Il tema in Italia, ma non solo, è vecchio e antico. Al punto che sul tema del finanziamento alla politica e ai politici sono scomparsi partiti, sono state travolte e sconvolte fasi storiche e sono finite nella polvere carriere mirabolanti di molti leader. Quindi non è una variabile indipendente, se così si può dire, nella intricata matassa che resta la politica nel nostro Paese.
Ma, per non ripetere le solite prediche moralistiche da un lato che vedono solo ladri e criminali in tutti i partiti salvo il proprio, e per non cadere nella speculazione opposta che giustifica e tollera tutto, anche il plateale malcostume che emerge, non possiamo non ricordare tre aspetti basilari quando si affronta seriamente, e non con la solita propaganda, il capitolo del costo della politica e quindi del suo relativo finanziamento.
Innanzitutto, e appunto, la politica ha un costo. Chi predica il contrario dice semplicemente una menzogna. Oltre ha una palese falsità. In secondo luogo, e dopo la nefasta – e per molti versi ancora misteriosa – esperienza di Tangentopoli che ha distrutto alcuni partiti e ne ha salvati altri, non possiamo più permetterci il lusso di convivere con un contesto che tollera illegalità, sotterfugi, furbizie e disonestà. In ultimo, si deve affrontare il tema del finanziamento alla politica senza le ormai straconosciute e stracollaudate lenti della demagogia, del moralismo, della propaganda e dell’attacco preventivo. Il tutto per evitare che la politica sia appaltata ai soli ricchi da un lato o agli spregiudicati e cinici comportamenti dall’altro.
Se questo è vero, com’è vero piaccia o non piaccia, si tratta adesso di intervenire politicamente e legislativamente. Senza le furbizie della regolamentazione che disciplina il funzionamento delle ormai note Fondazioni, senza continuare a nascondersi dietro al plebiscito del referendum del 1993 – e come poteva essere diversamente in piena Tangentopoli … – che proibiva di continuare ad elargire il finanziamento pubblico ai partiti e senza cadere nel grottesco e nella ridicolaggine che i partiti vivono e si organizzano con il 2 per mille o con le salamelle o con i piccoli contributi dei propri associati. Perché possiamo anche continuare a credere che viviamo nel paese di Alice nelle meraviglie, ma prima o poi c’è un limite anche per l’ipocrisia e la goffaggine.
Ecco perché, a fronte delle concrete esperienze che abbiamo vissuto in questi lunghi 25 anni e con ricette che si sono dimostrate del tutto insufficienti e fallimentari e prive di qualsiasi capacità di saper coniugare la rigorosa trasparenza dei conti con la buona politica, forse è arrivato il momento di riparlare con chiarezza e coraggio del tanto biasimato “finanziamento pubblico” alla politica. Cioè ai partiti. Anche se i partiti oggi non esistono granché perché ormai campeggiano i cartelli elettorali e le liste del “capo”. Ma, comunque sia, sempre di partiti si tratta. Ed è perfettamente inutile continuare con il ritornello che la politica non costa, e quando costa ci si deve pensare con metodi poco chiari e del tutto tartufeschi.
Ed è venuto, forse, anche il momento per dire che i partiti sono importanti e decisivi per continuare a fare politica. Secondo il dettato costituzionale. Partiti intesi come strumenti democratici che garantiscono a tutti la possibilità di esercitare l’attività politica. Anche a quei cittadini che non sono ricchi e possidenti. Partiti, però, che possano vivere nella trasparenza e nella serietà di poter declinare la propria attività senza ricorrere alle solite e ormai collaudate furbizie che rasentano, come da copione e da esperienza, l’illegalità e che perpetuano le zone grigie e le zone d’ombra. Partiti che devono pubblicizzare ciò che spendono e ricevono risorse – rigorosamente pubbliche – in base ai consensi che riscuotono tra i cittadini nelle varie consultazioni elettorali. Oltre, com’è ovvio, a donazioni private altrettanto pubbliche e registrate.
Ma per centrare questi obiettivi vanno rimosse l’ipocrisia e la propaganda. E si deve avere il coraggio di riparlare, schiettamente e senza sotterfugi, di finanziamento pubblico alla politica. Cioè ai partiti. Vedremo se prevarranno ancora l’ipocrisia, la propaganda, la demagogia e l’antipolitica o se, al contrario, cominceranno a farsi largo la concretezza, il senso di responsabilità, l’ancoraggio alla Costituzione e il giusto ruolo che debbono ritornare ad avere i partiti. La partita è del tutto aperta e nessuno sa, ad oggi, quale sbocco avrà. Ma vale la pena di provarci.
Ma, per non ripetere le solite prediche moralistiche da un lato che vedono solo ladri e criminali in tutti i partiti salvo il proprio, e per non cadere nella speculazione opposta che giustifica e tollera tutto, anche il plateale malcostume che emerge, non possiamo non ricordare tre aspetti basilari quando si affronta seriamente, e non con la solita propaganda, il capitolo del costo della politica e quindi del suo relativo finanziamento.
Innanzitutto, e appunto, la politica ha un costo. Chi predica il contrario dice semplicemente una menzogna. Oltre ha una palese falsità. In secondo luogo, e dopo la nefasta – e per molti versi ancora misteriosa – esperienza di Tangentopoli che ha distrutto alcuni partiti e ne ha salvati altri, non possiamo più permetterci il lusso di convivere con un contesto che tollera illegalità, sotterfugi, furbizie e disonestà. In ultimo, si deve affrontare il tema del finanziamento alla politica senza le ormai straconosciute e stracollaudate lenti della demagogia, del moralismo, della propaganda e dell’attacco preventivo. Il tutto per evitare che la politica sia appaltata ai soli ricchi da un lato o agli spregiudicati e cinici comportamenti dall’altro.
Se questo è vero, com’è vero piaccia o non piaccia, si tratta adesso di intervenire politicamente e legislativamente. Senza le furbizie della regolamentazione che disciplina il funzionamento delle ormai note Fondazioni, senza continuare a nascondersi dietro al plebiscito del referendum del 1993 – e come poteva essere diversamente in piena Tangentopoli … – che proibiva di continuare ad elargire il finanziamento pubblico ai partiti e senza cadere nel grottesco e nella ridicolaggine che i partiti vivono e si organizzano con il 2 per mille o con le salamelle o con i piccoli contributi dei propri associati. Perché possiamo anche continuare a credere che viviamo nel paese di Alice nelle meraviglie, ma prima o poi c’è un limite anche per l’ipocrisia e la goffaggine.
Ecco perché, a fronte delle concrete esperienze che abbiamo vissuto in questi lunghi 25 anni e con ricette che si sono dimostrate del tutto insufficienti e fallimentari e prive di qualsiasi capacità di saper coniugare la rigorosa trasparenza dei conti con la buona politica, forse è arrivato il momento di riparlare con chiarezza e coraggio del tanto biasimato “finanziamento pubblico” alla politica. Cioè ai partiti. Anche se i partiti oggi non esistono granché perché ormai campeggiano i cartelli elettorali e le liste del “capo”. Ma, comunque sia, sempre di partiti si tratta. Ed è perfettamente inutile continuare con il ritornello che la politica non costa, e quando costa ci si deve pensare con metodi poco chiari e del tutto tartufeschi.
Ed è venuto, forse, anche il momento per dire che i partiti sono importanti e decisivi per continuare a fare politica. Secondo il dettato costituzionale. Partiti intesi come strumenti democratici che garantiscono a tutti la possibilità di esercitare l’attività politica. Anche a quei cittadini che non sono ricchi e possidenti. Partiti, però, che possano vivere nella trasparenza e nella serietà di poter declinare la propria attività senza ricorrere alle solite e ormai collaudate furbizie che rasentano, come da copione e da esperienza, l’illegalità e che perpetuano le zone grigie e le zone d’ombra. Partiti che devono pubblicizzare ciò che spendono e ricevono risorse – rigorosamente pubbliche – in base ai consensi che riscuotono tra i cittadini nelle varie consultazioni elettorali. Oltre, com’è ovvio, a donazioni private altrettanto pubbliche e registrate.
Ma per centrare questi obiettivi vanno rimosse l’ipocrisia e la propaganda. E si deve avere il coraggio di riparlare, schiettamente e senza sotterfugi, di finanziamento pubblico alla politica. Cioè ai partiti. Vedremo se prevarranno ancora l’ipocrisia, la propaganda, la demagogia e l’antipolitica o se, al contrario, cominceranno a farsi largo la concretezza, il senso di responsabilità, l’ancoraggio alla Costituzione e il giusto ruolo che debbono ritornare ad avere i partiti. La partita è del tutto aperta e nessuno sa, ad oggi, quale sbocco avrà. Ma vale la pena di provarci.
Alcuni anni sono passati da quando l’ associazione “I popolari del Piemonte” ha cercato di riflettere sulla forma “partito” ed ha prodotto una sintesi propositiva, se ricordo bene anche pubblicata su questa rivista on line.
L’ articolo di Giorgio Merlo mi induce a suggerire di inserire quelle conclusioni nel pacchetto di novità offerte ai cittadini dal “movimento Zamagni” (non ricordo il nome ufficiale) e di riproporle per quanto applicabile nell’ odierno dibattito.
La questione non è certamente semplice. Intanto non sono assolutamente dell’idea che si debba ritornare alla mangiatoia del finanziamento pubblico. I partiti sono associazioni su idee. Chi le sostiene deve poter contribuire come avviene, compresa la nostra, in tutte le associazioni. Tutto deve esse chiaro e rendicontato. In altri Paesi vi sono donazioni di elevato importo, ma i nomi dei sostenitori sono palesi. Ciò riduce fortemente il sostanziale “pagamento di favori” e la corruzione. Chi paga cifre elevate non deve poter usufruire di incarichi, commesse, ecc. pena condanne severe penali.