo senso, pensiamo di rappresentare il superamento tra i cosiddetti cattolici della morale e quelli del sociale i quali, però, molte volte, in questa divisione hanno pure corso il rischio di adagiarvisi per evitare di troppo approfondire i distinguo che sarebbe stato invece necessario precisare all’interno dell’altrui campo in cui erano finiti per ritrovarsi in forma subalterna e sempre più marginale.
Per fare ciò, noi accettiamo fino in fondo le regole della politica. Tra di esse primeggia l’organizzazione di un pensiero e di un movimento cui partecipano quanti vivono le stesse sensibilità, le stesse prospettive e finalità.
Intendiamo farlo da soli? Ci rivolgiamo solo ai cattolici? Certamente no. Non siamo interessati ad un progetto di nicchia, autoreferenziale o addirittura segnato da un’impronta integralista o clericale. Accettare l’idea di ritrovarsi minoritari, per una fase più o meno lunga, non significa rinunciare a una vocazione nazionale e a partecipare a un disegno più ampiamente popolare e di massa.
Il paradosso del dibattito avviato in occasione del centenario sturziano è stato anche che, a partire da quelle intervenute ripetutamente su “Il Corriere della Sera”, sono state soprattutto autorevoli voci del mondo laico a insistere perché la realtà rappresentata dai cattolici italiani si decida a riproporre una propria presenza. Vuoi per una questione di metodo, quello fatto di inclusione, capacità d’ascolto e di mediazione. Vuoi per i contenuti insiti in una tradizione di un importante pensiero politico scomparso dalla scena parlamentare che, però, tanto ha contribuito a ricostruire e a sviluppare l’Italia.
Contenuti come quelli che si rifanno a una vocazione alla Pace senza che essa significhi pacifismo di maniera; all’interclassismo e alla collaborazione tra le diverse componenti della realtà economica e del mondo del lavoro; alla libertà d’impresa e d’educazione; alla difesa della vita, della persona e dei nuclei naturali d’aggregazione, a partire dalla famiglia; alla valorizzazione delle Autonomie locali; alla ricomposizione sociale che non può non partire dal ridare un senso alla Scuola e alla formazione dei nostri giovani.
Le sollecitazioni provenienti dal mondo laico e quelle sempre più diffuse all’interno di quello cattolico, portano a chiedersi se non sia più ampia di quanto si pensi la consapevolezza che l’irrilevanza e l’indifferenza di cui tanto si parla abbiano avuto un peso significativo nel contribuire a trascinare il Paese nelle condizioni disastrose in cui adesso si trova. Dopo di che, in modo altrettanto spontaneo, viene da interrogarsi sul che fare.
Noi di Politica Insieme e quanti a noi si sono aggiunti dopo il lancio del Manifesto abbiamo una nostra risposta.
Pensiamo che la situazione del Paese richieda la nascita di una forma organizzata di partecipazione alla cosa pubblica sulla base del riferimento alla Costituzione e al Pensiero sociale della Chiesa. Non ci abbandoniamo alle astratte discussioni sulla creazione di un centro concepito geometricamente all’interno delle attuali dinamiche dello scenario italiano. Ci rendiamo conto che il Paese ha bisogno di ritrovare, invece, una centralità attorno ai problemi da cui dipende il proprio futuro, di riorganizzare un baricentro forte e sostanziale in risposta a quella divisione provocata da una estremizzata alternativa bipolare e bipartitica la cui conseguenza è stata la creazione di un’Italia sbandata, sempre più rancorosa e repressa, fatalmente ai margini dei processi della modernità e dello sviluppo economico e tecnologico.
Questo baricentro, che tanto più forte e sostanziale sarà se vedrà la partecipazione di credenti e di non credenti, dovrà servire a restituire il proprio ruolo e la propria funzione al ceto medio, agli organismi di rappresentanza intermedia e di categoria, a contrastare gli squilibri sociali e la crescente divaricazione tra i sempre più ricchi, da una parte, e i ceti intermedi impoveriti e i poveri, dall’altra.
Sotto questo profilo è evidente che si è dimostrata del tutto perdente la teoria, sostenuta recentemente anche da alcuni vecchi esponenti della gerarchia cattolica, oggettivamente incapaci a compiere un’analisi esauriente sui risultati raggiunti dall’idea che i cattolici dovrebbero sparpagliarsi un po’ in tutti i partiti e, così facendo, provare a portare a casa dei risultati utili.
Ma utili a chi? Questa è la domanda oggi da porsi.
Quelli del Manifesto hanno l’ambizione di rivolgersi all’intero corpo sociale italiano guardando al bisogno di avviare la rigenerazione autentica della politica, delle istituzioni, della vita parlamentare, delle dinamiche civili ed economiche, dei processi formativi.
A questo non si risponde restando in quel pre-politico molte volte tradottosi in un “pre-niente” o in un non sempre ben camuffato sostegno ad altri partiti. Non basta più neppure affidarsi quasi miracolisticamente alla formazione delle coscienze e delle menti. La formazione ha bisogno, infatti, di uno sbocco reale e pratico, grazie al quale essa è destinata a divenire sì operatività, a dare la conferma della incisività e della possibilità di raggiungere almeno alcuni risultati concreti e verificabili.
Questa evoluzione “concettuale” e l’inevitabile consapevolezza che ci vuole la Politica per cambiare le cose, ci ha portato alla stesura del Manifesto e ci porterà all’Assemblea costituente da qui a qualche mese.
(Tratto da www.politicainsieme.com)
Il grande interesse suscitato e l’allargamento del numero di personalità e di gruppi intenzionati a far parte del progetto costituiscono un ulteriore stimolo per proseguire lungo il percorso delineato in occasione dell’incontro di Roma dello scorso 30 novembre, concluso con la decisione di presentare un documento politico programmatico, organizzare circoli regionali in cui saranno coinvolti tutti i gruppi, le associazioni e i singoli che hanno aderito al Manifesto e prevedere un’Assemblea costituente da tenere nel corso del 2020.
Il 2019 si era aperto con le celebrazioni del centenario sturziano dell’Appello “ai liberi e forti”. Due elementi hanno caratterizzato le dichiarazioni di quanti hanno partecipato alla ricorrenza. Tra di loro, certuni sono caduti in una evidente contraddizione, sia pure inconsapevole.
Da un lato, infatti, abbiamo ascoltato l’esaltazione di don Luigi Sturzo meritevole di avere, attraverso la costituzione del Partito popolare italiano, segnato una pagina originale e moderna nella partecipazione dei cattolici italiani alla cosa pubblica. Dall’altro, il coincidente convincimento da parte di alcuni che non si possa oggi, secondo altri neppure si debba, pensare a dare vita ad una forma organizzata sotto forma di un vero e proprio partito.
È evidente che l’attaccarsi a termini forzatamente d’uso comune possano rischiare di trascinare la discussione in un campo astratto e del tutto avulso da quel complesso di fenomeni della vita reale che giustificano e spiegano una scelta politica. In questo caso, è la stessa definizione di partito a richiede una riflessione in più. Proprio nel momento in cui questa particolare forma di partecipazione collettiva alla cosa pubblica mostra una profonda crisi e, non a caso, si assiste alla nascita di movimenti o di altre espressioni spontanee di aggregazione. Un fenomeno mondiale non ancora completamente definito e compreso e che un po’ dappertutto emerge anche attraverso forme di decisa contestazione.
Il punto di fondo resta, in ogni caso, non quello del contenitore, bensì quello della sostanza. Se nel dire ciò ci si riferisce al coinvolgimento nella dialettica politica, la partecipazione alla vita delle istituzioni e, più in generale, alla cosa pubblica.
L’anniversario sturziano ha coinciso con la generale constatazione su come la complessiva presenza dei cittadini italiani di formazione cattolica sia finita nell’irrilevanza e nell’indifferenza a seguito della “diaspora” degli ultimi 25 anni. Le risposte sono state e restano di vario genere.
Del resto, anche noi firmatari del Manifesto, siamo consapevoli che i cattolici non hanno mai votato allo stesso modo e sono sempre stati presenti in formazioni politiche diverse, persino ferocemente avversarie. Questo spiega anche perché è davvero irrealistico, oltre che concettualmente sbagliato e storicamente ingiustificato, parlare di partito “cattolico” o pensare ad un’organizzazione politica che raccolga tutti i cristiani sulla base della sola constatazione del fatto che vi è una fede in comune. In comune devono esserci un pensiero politico, scelte politiche ben precise, una proposta programmatica e progettuale da portare all’attenzione di tutti i i cittadini.
A questo punto, però, è necessaria una premessa d’ordine generale.
In particolare in Europa, il pensiero sociale della Chiesa, patrimonio esclusivo dei cattolici, sin dalla promulgazione della Rerum Novarum del 1891, ha significato la responsabilizzazione pubblica del cristiano sulla base di una specificità collegata e sollecitata dalla concreta evoluzione dei Paesi in cui hanno preso corpo formazioni politiche popolari o dc.
Un elemento tanto forte al punto che in molte nazioni a noi vicine, ma anche nel Centro e nel Sud delle Americhe, vi sono forti partiti che si dicono ispirati cristianamente senza che nessuno abbia da ridire. Vi sarà un motivo?
Ve ne sono, in realtà, più d’uno di motivi: culturali, economici, storici e politici. Si collegano tutti alle caratteristiche proprie di popoli e Paesi e a quella dialettica, giunta anche a sfociare in scontri veri e propri, economica, sociale e civile che li ha caratterizzati per oltre un secolo e mezzo.
Il capitalismo e i suoi oppositori, ma soprattutto la situazione effettiva di molte realtà del Vecchio e del Nuovo continente rendevano, e rendono, necessaria una presenza in grado di assicurare metodi e contenuti peculiari e distinti da quanto rappresentato dalle altre grandi linee di pensiero e di azione politica dell’Occidente, in particolare quelle del liberalismo e del socialismo.
La questione, ancora oggi, sta tutta qua.
Sono cambiate le condizioni al punto da far ritenere che una presenza organizzata dei cattolici democratici e dei popolari non sia più da ritenersi necessaria? Altre correnti di pensiero e alternative proposte politiche rispondono adeguatamente alla ricerca di quei concetti di solidarietà, sussidiarietà, difesa della dignità umana e agognano alla giustizia sociale così come indicato dai movimenti popolari e dei cristiano democratici?
I sottoscrittori del Manifesto pensano di no. Le stesse vicende degli ultimi 25 anni e le condizioni dell’Italia di oggi dimostrano quanto ancora sia invece indispensabile un coinvolgimento significativo di quella parte della società che ancora crede nella possibilità e nella necessità di spendersi per il bene comune con generosità, altruismo e nella piena consapevolezza che al “dono” ricevuto con la vita si risponda almeno in parte con una dedizione disinteressata alla cosa pubblica.
Questo è il messaggio universale del pensiero sociale della Chiesa. Esso non parte dal mondo cattolico e in esso vi resta confinato. In realtà, si dilata e si amplifica fino ad interessare l’interezza delle comunità in cui si organizzano tutti gli esseri umani. Ciò significa riconoscere l’esistenza di una particolarità da portare nella dialettica politico parlamentare fino ad accettare, se necessario, che essa possa sfociare in una battaglia, anche in uno scontro, per il sostegno di tutti quei progetti che sono indirizzati verso il “bene comune”.
Qui sta molta della differenza che quelli del Manifesto intendono segnare rispetto ai numerosi soggetti che pure si sono finora mossi in politica sulla base di un’ispirazione cristiana, ma poi finiti per perdere ogni capacità d’incidere, fossero essi schierati nel centrodestra o nel centrosinistra.
Noi, allora, crediamo in una piena assunzione di responsabilità sulla base di una scelta di autonomia e di libertà. La forza viene da un riferimento fermo e coerente alla Costituzione e alla Dottrina sociale della Chiesa cui guardiamo nella sua complessità e interezza. In questo senso, pensiamo di rappresentare il superamento tra i cosiddetti cattolici della morale e quelli del sociale i quali, però, molte volte, in questa divisione hanno pure corso il rischio di adagiarvisi per evitare di troppo approfondire i distinguo che sarebbe stato invece necessario precisare all’interno dell’altrui campo in cui erano finiti per ritrovarsi in forma subalterna e sempre più marginale.
Per fare ciò, noi accettiamo fino in fondo le regole della politica. Tra di esse primeggia l’organizzazione di un pensiero e di un movimento cui partecipano quanti vivono le stesse sensibilità, le stesse prospettive e finalità.
Intendiamo farlo da soli? Ci rivolgiamo solo ai cattolici? Certamente no. Non siamo interessati ad un progetto di nicchia, autoreferenziale o addirittura segnato da un’impronta integralista o clericale. Accettare l’idea di ritrovarsi minoritari, per una fase più o meno lunga, non significa rinunciare a una vocazione nazionale e a partecipare a un disegno più ampiamente popolare e di massa.
Il paradosso del dibattito avviato in occasione del centenario sturziano è stato anche che, a partire da quelle intervenute ripetutamente su “Il Corriere della Sera”, sono state soprattutto autorevoli voci del mondo laico a insistere perché la realtà rappresentata dai cattolici italiani si decida a riproporre una propria presenza. Vuoi per una questione di metodo, quello fatto di inclusione, capacità d’ascolto e di mediazione. Vuoi per i contenuti insiti in una tradizione di un importante pensiero politico scomparso dalla scena parlamentare che, però, tanto ha contribuito a ricostruire e a sviluppare l’Italia.
Contenuti come quelli che si rifanno a una vocazione alla Pace senza che essa significhi pacifismo di maniera; all’interclassismo e alla collaborazione tra le diverse componenti della realtà economica e del mondo del lavoro; alla libertà d’impresa e d’educazione; alla difesa della vita, della persona e dei nuclei naturali d’aggregazione, a partire dalla famiglia; alla valorizzazione delle Autonomie locali; alla ricomposizione sociale che non può non partire dal ridare un senso alla Scuola e alla formazione dei nostri giovani.
Le sollecitazioni provenienti dal mondo laico e quelle sempre più diffuse all’interno di quello cattolico, portano a chiedersi se non sia più ampia di quanto si pensi la consapevolezza che l’irrilevanza e l’indifferenza di cui tanto si parla abbiano avuto un peso significativo nel contribuire a trascinare il Paese nelle condizioni disastrose in cui adesso si trova. Dopo di che, in modo altrettanto spontaneo, viene da interrogarsi sul che fare.
Noi di Politica Insieme e quanti a noi si sono aggiunti dopo il lancio del Manifesto abbiamo una nostra risposta.
Pensiamo che la situazione del Paese richieda la nascita di una forma organizzata di partecipazione alla cosa pubblica sulla base del riferimento alla Costituzione e al Pensiero sociale della Chiesa. Non ci abbandoniamo alle astratte discussioni sulla creazione di un centro concepito geometricamente all’interno delle attuali dinamiche dello scenario italiano. Ci rendiamo conto che il Paese ha bisogno di ritrovare, invece, una centralità attorno ai problemi da cui dipende il proprio futuro, di riorganizzare un baricentro forte e sostanziale in risposta a quella divisione provocata da una estremizzata alternativa bipolare e bipartitica la cui conseguenza è stata la creazione di un’Italia sbandata, sempre più rancorosa e repressa, fatalmente ai margini dei processi della modernità e dello sviluppo economico e tecnologico.
Questo baricentro, che tanto più forte e sostanziale sarà se vedrà la partecipazione di credenti e di non credenti, dovrà servire a restituire il proprio ruolo e la propria funzione al ceto medio, agli organismi di rappresentanza intermedia e di categoria, a contrastare gli squilibri sociali e la crescente divaricazione tra i sempre più ricchi, da una parte, e i ceti intermedi impoveriti e i poveri, dall’altra.
Sotto questo profilo è evidente che si è dimostrata del tutto perdente la teoria, sostenuta recentemente anche da alcuni vecchi esponenti della gerarchia cattolica, oggettivamente incapaci a compiere un’analisi esauriente sui risultati raggiunti dall’idea che i cattolici dovrebbero sparpagliarsi un po’ in tutti i partiti e, così facendo, provare a portare a casa dei risultati utili.
Ma utili a chi? Questa è la domanda oggi da porsi.
Quelli del Manifesto hanno l’ambizione di rivolgersi all’intero corpo sociale italiano guardando al bisogno di avviare la rigenerazione autentica della politica, delle istituzioni, della vita parlamentare, delle dinamiche civili ed economiche, dei processi formativi.
A questo non si risponde restando in quel pre-politico molte volte tradottosi in un “pre-niente” o in un non sempre ben camuffato sostegno ad altri partiti. Non basta più neppure affidarsi quasi miracolisticamente alla formazione delle coscienze e delle menti. La formazione ha bisogno, infatti, di uno sbocco reale e pratico, grazie al quale essa è destinata a divenire sì operatività, a dare la conferma della incisività e della possibilità di raggiungere almeno alcuni risultati concreti e verificabili.
Questa evoluzione “concettuale” e l’inevitabile consapevolezza che ci vuole la Politica per cambiare le cose, ci ha portato alla stesura del Manifesto e ci porterà all’Assemblea costituente da qui a qualche mese.
(Tratto da www.politicainsieme.com)
Parole ben scritte. Grazie
Ho letto con piacere il richiamo a nuova sensibilità politica. Sono disposto a vincere la stanchezza di questi ultimi anni che mi hanno portato a non impegnarmi più, deluso dai personalismi e dalla mancanza di un progetto di società in cui riconoscersi e per cui impegnarsi. Seguirò gli eventi e mi rendo disponibile a partecipare.
Buon anno.
Franco P.