Prosegue spedito il dibattito tra i democratici popolari di ispirazione cristiana – con favorevoli, perplessi e contrari – per avviare una nuova stagione politica.
Sabato 23 novembre si è tenuta a Torino una riunione dei soci della nostra Associazione piemontese, mentre sabato scorso 30 novembre si è svolta a Roma l'assemblea dei firmatari del cosiddetto “Manifesto Zamagni”.
Andiamo per ordine, iniziando con l’aperto confronto dei Popolari piemontesi, di cui ha già scritto qui Aldo Novellini, che nel suo articolo ha ben colto il nodo essenziale emerso dal dibattito: esiste l'effettiva necessità storica della presenza cattolica nell'arena politica?
Il concetto di “necessità storica” lo ha portato in discussione Gianfranco Morgando riprendendolo dalla relazione del professor Francesco Traniello nel convegno sul Partito popolare italiano organizzato dalla Fondazione Donat-Cattin e dall'Istituto Sturzo, a chiusura delle celebrazioni torinesi del centenario di fondazione.
È consolidata opinione di storici e politici che la “necessità” di un impegno diretto dei cattolici democratici “emerse nel 1919, con la breve e significativa presenza del PPI di don Sturzo, e nel 1945 con la DC, nell'Italia che, dopo il ventennio fascista e la tragedia della guerra mondiale, si avviava verso la libertà e la democrazia”, come ha ben riassunto Novellini. Che si domanda se oggi esista questa necessità storica e trova una risposta positiva “nell'esigenza di restituire forza e passione all'integrazione dell'Europa”. Un nobile obiettivo, sul quale si può concordare, anche affiancandone altri.
Vale la pena di ampliare l'analisi, anche perché la sintesi che su questo punto avevo tentato in chiusura di un precedente editoriale evidentemente non è stata efficace e valutata nella sua profondità: “Non è detto che per avere nuovamente successo si debbano aspettare le macerie di una terza guerra mondiale”. Ho scritto così, in pieno accordo con la tesi di Traniello (qualcosa mi deve essere rimasto dei tempi in cui sono stato suo allievo), dando per scontato il fatto che l'impegno dei cattolici in politica si è concretizzato proprio nelle drammatiche crisi originate dai due epocali conflitti del Novecento. Che poi il PPI sturziano sia rimasto vittima – dopo una manciata di anni e come gli altri partiti – della reazione fascista e che invece la DC degasperiana abbia beneficiato per quarant'anni della “democrazia bloccata” del mondo bipolare, non entra nella discussione sul presente. Ciò che va invece assodato è se ci ritroviamo in una crisi così profonda da interpellare e muovere all'azione i “liberi e forti” di oggi.
Dopo le bombe di Hiroshima e Nagasaki non abbiamo per fortuna avuto un altro conflitto planetario. Ma una personalità che dovremmo tenere in grande considerazione – papa Francesco – ha dichiarato (2014, a Redipuglia) che “forse si può parlare di una terza guerra mondiale combattuta ‘a pezzi’, con crimini, massacri, distruzioni”. Senza toni apocalittici né catastrofismi, possiamo fare un piccolo elenco dei fenomeni mondiali con i quali stiamo da tempo facendo i conti: i cambiamenti climatici, la bomba demografica nel Sud del mondo e le migrazioni, il divario delle ricchezze con l'impoverimento progressivo di masse popolari e ceto medio, la disoccupazione strutturale portata dall'automazione, la lotta tra le potenze per il controllo delle risorse del pianeta. Sono questi i problemi epocali dello scenario “macro”. Nel “micro” della nostra Italia aggiungiamo la denatalità e l'invecchiamento della popolazione anche per la fuga di oltre 130.000 giovani ogni anno, la mancata manutenzione del territorio e delle infrastrutture, il fardello di 2400 miliardi di debito pubblico, l’espandersi delle mafie dalle regioni di origine, l’enorme evasione fiscale, il crollo di credibilità della politica, in parte della magistratura, e più in generale della classe dirigente. Significative le parole amare pronunciate da Guido Bodrato all’incontro dei Popolari: “Quando vi fu il passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica, pur con tutti i problemi di allora, eravamo la sesta potenza economica mondiale. Oggi siamo da tempo in stagnazione e ci ritroviamo con problemi come ILVA, Alitalia, i viadotti autostradali che crollano…”.
Più che domandarci se vi è una necessità storica che giustifica una autonoma “discesa in campo” dei democratici popolari di ispirazione cristiana, dovremmo piuttosto chiederci se abbiamo la forza, la determinazione, il coraggio per affrontare l’impresa. E questa risposta può solo essere individuale. Dato che sul carro dei “liberi e forti” si sale per convinzione, né per comodità né per opportunismo.
Dell'articolo di Novellini vorrei poi rettificare un dato preso per buono da uno degli autorevoli interventi, ma senza verifica. Mi ha fatto specie sentire che in Italia “il 50 per cento dei giovani sotto i 25 anni si dice non credente (e che) i credenti praticanti rappresentano il 5% dell'insieme”. Un dato molto basso, che potrebbe far ritenere inutile una forza politica di ispirazione cristiana, se poi pensiamo – come certifica il noto sondaggio IPSOS di giugno 2019 – che oltre metà non va a votare e un terzo di chi vota sceglie Salvini.
Ho così fatto un po' di ricerche e ho trovato un sondaggio recente (maggio 2019) commissionato alla Doxa da una realtà al di sopra di ogni sospetto: l'UAAR, Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti. Da 2142 interviste a connazionali dai 15 anni in su, è emerso che 1 giovane su 4 (il 25%, non il 50...) si dichiara “non credente”. Sull'intero campione statistico poi, i “credenti” sono l'82%, di cui il 66,7% “cattolici”. Di questi due terzi di italiani, poco più della metà si dice “praticante”. Non sappiamo dal sondaggio se si tratta di praticanti assidui o saltuari, ma a buon diritto possiamo considerare che un terzo della popolazione italiana ha ancora nell'insegnamento evangelico un punto di riferimento, più o meno preso in considerazione.
Questo solo per fare giustizia dei numeri, perché la “buona Politica” cristianamente ispirata deve saper parlare a tutti – e non creare recinti identitari – in forza della ricerca del “bene comune” e della fedeltà ai principi costituzionali.
All'Assemblea romana tra gli aderenti al “Manifesto per la costruzione di un soggetto politico 'nuovo' di ispirazione cristiana e popolare”, con oltre 200 partecipanti da ogni parte d'Italia, dopo la relazione introduttiva del professor Zamagni si sono succeduti una quarantina di interventi nel corso della giornata, con accenti diversi nella provenienza e nelle sottolineature, ma sostanzialmente univoci nell'analisi della “necessità storica” di una presenza autonoma dei “liberi e forti”.
L'incontro ha definito il prosieguo dell'iniziativa, che punta a rafforzare e implementare una rete di presenze singole e associate già presenti in tutto il Paese, all'insegna della partecipazione autentica, evitando i rischi del centralismo e del leaderismo. Parte ora il lavoro programmatico, articolato in una dozzina di aree tematiche che vedranno il coinvolgimento delle tante competenze espresse dai 552 firmatari del documento. La bozza definiva del programma, che si ipotizza pronta per gennaio prossimo, verrà presentata e discussa in assemblee organizzate a livello regionale, coinvolgendo tutti i gruppi, associazioni e singoli che hanno aderito al Manifesto, per poi ampliare la partecipazione a nuovi aderenti. Arrivando, con idee programmatiche condivise e la partecipazione dal basso, all'auspicabile Assemblea costituente in primavera.
Se son rose fioriranno, si usa dire. E noi seguiremo con attenzione questo percorso.
Sabato 23 novembre si è tenuta a Torino una riunione dei soci della nostra Associazione piemontese, mentre sabato scorso 30 novembre si è svolta a Roma l'assemblea dei firmatari del cosiddetto “Manifesto Zamagni”.
Andiamo per ordine, iniziando con l’aperto confronto dei Popolari piemontesi, di cui ha già scritto qui Aldo Novellini, che nel suo articolo ha ben colto il nodo essenziale emerso dal dibattito: esiste l'effettiva necessità storica della presenza cattolica nell'arena politica?
Il concetto di “necessità storica” lo ha portato in discussione Gianfranco Morgando riprendendolo dalla relazione del professor Francesco Traniello nel convegno sul Partito popolare italiano organizzato dalla Fondazione Donat-Cattin e dall'Istituto Sturzo, a chiusura delle celebrazioni torinesi del centenario di fondazione.
È consolidata opinione di storici e politici che la “necessità” di un impegno diretto dei cattolici democratici “emerse nel 1919, con la breve e significativa presenza del PPI di don Sturzo, e nel 1945 con la DC, nell'Italia che, dopo il ventennio fascista e la tragedia della guerra mondiale, si avviava verso la libertà e la democrazia”, come ha ben riassunto Novellini. Che si domanda se oggi esista questa necessità storica e trova una risposta positiva “nell'esigenza di restituire forza e passione all'integrazione dell'Europa”. Un nobile obiettivo, sul quale si può concordare, anche affiancandone altri.
Vale la pena di ampliare l'analisi, anche perché la sintesi che su questo punto avevo tentato in chiusura di un precedente editoriale evidentemente non è stata efficace e valutata nella sua profondità: “Non è detto che per avere nuovamente successo si debbano aspettare le macerie di una terza guerra mondiale”. Ho scritto così, in pieno accordo con la tesi di Traniello (qualcosa mi deve essere rimasto dei tempi in cui sono stato suo allievo), dando per scontato il fatto che l'impegno dei cattolici in politica si è concretizzato proprio nelle drammatiche crisi originate dai due epocali conflitti del Novecento. Che poi il PPI sturziano sia rimasto vittima – dopo una manciata di anni e come gli altri partiti – della reazione fascista e che invece la DC degasperiana abbia beneficiato per quarant'anni della “democrazia bloccata” del mondo bipolare, non entra nella discussione sul presente. Ciò che va invece assodato è se ci ritroviamo in una crisi così profonda da interpellare e muovere all'azione i “liberi e forti” di oggi.
Dopo le bombe di Hiroshima e Nagasaki non abbiamo per fortuna avuto un altro conflitto planetario. Ma una personalità che dovremmo tenere in grande considerazione – papa Francesco – ha dichiarato (2014, a Redipuglia) che “forse si può parlare di una terza guerra mondiale combattuta ‘a pezzi’, con crimini, massacri, distruzioni”. Senza toni apocalittici né catastrofismi, possiamo fare un piccolo elenco dei fenomeni mondiali con i quali stiamo da tempo facendo i conti: i cambiamenti climatici, la bomba demografica nel Sud del mondo e le migrazioni, il divario delle ricchezze con l'impoverimento progressivo di masse popolari e ceto medio, la disoccupazione strutturale portata dall'automazione, la lotta tra le potenze per il controllo delle risorse del pianeta. Sono questi i problemi epocali dello scenario “macro”. Nel “micro” della nostra Italia aggiungiamo la denatalità e l'invecchiamento della popolazione anche per la fuga di oltre 130.000 giovani ogni anno, la mancata manutenzione del territorio e delle infrastrutture, il fardello di 2400 miliardi di debito pubblico, l’espandersi delle mafie dalle regioni di origine, l’enorme evasione fiscale, il crollo di credibilità della politica, in parte della magistratura, e più in generale della classe dirigente. Significative le parole amare pronunciate da Guido Bodrato all’incontro dei Popolari: “Quando vi fu il passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica, pur con tutti i problemi di allora, eravamo la sesta potenza economica mondiale. Oggi siamo da tempo in stagnazione e ci ritroviamo con problemi come ILVA, Alitalia, i viadotti autostradali che crollano…”.
Più che domandarci se vi è una necessità storica che giustifica una autonoma “discesa in campo” dei democratici popolari di ispirazione cristiana, dovremmo piuttosto chiederci se abbiamo la forza, la determinazione, il coraggio per affrontare l’impresa. E questa risposta può solo essere individuale. Dato che sul carro dei “liberi e forti” si sale per convinzione, né per comodità né per opportunismo.
Dell'articolo di Novellini vorrei poi rettificare un dato preso per buono da uno degli autorevoli interventi, ma senza verifica. Mi ha fatto specie sentire che in Italia “il 50 per cento dei giovani sotto i 25 anni si dice non credente (e che) i credenti praticanti rappresentano il 5% dell'insieme”. Un dato molto basso, che potrebbe far ritenere inutile una forza politica di ispirazione cristiana, se poi pensiamo – come certifica il noto sondaggio IPSOS di giugno 2019 – che oltre metà non va a votare e un terzo di chi vota sceglie Salvini.
Ho così fatto un po' di ricerche e ho trovato un sondaggio recente (maggio 2019) commissionato alla Doxa da una realtà al di sopra di ogni sospetto: l'UAAR, Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti. Da 2142 interviste a connazionali dai 15 anni in su, è emerso che 1 giovane su 4 (il 25%, non il 50...) si dichiara “non credente”. Sull'intero campione statistico poi, i “credenti” sono l'82%, di cui il 66,7% “cattolici”. Di questi due terzi di italiani, poco più della metà si dice “praticante”. Non sappiamo dal sondaggio se si tratta di praticanti assidui o saltuari, ma a buon diritto possiamo considerare che un terzo della popolazione italiana ha ancora nell'insegnamento evangelico un punto di riferimento, più o meno preso in considerazione.
Questo solo per fare giustizia dei numeri, perché la “buona Politica” cristianamente ispirata deve saper parlare a tutti – e non creare recinti identitari – in forza della ricerca del “bene comune” e della fedeltà ai principi costituzionali.
All'Assemblea romana tra gli aderenti al “Manifesto per la costruzione di un soggetto politico 'nuovo' di ispirazione cristiana e popolare”, con oltre 200 partecipanti da ogni parte d'Italia, dopo la relazione introduttiva del professor Zamagni si sono succeduti una quarantina di interventi nel corso della giornata, con accenti diversi nella provenienza e nelle sottolineature, ma sostanzialmente univoci nell'analisi della “necessità storica” di una presenza autonoma dei “liberi e forti”.
L'incontro ha definito il prosieguo dell'iniziativa, che punta a rafforzare e implementare una rete di presenze singole e associate già presenti in tutto il Paese, all'insegna della partecipazione autentica, evitando i rischi del centralismo e del leaderismo. Parte ora il lavoro programmatico, articolato in una dozzina di aree tematiche che vedranno il coinvolgimento delle tante competenze espresse dai 552 firmatari del documento. La bozza definiva del programma, che si ipotizza pronta per gennaio prossimo, verrà presentata e discussa in assemblee organizzate a livello regionale, coinvolgendo tutti i gruppi, associazioni e singoli che hanno aderito al Manifesto, per poi ampliare la partecipazione a nuovi aderenti. Arrivando, con idee programmatiche condivise e la partecipazione dal basso, all'auspicabile Assemblea costituente in primavera.
Se son rose fioriranno, si usa dire. E noi seguiremo con attenzione questo percorso.
Perché no? in sintesi è quello che penso. Per quanto mi riguarda e per quel poco che mi resta da vivere non mi sento di partecipare attivamente ma di osservare con attenzione ed interesse la nuova iniziativa, se nasce, si!
Alessandro GRAZIE per la tua passione ed impegno per ridare dignita’ alla politica.
Ti stimo ed apprezzo sempre di piu’.
Il tuo Amico Sergio Gaiotti