Periodicamente ritorna a far breccia nella cittadella politica italiana la cosiddetta “questione cattolica”. È un tema antico, questo, che accompagna ormai da molti decenni il cammino della politica e della democrazia del nostro paese e che è destinato a pesare anche nel futuro. Del resto, è una costante storica e culturale strettamente intrecciata alla nostra identità nazionale. Al di là della storica divisione tra “guelfi” e “ghibellini”, al di là degli steccati tra laici e cattolici, al di là della distinzione tra il trono e l’altare e al di là della questione religiosa che agita periodicamente il cammino, sempre tortuoso e problematico, del nostro sistema politico.
Ora, e per l’ennesima volta e con puntualità quasi scientifica, si ricomincia a parlare di un nuovo “partito cattolico”. Oppure di un partito laico di ispirazione cristiana o di un soggetto cattolico con una forte caratterizzazione religiosa. Al di là delle definizioni e della terminologia sempre un po’ confusa ed autoreferenziale, di un partito cattolico si tratta.
Su questo versante, però, non possiamo non ricordare che dal 2001, cioè dopo la fine dell’esperienza del Partito Popolare Italiano di Mino Martinazzoli e di Franco Marini, si sono succeduti circa 50 tentativi per rimettere in gioco l’esperienza della DC, del PPI o, comunque sia, di una forza politica che affondava le sue radici nel patrimonio politico e culturale del cattolicesimo politico e democratico italiano. Tentativi che sono stati declinati tanto sul versante del centrodestra quanto su quello del centrosinistra. Tentativi condotti in buona fede – anche se l’ambizione dei promotori, del tutto giustificata e anche umanamente comprensibile, era sempre e solo quella di puntare ad ottenere qualche scranno parlamentare – e con convinzione ma accomunati dal medesimo epilogo: e cioè, il fallimento elettorale.
Dal tentativo di Democrazia Europea del 2001, appunto, guidato da Andreotti e D’Antoni a quelli delle ultimi elezioni regionali ed europee, la difficoltà a raggiungere la fatidica soglia dell’1% è stato il comune denominatore di tutte queste svariate e molteplici esperienze. E, puntualmente, anche nelle ultime settimane e per rispetto della cronaca, ne sono nati altri due: la “Federazione di centro” che punta a raggruppare il mondo ex democristiano disperso in mille rivoli e quello che ruota attorno al Manifesto di Zamagni. Due tentativi, encomiabili e da non sottovalutare, che si inseriscono nel solco dei precedenti percorsi. Tutti, purtroppo, puntualmente falliti a livello politico ed elettorale.
Tuttavia, e al contempo, non possiamo non registrare un vivace dibattito attorno ad una rinnovata presenza pubblica dei cattolici democratici e popolari italiani. Una presenza che viene paradossalmente richiesta da molti e autorevoli commentatori su svariati organi di informazione – soprattutto quando si parla dell’assenza di una “forza politica di centro” – e poi, però, non riesce a tradursi in un concreto fatto storico e politico. Ma, al di là dell’esito concreto di questi molteplici tentativi, è indubbio che la “questione cattolica” è nuovamente presente. E non solo nella pluralistica e variegata area cattolica ma per l’intera politica italiana. Del resto, sono state sufficienti due interviste al cardinale Camillo Ruini e a monsignor Mogavero e la pubblicazione dell’ennesimo manifesto programmatico e valoriale per rilanciare un dibattito attuale e fecondo attorno al ruolo politico e culturale dei cattolici italiani.
Certo, due elementi – almeno a mio parere, ma non solo – emergono in modo abbastanza evidente. Da un lato, la sostanziale improponibilità ed inopportunità di dar vita all’ennesimo “partito cattolico”, o di ispirazione cristiana che dir si voglia. Un partito che, dopo i ripetuti ed insistenti fallimenti delle precedenti esperienze, rende tutti più prudenti nell’avventurarsi nell’ennesima piroetta organizzativa. Dall’altro lato, però, si rende sempre più necessaria la presenza di questa cultura, di questi valori e anche dello stesso progetto politico nella sfera pubblica italiana.
Dopodiché, vivendo anche in una stagione politica all’insegna del trasformismo e della perdurante instabilità, nulla è irreversibile e definitivo. E men che meno la possibilità/opportunità di dar vita ad uno strumento politico ed organizzativo autonomo per il futuro. Ad oggi, però, e per motivi sufficientemente fondati, non ci sono le benché minime condizioni politiche, culturali, sociali e forse anche ambientali per intraprendere una ennesima iniziativa partitica.
Ma la “questione cattolica” si è nuovamente riaffacciata all’attenzione dei media e della politica nazionale. Rimuoverla con argomenti artificiosi e superficiali non ha alcun senso e, credo, non sia interesse di nessuno. Compito dei cattolici democratici e popolari, oggi, resta quello di far lievitare questo dibattito e, soprattutto, di essere ancora in grado di incidere e condizionare con la propria cultura e i propri valori l’agenda politica nazionale e locale.
Ora, e per l’ennesima volta e con puntualità quasi scientifica, si ricomincia a parlare di un nuovo “partito cattolico”. Oppure di un partito laico di ispirazione cristiana o di un soggetto cattolico con una forte caratterizzazione religiosa. Al di là delle definizioni e della terminologia sempre un po’ confusa ed autoreferenziale, di un partito cattolico si tratta.
Su questo versante, però, non possiamo non ricordare che dal 2001, cioè dopo la fine dell’esperienza del Partito Popolare Italiano di Mino Martinazzoli e di Franco Marini, si sono succeduti circa 50 tentativi per rimettere in gioco l’esperienza della DC, del PPI o, comunque sia, di una forza politica che affondava le sue radici nel patrimonio politico e culturale del cattolicesimo politico e democratico italiano. Tentativi che sono stati declinati tanto sul versante del centrodestra quanto su quello del centrosinistra. Tentativi condotti in buona fede – anche se l’ambizione dei promotori, del tutto giustificata e anche umanamente comprensibile, era sempre e solo quella di puntare ad ottenere qualche scranno parlamentare – e con convinzione ma accomunati dal medesimo epilogo: e cioè, il fallimento elettorale.
Dal tentativo di Democrazia Europea del 2001, appunto, guidato da Andreotti e D’Antoni a quelli delle ultimi elezioni regionali ed europee, la difficoltà a raggiungere la fatidica soglia dell’1% è stato il comune denominatore di tutte queste svariate e molteplici esperienze. E, puntualmente, anche nelle ultime settimane e per rispetto della cronaca, ne sono nati altri due: la “Federazione di centro” che punta a raggruppare il mondo ex democristiano disperso in mille rivoli e quello che ruota attorno al Manifesto di Zamagni. Due tentativi, encomiabili e da non sottovalutare, che si inseriscono nel solco dei precedenti percorsi. Tutti, purtroppo, puntualmente falliti a livello politico ed elettorale.
Tuttavia, e al contempo, non possiamo non registrare un vivace dibattito attorno ad una rinnovata presenza pubblica dei cattolici democratici e popolari italiani. Una presenza che viene paradossalmente richiesta da molti e autorevoli commentatori su svariati organi di informazione – soprattutto quando si parla dell’assenza di una “forza politica di centro” – e poi, però, non riesce a tradursi in un concreto fatto storico e politico. Ma, al di là dell’esito concreto di questi molteplici tentativi, è indubbio che la “questione cattolica” è nuovamente presente. E non solo nella pluralistica e variegata area cattolica ma per l’intera politica italiana. Del resto, sono state sufficienti due interviste al cardinale Camillo Ruini e a monsignor Mogavero e la pubblicazione dell’ennesimo manifesto programmatico e valoriale per rilanciare un dibattito attuale e fecondo attorno al ruolo politico e culturale dei cattolici italiani.
Certo, due elementi – almeno a mio parere, ma non solo – emergono in modo abbastanza evidente. Da un lato, la sostanziale improponibilità ed inopportunità di dar vita all’ennesimo “partito cattolico”, o di ispirazione cristiana che dir si voglia. Un partito che, dopo i ripetuti ed insistenti fallimenti delle precedenti esperienze, rende tutti più prudenti nell’avventurarsi nell’ennesima piroetta organizzativa. Dall’altro lato, però, si rende sempre più necessaria la presenza di questa cultura, di questi valori e anche dello stesso progetto politico nella sfera pubblica italiana.
Dopodiché, vivendo anche in una stagione politica all’insegna del trasformismo e della perdurante instabilità, nulla è irreversibile e definitivo. E men che meno la possibilità/opportunità di dar vita ad uno strumento politico ed organizzativo autonomo per il futuro. Ad oggi, però, e per motivi sufficientemente fondati, non ci sono le benché minime condizioni politiche, culturali, sociali e forse anche ambientali per intraprendere una ennesima iniziativa partitica.
Ma la “questione cattolica” si è nuovamente riaffacciata all’attenzione dei media e della politica nazionale. Rimuoverla con argomenti artificiosi e superficiali non ha alcun senso e, credo, non sia interesse di nessuno. Compito dei cattolici democratici e popolari, oggi, resta quello di far lievitare questo dibattito e, soprattutto, di essere ancora in grado di incidere e condizionare con la propria cultura e i propri valori l’agenda politica nazionale e locale.
Ho una obiezione. Nessuno accende la lampada per poi metterla sotto il moggio. Come si promuovono i valori in cui si crede: coltivando la separatezza? Accampandosi presso una delle tifoserie? Questa mi sembra la strada per l’irrilevanza. La strada mi sembra un’altra e non ha a che vedere col folklore ma con l’impegno. Finora in pochi hanno creduto ad un ruolo del cattolicesimo democratico. … finora appunto.