I – Nel dibattito politico nel nostro Paese, nelle ultime settimane, è scoppiato il caso dell’European Stability Mechanism (ESM, cioè MES, Meccanismo Europeo di Stabilità). Questo meccanismo fu istituito, all’interno dell’Eurozona, nel 2012 e allora quasi nessuno ne parlò, se non sul piano strettamente tecnico. Ora, che si tratta di apportarvi alcune modificazioni tutto sommato marginali, la bolla mediatica è partita e se ne vedono di tutti i colori.
Per fare chiarezza, innanzitutto vediamo che cos’è questo “meccanismo”. Esso, di diritto, è un’istituzione finanziaria internazionale costituita dagli stati membri dell’Unione Economica e Monetaria (UEM) dell’Unione Europea (UE), esterna al quadro giuridico dell’UE, con piena autonomia decisionale e gestionale, con proprio capitale apportato dai suoi Stati membri e potere di raccogliere fondi con l’emissione di strumenti finanziari o con la conclusione di intese o accordi finanziari o di altro tipo con i propri membri, altri istituti finanziari o altri soggetti.
La sua funzione fondamentale è concedere, sotto condizione, assistenza finanziaria agli Stati membri che, pur avendo un debito pubblico sostenibile, abbiano grandi difficoltà a finanziarsi sui mercati finanziari. Ciò a modificazione dell’approccio iniziale dell’UEM in materia di finanza pubblica, fondato sulla prevenzione delle crisi del debito sovrano, affidata al rispetto di regole di bilancio volte a mantenere disavanzi e debiti pubblici entro limiti considerati prudenti e senza la previsione di alcuna clausola di salvataggio.
Ora, in presenza di un rischio per la stabilità dell’Eurozona nel suo complesso o di suoi Stati membri, l’ESM può intervenire concedendo linee di credito precauzionali a Stati che rispettano il requisito della sostenibilità del debito pubblico e non presentano squilibri macroeconomici eccessivi, ma hanno problemi di stabilità finanziaria, poiché sono colpiti da choc avversi, o prestiti a Stati che non rispettano pienamente le predette condizioni. La condizione varia a seconda del caso particolare: per i prestiti, assume la forma di aggiustamento macroeconomico, che può coinvolgere forme di partecipazione del settore privato; per le linee di credito precauzionali, il rispetto costante delle condizioni di ammissibilità predefinite al momento della concessione della linea. L’ESM può anche intervenire in favore degli Stati in difficoltà nella forma di acquisto di titoli del debito pubblico sul mercato primario o su quello secondario. Inoltre, l’ESM può dare assistenza a un Paese membro erogando prestiti con l’obiettivo specifico di ricapitalizzare le istituzioni finanziarie dello Stato membro.
L’ESM non è un meccanismo per la ristrutturazione del debito sovrano, anzi è rivolto a evitarla: la ristrutturazione può essere presa in considerazione solo in casi eccezionali e solo nel caso in cui le condizioni poste assumano forme di aggiustamento macroeconomico.
A tutt’oggi, secondo dati della Banca d’Italia, l’ESM ha erogato sostegno finanziario, nel periodo 2012-2018, complessivamente per 109,5 miliardi di euro (61,9 alla Grecia, 41,3 alla Spagna e 6,3 a Cipro), con scadenze medie piuttosto lunghe (da 19 a 46 anni) e tassi d’interesse annui relativamente contenuti (da 1,2 a 1,6 per cento). Nel periodo 2010-2018, Grecia, Irlanda e Portogallo hanno avuto sostegni finanziari di sostegno anche dall’European Financial Stabilization Mechanism, finanziato dall’UE, dall’European Financial Stability Facility, finanziato dai Paesi dell’Eurozona, e dal Fondo Monetario Internazionale per un totale di 371,7 miliardi di euro. Tutti i predetti programmi di sostegno sono conclusi e gli importi ottenuti sono stati in parte restituiti; i beneficiari sono tornati a finanziarsi autonomamente sui mercati.
Ⅱ – Rispetto al succinto quadro sopra descritto, la proposta di modificazione del trattato istitutivo dell’ESM interviene in quattro aree principali:
a) la governance dell’ESM e i rapporti e la cooperazione fra questo e la Commissione Europea;
b) le condizioni per la concessione dell’assistenza finanziaria precauzionale da parte dell’ESM. Vengono definiti in modo più preciso i termini della preventiva valutazione di sostenibilità del debito e si affianca il criterio della verifica ex ante della capacità di ripagare il prestito. Nel nuovo Allegato III, vengono recuperati ancora una volta i vecchi due parametri del Patto di stabilità e crescita europeo del 1997 (già inclusi fra i requisiti preliminari per l’ammissione all’Eurozona, previsti dal Trattato di Maastricht del 1992: passano i tempi e le questioni economiche, ma questi parametri sono immutabili!) concernenti i rapporti deficit pubblico/PIL e debito pubblico/PIL nonché il vincolo, contenuto nel Fiscal Compact del 2012 (che il Parlamento Europeo, a fine 2018, ha rifiutato d’introdurre nell’ordinamento giuridico dell’UE) del rientro da un’eventuale situazione, per lo Stato candidato, di eccesso rispetto al 60% del rapporto fra debito pubblico e PIL, nella misura di un ventesimo all’anno.
Inoltre: l’assenza di squilibri finanziari eccessivi e di gravi vulnerabilità che mettano a rischio la stabilità finanziaria del Paese che ha presentato richiesta di sostegno; la presenza in questo di una posizione sull’estero sostenibile e di possibilità di accesso ai mercati finanziari internazionali dei capitali, a condizioni ragionevoli;
c) la semplificazione della disciplina delle clausole di azione collettiva, nel caso in cui uno Stato decida di procedere alla ristrutturazione del debito;
d) la costituzione dell’ESM quale istituto di sostegno (backstop) al Fondo di risoluzione unico nella gestione delle crisi bancarie, nel caso in cui le risorse del Fondo stesso non siano sufficienti a finanziare gli interventi che deve porre in essere.
Uno dei punti più discussi nel dibattito politico corrente è che la modifica dell’ESM apra le porte ad azioni di ristrutturazione del debito pubblico degli Stati in condizione di crisi finanziaria (con pressoché inevitabile perdita di parte del patrimonio dei creditori). In verità nulla è scritto a questo proposito nella proposta di modificazione del Trattato dell’ESM e il testo del 2012 ne parlava come “caso eccezionale”. A questo proposito, valgono pur sempre le seguenti parole del Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco: «I benefici contenuti e incerti di un meccanismo per la ristrutturazione del debito vanno valutati a fronte del rischio enorme che si correrebbe introducendolo: il semplice annuncio di una tale misura potrebbe innescare una spirale perversa di aspettative d’insolvenza, suscettibili di auto avverarsi». (Si tengano a mente le tremende conseguenze dell’annuncio del coinvolgimento del settore privato nella risoluzione della crisi greca dopo l’incontro di Deauville di fine 2010. Anche se si può ben tener conto che le predette attuali proposte di modificazione all’ESM, riguardanti le clausole di azione collettiva, possono essere state all’origine del sorgere di aspettative che il nuovo Trattato anticipi possibili eventi di ristrutturazione del debito pubblico dei Paesi membri).
III – Tutto ciò avendo visto, possiamo dire che il nuovo Trattato del Meccanismo Europeo di Stabilità viene a migliorare o a peggiorare la qualità dello stesso? Direi: poco o nulla di sostanzialmente nuovo. Il Trattato continua a essere lo strumento di un’azione politica europea di difesa nei confronti di più o meno possibili eventi destabilizzanti. È ancora uno strumento figlio dell’ordoliberismo germanico: il legislatore deve dare regole precise che permettano la libertà dell’agire dei soggetti economici, bloccando i comportamenti di coloro che intendono prevaricare rispetto alla presenza di una comunità economica che si comporti eticamente, cioè permettendo a tutti i soggetti economici di operare in condizioni di uguaglianza. È la prima versione del modello di economia sociale di mercato degli Anni Trenta e Quaranta del secolo scorso, nel quale “sociale” sta per “socialmente equilibrato”, e pertanto equo, prima che lo questo modello venisse indirizzato, nel dopoguerra della Seconda Guerra Mondiale, nella direzione moderna di “sociale” come “attento all’inclusione sociale e all’equità nella distribuzione del reddito e della ricchezza”. Ma i fondamenti del modello di Europa Unita non erano la prima versione dell’economia sociale di mercato, bensì la seconda, e questo non si può raggiungere semplicemente difendendosi da eventuali attacchi squilibranti che si possano produrre all’interno del sistema o che provengano dall’esterno. Questo semmai è un obiettivo intermedio; occorre puntare su qualcosa più ambizioso ed eticamente robusto e ciò non è da scoprire; è già chiaramente indicato nei Trattato dell’Unione Europea (TUE), nell’ultima versione, quella di Lisbona del 2007.
L’art. 3, 3° comma, del TUE in vigore dice: «L'Unione instaura un mercato interno. Si adopera per lo sviluppo sostenibile dell'Europa, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un'economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, e su un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell'ambiente. Essa promuove il progresso scientifico e tecnologico. L'Unione combatte l'esclusione sociale e le discriminazioni e promuove la giustizia e la protezione sociale, la parità tra donne e uomini, la solidarietà tra le generazioni e la tutela dei diritti del minore. Essa promuove la coesione economica, sociale e territoriale e la solidarietà tra gli Stati membri. Essa rispetta la ricchezza della sua diversità culturale e linguistica e vigila sulla salvaguardia e sullo sviluppo del patrimonio culturale europeo».
Una lettura attenta del comma su riportato porta, a mio avviso, all’individuazione, quale obiettivo dell’Unione, della realizzazione dello «sviluppo sostenibile dell’Europa basato su:
1) una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi;
2) un’economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale;
3) un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell’ambiente».
Ora, le tre “basi” non si presentano sullo stesso livello di finalizzazione. Se il valore di fondo sta nella “dignità della persona”, pare evidente che il livello più avanzato di finalizzazione stia nella “piena occupazione e nel progresso sociale”, che si realizza “combattendo l’esclusione sociale e le discriminazioni” e promuovendo “la coesione economica, sociale e territoriale e la solidarietà tra gli stati membri”. In parallelo, c’è l’obiettivo dell’elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell’ambiente naturale, che completa la dignità della persona nella sua capacità di vivere in simbiosi con la natura. La crescita economica equilibrata, la stabilità dei prezzi, l’economia sociale di mercato fortemente competitiva, il progresso scientifico e tecnologico, la giustizia, la protezione sociale, la parità fra donne e uomini, la solidarietà tra le generazioni [e perché non anche fra le persone della stessa generazione?], la tutela dei diritti del minore, la solidarietà tra gli Stati membri, i principi di sussidiarietà e di proporzionalità (richiamati nei successivi art. 4 e 5) e, ancor più, la creazione di un mercato interno e l’istituzione di “un’unione economica e monetaria (la cui moneta è l’euro)” sono, con diversi livelli di prossimità rispetto all’obiettivo finale, obiettivi intermedi o meri strumenti operativi.
Con un’espressione di sintesi, alla luce dei trattati dell’UE, l’enfasi va posta sulla dimensione sociale piuttosto che sulla dimensione dell’elevata competizione di mercato. Infatti il sintagma “economia sociale di mercato fortemente competitiva” viene specificato con l’indicazione “che mira alla piena occupazione e al progresso sociale”. “Piena occupazione” e “progresso sociale” sono così gli unici obiettivi finali esplicitamente indicati, mentre tutti gli altri sono presenti in quanto caratteristiche di ambito necessarie affinché si possano realizzare i due obiettivi finali predetti. Infatti, un obiettivo finale non può riguardare che la persona umana, la sua piena realizzazione; non certo delle caratteristiche d’ambito, quali sono il mercato interno fortemente competitivo, l’istituzione di un’area monetaria unica, la stabilità dei prezzi, il progresso scientifico e tecnologico…
In conclusione, la gestione attuale dell’UE risulta non rispettosa degli obiettivi finali contenuti nei trattati europei. Alla luce dei valori e principi etici che presiedono il contenuto di bene comune, ritengo che il modello d’Europa definito a Lisbona sia assai migliore – in termini di realizzazione del bene comune – di quanto non sia l’effettiva gestione politica che alla comunità europea hanno dato e danno gli organismi investiti del governo dell’Unione Europea.
Alla luce della situazione finanziaria attuale dell’Italia ll Mes rappresenta per l’Italia solo un balzello oneroso ma inutile stante il grosso debito pubblico difficilmente riducibile in periodi ragionevoli al 60% del PIL. Infatti non riusciremmo mai ad ottenere prestiti per la questione della “sostenibilità” lasciata alla decisione di alcuni burocrati filogermanici “irresponsabili” ed autonomi dalla UE. Il Mes è chiaramente stato istituito per salvare senza permesso della UE le grandi banche tedesche tecnicamente fallite a causa della presenza nei loro bilanci di una enorme quantità di debiti a causa di derivati che non vanno mai a fine. La Germania ha un avanzo di bilancio accumulato negli anni enorme ma evidentemente non può intervenire sulle proprie banche perché non sono permessi aiuti di Stato. Alla fine noi poveri pagheremmo per le magagne della ricca Germania!!!