Se fosse l’Europa la necessità storica?



Aldo Novellini    28 Novembre 2019       0

Da qualche tempo vi è un rinnovato slancio del dibattito sul ruolo dei cattolici nella sfera politica. Il manifesto di recente redatto dall'economista Stefano Zamagni sembra rappresentare un importante elemento di novità su cui innestare un percorso di rivitalizzazione del cattolicesimo in politica. Un altro spunto interessante è quanto emerso dalla riunione dei 58 ex dirigenti del PPI che decisero il passaggio dei Popolari nella Margherita. Da questo convegno sono scaturiti tre specifici punti: rinascita della testata "Il Popolo", come strumento politico-culturale; organizzazione di un convegno sul popolarismo entro l'estate 2020; approfondimento del manifesto Zamagni come snodo per elaborare una ritrovata presenza pubblica del cattolicesimo.

Se ne è parlato nel corso di un incontro dei Popolari piemontesi, dove il presidente emerito dell'associazione, nonché ex ministro e parlamentare DC, Guido Bodrato, ha voluto evidenziare il notevole scarto esistente tra ambito politico e culturale. Quest'ultimo aspetto viene ritenuto da chi oggi fa politica attiva, come qualcosa di irrilevante e, forse, di superfluo. Eppure è proprio una carenza di cultura la causa della insignificante progettualità politica che caratterizza il nostro tempo.

Se poi si osserva il partito riformista per eccellenza, ovvero il PD, si deve rilevare, come ha fatto spesso l'ex presidente del Consiglio, Ciriaco De Mita, un amalgama mal riuscito tra la tradizione ex democristiana e quella ex comunista. Una fusione fredda che, secondo altri, mostra appieno le difficoltà dei democratici nell'elaborare un progetto del tutto condiviso nel segno di un comune riformismo.

E allora quale strada per il cattolicesimo politico? Una ritrovata presenza nel PD, cercando di valorizzare al suo interno la famiglia cattolico-democratica? Oppure la nascita di un nuovo partito? O cos'altro ancora?

Va intanto rilevato quanto sia mutata la società italiana negli ultimi trent'anni. Lo stesso ruolo del cattolicesimo esce fortemente indebolito, in un contesto nel quale il 50 per cento dei giovani sotto i 25 anni si dice non credente. Una società ipersecolarizzata in cui i credenti praticanti rappresentano il 5 per cento dell'insieme. Si tratta dunque di fare i conti con questa realtà ricordando che, comunque, una buona fetta di chi auspicherebbe una più forte presenza cattolica nell'arena pubblica si colloca a destra ed approva la logica del cardinal Ruini, di un apporto diretto della fede religiosa nella sfera politica.

Quale direzione prendere? Difficile dirlo. Non resta che tener sempre a mente che il sistema maggioritario è quanto di più esiziale possa esservi per un'espressione politica dei cattolici, costretta a scegliere se stare da una parte o dall'altra, favorendo la scomposizione tra conservatori e riformisti. Riproponendo, in pratica, il perenne contrapporsi tra le due anime del cattolicesimo sin dai tempi di Luigi Sturzo. Essenziale, si potrebbe dire vitale, puntare quindi su un modello proporzionale che permetta una potenziale ricomposizione del variegato mondo cattolico.

Vi è però – a detta di Gianfranco Morgando, ex senatore PD ed oggi direttore della Fondazione Carlo Donat-Cattin – un decisivo interrogativo che non è possibile eludere: ossia l'esistenza di una effettiva necessità storica della presenza cattolica nell'arena politica. Necessità che emerse nel 1919, con la breve e significativa presenza del PPI di don Sturzo, e nel 1945, con la DC, nell'Italia che, dopo il ventennio fascista e la tragedia della guerra mondiale, si avviava verso la libertà e la democrazia. Oggi – ed è questa la domanda da porsi – esiste questa necessità storica? Non è semplice rispondere.

Eppure, a ben pensarci, la si può scoprire nell'esigenza di restituire forza e passione all'integrazione dell'Europa. Forse la strada è proprio quella, e allora è tempo di muoversi.


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