"Renzi ci ha rubato il nome, non il voto dei cattolici"
Quando Matteo Renzi, spiazzando i suoi progetti gli ha “soffiato” il nome che lui aveva in mente per il futuro partito erede dei Popolari – “non chiamatelo partito cattolico” – Alessandro Risso abbozzò, mise nel cassetto la registrazione del sito Italia Viva, ma profetizzò: “Renzi si è ormai intestato il nome ma non credo riuscirà a intestarsi questo elettorato”. Che, poi, è proprio quello cui innanzitutto si rivolge la formazione che sarà ancora senza nome, ma ha già – al contrario del partito frutto della scissione dal PD e di non pochi altri – un suo manifesto, tra i cui oltre cinquecento firmatari c’è Stefano Zamagni, capo della Pontificia Accademia delle scienze sociali ed è una delle cariche laiche più influenti in Vaticano.
Risposta all’invito lanciato ormai quasi un anno fa dal cardinale Gualtiero Bassetti a formare una nuova forza per dare ai valori cattolici più peso politico ed esigenza di “colmare un vuoto” come spiega Risso, discepolo di Guido Bodrato, tessera del PD “fino al 2013 quando da partito plurale è diventato personale”, da tempo presidente dell’Associazione dei Popolari piemontesi. Oggi uno dei costruttori del futuro soggetto che ha davanti a sé una grande sfida e un non meno grande rischio: dare voce, rappresentanza, protagonismo a quella vasta area cattolica rifugiatasi nell’astensione ed evitare di ripetere le fallimentari plurime esperienze di una rinascita di un partito cattolico, più o meno erede della DC.
“Siamo preoccupati della crisi della politica. L’astensione al 47% alle europee, l’esasperazione dell’individualismo, le polarizzazioni, i sovranismi, la mancanza di valori… Vogliamo cercare di parlare alla gente che non va più a votare, perché nella politica non ci crede più. Uno studio realizzato appena dopo le urne dello scorso maggio – ricorda Risso – ha valutato l’astensionismo tra i cattolici praticanti al 53%. Un dato molto pesante”. Un bacino potenziale di tutto rispetto per un partito che “deve far ritornare a una politica fondata su valori chiari e di prospettiva. Non guardare ai like o ai sondaggi del momento e magari dire cose che nell’immediato possono non portare il consenso, ma che servono al Paese”.
Galassia vasta e complessa quella che si guarda ogni qual volta si prospetta la nascita di un soggetto che, inevitabilmente, viene ricondotto all’ultimo ramo dell’albo genealogico il cui frutto più duraturo e corposo è stata la DC, ma anche quello che con la sua fine ha decretato la scomparsa della stirpe.
Nessuna velleità di resuscitare la balena bianca. Tre sono i principali artefici della risposta all’esortazione del cardinal Bassetti e a quel mondo cattolico rifugiatosi nel non voto: oltre a Zamagni - l’economista la cui figura ha portato alla sbrigativa quanto azzardata definizione di “partito del Papa” – c’è Costruire Insieme che fa riferimento al senatore Ivo Tarolli e poi quella Rete Bianca in cui si riconoscono non pochi ex parlamentari, da Enzo Carra a Lorenzo Dellai fino all’ex ministro Andrea Olivero, già presidente delle ACLI e figura che nella sua provincia di Cuneo conta come assai probabili compagni di viaggio nel nuovo soggetto politico l’ex assessore regionale e già sindaco Alberto Valmaggia e gran parte del gruppo di Monviso in Movimento.
Una rete con qualche smagliatura: se è “indubbio che i cattolici democratici e popolari italiani non possono continuare a stare alla finestra contribuendo, così facendo, a rinnegare un modo d’essere che li ha contraddistinti storicamente nella politica italiana”, osserva Giorgio Merlo tra gli animatori di Rete Bianca, è altrettanto vero per l’ex parlamentare del PD che “questo non è sufficiente per spiegare e giustificare la rinascita tout court di un nuovo e rinnovato 'partito cattolico' per l’ennesima, seppur comprensibile, ambizione personale di qualcuno”. Una dura reprimenda quella dell’ex onorevole dem, per un periodo legatissimo a Gianni Cuperlo, che in un suo intervento scrive tra l’altro come “sarebbe consigliabile se i vari promotori non accampassero l’avallo per simili operazioni dei vari presuli, cardinali se non addirittura di Papa Francesco. Occorre sempre affrontarle e commentarle con la dovuta prudenza e con una cristiana e consapevole pazienza”.
Sul fronte politicamente opposto a quello dei “democristiani che guardano a sinistra”, per usare un’espressione di Alcide De Gasperi, uno dei rappresentati piemontesi dell’eredità, annosamente contesa, dello scudocrociato: Mauro Carmagnola, sta in quel centrodestra moderato dove continua ad orbitare nella galassia di Vito Bonsignore, UDC e satelliti.
Se il confessionale è sullo sfondo, il proporzionale è in primo piano. Il nuovo assetto politico non può che facilitare la vita al nascituro partito che, inutile girarci in giro, appare anche come la risposta gradita alla Chiesa, alla CEI come al Vaticano, alle poco gradite e spesso sguaiate invocazioni di Matteo Salvini che pur fanno breccia in una parte dei credenti. “Siamo l’antitesi del sovranismo” taglia corto Risso, “ma anche alternativi a una sinistra com’è andata configurandosi”. Il partito che non può e non vuole dirsi cattolico, “perché già come diceva Sturzo al congresso di Bologna nel 1919 non si poteva portare la Chiesa sul piano politico”, ma che nasce dal popolarismo “e che ha ispirazione nella dottrina sociale della Chiesa”, partirà dal basso: prima riunioni nella varie Regioni, poi nei primi dell’anno un congresso nazionale.
In Piemonte tra i firmatari del manifesto compaiono Davide Mosso, avvocato e componente dell’Associazione giuristi cattolici, Giuseppe Davicino, autore anni fa del saggio Cattolici e Politica: un’agenda per il domani, e ancora l’ex assessore regionale e storico esponente di Comunione e Liberazione Giampiero Leo, oggi nel consiglio di indirizzo della Fondazione CRT, l’ex amministratore di Telesubalpina Aldo Cantoni e l’economista Daniele Ciravegna, professore emerito dell’Università di Torino e autore di una monumentale ricostruzione dell’evoluzione della dottrina sociale della Chiesa e dei suoi sviluppi più recenti. E qui in Piemonte ci si sta preparando, per la fine del mese, al primo incontro del nuovo partito. Che ha un corposo manifesto, ma non ancora un nome.
“Se fosse dipeso da me – ammette Risso – l’avremmo chiamato Italia Viva. Per dare l’idea della prospettiva che serve al Paese: lotta alla denatalità, politiche per l’ambiente, ricostruzione di una coesione sociale partendo dal municipalismo sturziano, dignità al lavoro, riduzione della forbice sociale”. Poi, anzi prima, è arrivato Renzi e quel nome se lo è preso lui. “Ma non quella parte di elettori che vogliamo recuperare dall’astensione dove si è rifugiata per sfiducia in un certo modello di politica”.
Non credo che il nome sia un grande ostacolo. L’importante è che i cattolici democratici capiscano l’importanza di rispondere a questo “Appello Popolare” (perché non chiamarlo per quello che è?). La politica che guarda al popolo e non alla pubblica opinione.