Sia il progetto iniziato con la sottoscrizione del Manifesto per un nuovo soggetto politico di ispirazione cristiana e popolare, sia il processo politico di riunificazione nella componente ex democristiana del centrodestra partono da una forte preoccupazione per la crisi morale e politica che alimenta la deriva populista in Italia. Senz’altro è auspicabile che si allarghi, nelle forze di centro, un argine a Salvini nei palazzi della politica.
Ma l’argine reale a Salvini implica il cambio deciso delle politiche economiche. Questo purtroppo non sta avvenendo con l’attuale governo. Nulla infatti ha sinora ottenuto dall’Ue, se non un platonico riconoscimento di amicizia. E il semplice abbassamento dello spread, senza terapia d’urto fiscale, un grande piano di investimenti in deficit per lavoro, sviluppo sostenibile e coesione sociale, non genera la ripresa dei consumi e della crescita.
Questo immobilismo del Conte bis sul piano economico farà stravincere Salvini. Unito al fatto che il governo giallorosso manifesta nel contempo un clamoroso deficit di europeismo. Perché se fosse pro Europa, mentre impronta la propria manovra economica all’austerità che disintegra l’UE, assumerebbe nel contempo una forte iniziativa nelle sedi comunitarie per la condivisione del debito e per un grande piano europeo per lo sviluppo sostenibile (come anche Enrico Giovannini, che molto più degnamente avrebbe potuto presiedere questo governo, propone di fare in un articolo su La Stampa).
Ormai è chiaro che la situazione del Paese si sta avvitando su se stessa e che sempre più Salvini, e pure la Meloni, stanno suscitando attese che una volta al governo non saranno in grado di realizzare. E dalla conseguente delusione dell’elettorato non è detto che usciranno cose del tutto compatibili con la democrazia oppure con l’unità nazionale. Soprattutto a quelle cose bisognerebbe pensare di fare argine, prima che sia troppo tardi.
Ma l’argine reale a Salvini implica il cambio deciso delle politiche economiche. Questo purtroppo non sta avvenendo con l’attuale governo. Nulla infatti ha sinora ottenuto dall’Ue, se non un platonico riconoscimento di amicizia. E il semplice abbassamento dello spread, senza terapia d’urto fiscale, un grande piano di investimenti in deficit per lavoro, sviluppo sostenibile e coesione sociale, non genera la ripresa dei consumi e della crescita.
Questo immobilismo del Conte bis sul piano economico farà stravincere Salvini. Unito al fatto che il governo giallorosso manifesta nel contempo un clamoroso deficit di europeismo. Perché se fosse pro Europa, mentre impronta la propria manovra economica all’austerità che disintegra l’UE, assumerebbe nel contempo una forte iniziativa nelle sedi comunitarie per la condivisione del debito e per un grande piano europeo per lo sviluppo sostenibile (come anche Enrico Giovannini, che molto più degnamente avrebbe potuto presiedere questo governo, propone di fare in un articolo su La Stampa).
Ormai è chiaro che la situazione del Paese si sta avvitando su se stessa e che sempre più Salvini, e pure la Meloni, stanno suscitando attese che una volta al governo non saranno in grado di realizzare. E dalla conseguente delusione dell’elettorato non è detto che usciranno cose del tutto compatibili con la democrazia oppure con l’unità nazionale. Soprattutto a quelle cose bisognerebbe pensare di fare argine, prima che sia troppo tardi.
La parola “populismo” a mio modesto parere non ha nessun significato se non quello di voler denigrare gratuitamente un avversario politico. L’interesse del popolo deve essere il primo problema che ogni politico deve assicurare. Se qualcuno vuole, invece, educarlo commette un vero e proprio misfatto sociale.
Credo che la politica vada anzitutto amata. Va cioè guardata nella sua verità, considerata per quello che è e deve essere. Va riscattata da pregiudizi e contraffazioni ma anche difesa e protetta. È infatti tremendamente esposta al rischio di venire strumentalizzata o sfruttata. Questo accade per il grande potere che essa ha in vista dell’adempimento del suo compito. Governare una nazione, una città, un paese, dare alla convivenza degli uomini la sua forma più bella per la felicità di tutti è una vera e propria missione. Chi si impegna a compierla merita il rispetto e la gratitudine di tutti, ma certo si assume anche una grave responsabilità, di cui è giusto avere coscienza. La sapienza di sempre e la tradizione cristiana in particolare ci indicano alcune parole chiave che stanno alla base di un politica degna di questo nome. Tra queste vorrei richiamarne tre, che mi sembrano capaci di catalizzare valori e atteggiamenti essenziali all’esercizio del buon governo.
Esse sono: L’onestà anzitutto. Il cancro della politica è la ricerca spregiudicata dell’interesse privato o di gruppo, cioè la corruzione. Chi accetta di svolgere questa missione dovrà essere integro, prima nelle intenzioni e poi nelle azioni, dedito unicamente alla nobile causa del bene comune. Nessun compromesso con il tornaconto, economico ma anche di immagine. Il potere politico non è un fine e non va quindi cercato per se stesso. L’ebbrezza del potere dei governanti è una delle esperienze più tragiche che una società può fare, come dimostra drammaticamente la storia.
Don Luigi Sturzo così identificava alcune regole del buon politico: onestà, sincerità, distacco dal denaro; non sprecare i finanziamenti pubblici, non affidare incarichi a parenti, non promettere l’irrealizzabile, non credere di essere infallibili, informarsi e studiare quando non si sa, discutere serenamente e obiettivamente. E aggiungeva: “Quando la folla ti applaude, pensa che la stessa folla potrà divenire avversa. Non inorgoglirti se approvato, né affliggerti se osteggiato. La politica è un servizio per il bene comune”.
L’arte del buon governo domanda tanto pensiero, tanta capacità di ascolto e di dialogo, la rinuncia ad ogni forma di violenza verbale, l’onestà di non far leva sull’emotività e sulla paura.
La democrazia nasce e si sviluppa sull’esercizio pacato del confronto delle opinioni, nella ricerca onesta della verità di cui nessuno è padrone. In politica si è concorrenti non nemici, chiamati appunto a concorrere, cioè a contribuire, al bene di tutti, nella dialettica costruttiva tra maggioranza e opposizione. Non si è inesorabilmente condannati allo scontro. La politica non è un’arena, ma piuttosto un’agorà, una piazze dove si discute anche animatamente e con passione ma sempre nel rispetto delle persone e delle idee. L’obiettivo di un vero dialogo non è quello convincere gli altri che noi abbiamo ragione ma di guadagnare insieme una visione sempre più profonda delle cose, in vista di decisioni importanti per la vita di tutti.
Siamo pronti a tutto cio’? Credo che ci sia bisogno di una sana educazione a cominciare dalla scuola per avere adulti liberi e consapevoli…e forti.