La Lega di Matteo Salvini è ancora ufficialmente la “Lega Nord per l’indipendenza della Padania”. Eppure, a Roma è scesa in piazza, in compagnia di Silvio Berlusconi, Giorgia Meloni e un discreto manipolo di fascisti, per parlare dell’Orgoglio Italiano. Appare subito evidente che Salvini ha seppellito la Lega, così come storicamente è venuta configurandosi.
I duecentomila che lui dice di avere avuto sotto il palco a San Giovanni hanno applaudito altro, non certo il separatismo leghista. Era tutto uno sventolare di tricolore e un insieme di rigurgiti nostalgici e retorici. Me se n’è accorto Matteo Salvini?
Sparito anche il Nabucco. Il capo della ex Lega si è fatto presentare al suono di Vincerò. Il cartellone alle sue spalle continuava, sì, a mostrare il simbolo del partito indipendentista del nord, ma in porzione molto ridotta rispetto a quell’Orgoglio Italiano che campeggiava sullo sfondo dell’azzurro e del tricolore.
Salvini si è fatto anticipare da una dichiarazione d’amore di Oriana Fallaci per l’Italia e l’italianità. In realtà, al Matteo ex leghista interessava esprimere per interposta persona l’odio contro tutti gli immigrati.
Della Fallaci, Salvini ha fatto ascoltare la celebrazione di Dante e di Leonardo. Due grandi, che oggi chiamiamo italiani, ma che al loro tempo erano “fiorentini” e hanno fatto gli immigrati. Entrambi hanno toccato con mano “come sa di sale lo pane altrui, e come è duro calle lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale” in una Italia fatta allora di frontiere, dazi doganali, una pletora di monete differenti, di stati e statarelli che tutti rendevano immediatamente migranti, se solo dovevano spostarsi di pochi chilometri. Sono i limiti dei riferimenti storici che, se i presupposti culturali non sono solidi, svelano i limiti e la strumentalità del ragionamento.
La sostanza è comunque che Matteo Salvini trasforma definitivamente quello che è stato il partito separatista, antitaliano, antiromano di Bossi in un’organizzazione di destra estrema. Tanto estrema che alcuni leghisti di Roma si sono sentiti in dovere di riunirsi sul colle dell’Esquilino e di non aggregarsi ai compagni di partito confluiti a San Giovanni. Una protesta contro l’abbraccio salviniano con i fascisti di Casa Pound e altri gruppi estremisti romani la frequentazione con i quali non è davvero cosa commendevole. Quelli dell’Esquilino si sono procalamati “leghisti antifascisti”, ma se ne sono dovuti andare sul colle che sovrasta il Colosseo.
Salvini in effetti continua a mettersi smaccatamente a destra, ma senza disegnare un conservatorismo moderno, capace di inserirsi e di partecipare alla dinamica dei processi di trasformazione in atto in tutta l’Europa e in tutto l’Occidente. Dal palco di San Giovanni non ha diffuso alcun progetto, non ha offerto alcuna visione di largo respiro che pure una destra adeguata ai tempi potrebbe proporre. Niente che andasse oltre le inevitabili critiche, obbligate per una forza di opposizione, verso quella maggioranza da cui Salvini ha fatto di tutto per farsi estromettere.
Questo è il vero dramma del Paese: non avere alcun progetto con cui confrontarsi. Non viene dalla sinistra, non è giunto dall’affollato convenire destrorso romano. Sotto le bandiere… poco, se non addirittura nulla di diverso da quello che ogni sera ci sentiamo ammannire in televisione. Talmente chiara la cosa che la tv, presente in diretta all’appuntamento di San Giovanni, preferiva saltellare in qua e là tra Roma e Londra dove oltre un milione di persone è di nuovo sceso in piazza su una linea proprio opposta a quella di Salvini. Dicendo no alla Brexit, mentre il Parlamento di Westminster dava un altro sonoro ceffone all’estremista antieuropeo Johnson.
È chiaro che in questa fase gli altri capi della Lega tacciono, ma non sono affatto contenti. Debbono tacere perché siamo in vista delle prossime elezioni in Umbria, dove il colpo della vittoria potrebbe riuscire al centrodestra a trazione leghista. Poi giungeranno le successive del gennaio 2020 in Emilia e Romagna, dove forse sarà più difficile scalzare il PD. Questo spiega anche perché a via Bellerio, almeno ufficialmente, ancora nessuno abbia cominciato a presentare a Salvini il conto per le dure sconfitte subite negli ultimi mesi e per quella “personalizzazione” del partito lungo cui egli continua a incamminarsi in ostentata solitudine.
Non è la stessa cosa, ma qualcosa di simile è continuato alla Leopolda di Firenze da cui Renzi ha tuonato contro le “correnti”. Insoddisfatto di quelle interne al PD, ha trasformato la sua in un vero e proprio partito che oggi ha disvelato anche il suo logo. Intanto, però, i sondaggi elettorali languono. Ma di questo dovremo riparlarne.
Da Roma giunge un altro frammento d’immagine: quello di Silvio Berlusconi nell’atto di sottomettersi a Matteo Salvini. Che i Fratelli d’Italia abbiano partecipato in un modo davvero subordinato alla giornata dell’Orgoglio Italiano della Lega è nelle cose proprie del formarsi di una forza dai forti connotati di destra. Suona strana, invece, la presenza di Berlusconi, nonostante le tante voci contrarie di molti in Forza Italia.
È vero che ci sono i prossimi appuntamenti elettorali, ma che Berlusconi non riesca a utilizzare adeguatamente la propria “utilità marginale” non torna e non spiega un comportamento ondivago che rischia solo di ridurre Forza Italia al lumicino.
(Tratto da www.politicainsieme.com)
I duecentomila che lui dice di avere avuto sotto il palco a San Giovanni hanno applaudito altro, non certo il separatismo leghista. Era tutto uno sventolare di tricolore e un insieme di rigurgiti nostalgici e retorici. Me se n’è accorto Matteo Salvini?
Sparito anche il Nabucco. Il capo della ex Lega si è fatto presentare al suono di Vincerò. Il cartellone alle sue spalle continuava, sì, a mostrare il simbolo del partito indipendentista del nord, ma in porzione molto ridotta rispetto a quell’Orgoglio Italiano che campeggiava sullo sfondo dell’azzurro e del tricolore.
Salvini si è fatto anticipare da una dichiarazione d’amore di Oriana Fallaci per l’Italia e l’italianità. In realtà, al Matteo ex leghista interessava esprimere per interposta persona l’odio contro tutti gli immigrati.
Della Fallaci, Salvini ha fatto ascoltare la celebrazione di Dante e di Leonardo. Due grandi, che oggi chiamiamo italiani, ma che al loro tempo erano “fiorentini” e hanno fatto gli immigrati. Entrambi hanno toccato con mano “come sa di sale lo pane altrui, e come è duro calle lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale” in una Italia fatta allora di frontiere, dazi doganali, una pletora di monete differenti, di stati e statarelli che tutti rendevano immediatamente migranti, se solo dovevano spostarsi di pochi chilometri. Sono i limiti dei riferimenti storici che, se i presupposti culturali non sono solidi, svelano i limiti e la strumentalità del ragionamento.
La sostanza è comunque che Matteo Salvini trasforma definitivamente quello che è stato il partito separatista, antitaliano, antiromano di Bossi in un’organizzazione di destra estrema. Tanto estrema che alcuni leghisti di Roma si sono sentiti in dovere di riunirsi sul colle dell’Esquilino e di non aggregarsi ai compagni di partito confluiti a San Giovanni. Una protesta contro l’abbraccio salviniano con i fascisti di Casa Pound e altri gruppi estremisti romani la frequentazione con i quali non è davvero cosa commendevole. Quelli dell’Esquilino si sono procalamati “leghisti antifascisti”, ma se ne sono dovuti andare sul colle che sovrasta il Colosseo.
Salvini in effetti continua a mettersi smaccatamente a destra, ma senza disegnare un conservatorismo moderno, capace di inserirsi e di partecipare alla dinamica dei processi di trasformazione in atto in tutta l’Europa e in tutto l’Occidente. Dal palco di San Giovanni non ha diffuso alcun progetto, non ha offerto alcuna visione di largo respiro che pure una destra adeguata ai tempi potrebbe proporre. Niente che andasse oltre le inevitabili critiche, obbligate per una forza di opposizione, verso quella maggioranza da cui Salvini ha fatto di tutto per farsi estromettere.
Questo è il vero dramma del Paese: non avere alcun progetto con cui confrontarsi. Non viene dalla sinistra, non è giunto dall’affollato convenire destrorso romano. Sotto le bandiere… poco, se non addirittura nulla di diverso da quello che ogni sera ci sentiamo ammannire in televisione. Talmente chiara la cosa che la tv, presente in diretta all’appuntamento di San Giovanni, preferiva saltellare in qua e là tra Roma e Londra dove oltre un milione di persone è di nuovo sceso in piazza su una linea proprio opposta a quella di Salvini. Dicendo no alla Brexit, mentre il Parlamento di Westminster dava un altro sonoro ceffone all’estremista antieuropeo Johnson.
È chiaro che in questa fase gli altri capi della Lega tacciono, ma non sono affatto contenti. Debbono tacere perché siamo in vista delle prossime elezioni in Umbria, dove il colpo della vittoria potrebbe riuscire al centrodestra a trazione leghista. Poi giungeranno le successive del gennaio 2020 in Emilia e Romagna, dove forse sarà più difficile scalzare il PD. Questo spiega anche perché a via Bellerio, almeno ufficialmente, ancora nessuno abbia cominciato a presentare a Salvini il conto per le dure sconfitte subite negli ultimi mesi e per quella “personalizzazione” del partito lungo cui egli continua a incamminarsi in ostentata solitudine.
Non è la stessa cosa, ma qualcosa di simile è continuato alla Leopolda di Firenze da cui Renzi ha tuonato contro le “correnti”. Insoddisfatto di quelle interne al PD, ha trasformato la sua in un vero e proprio partito che oggi ha disvelato anche il suo logo. Intanto, però, i sondaggi elettorali languono. Ma di questo dovremo riparlarne.
Da Roma giunge un altro frammento d’immagine: quello di Silvio Berlusconi nell’atto di sottomettersi a Matteo Salvini. Che i Fratelli d’Italia abbiano partecipato in un modo davvero subordinato alla giornata dell’Orgoglio Italiano della Lega è nelle cose proprie del formarsi di una forza dai forti connotati di destra. Suona strana, invece, la presenza di Berlusconi, nonostante le tante voci contrarie di molti in Forza Italia.
È vero che ci sono i prossimi appuntamenti elettorali, ma che Berlusconi non riesca a utilizzare adeguatamente la propria “utilità marginale” non torna e non spiega un comportamento ondivago che rischia solo di ridurre Forza Italia al lumicino.
(Tratto da www.politicainsieme.com)
Quando Berlusconi salì al potere ricordo che si trascorrevano ore a recriminare contro il cavaliere nero: nei luoghi di lavoro, con gli amici intimi nel salotto di casa, in pizzeria o, più appropriatamente, durante le riunioni politiche del proprio partito (io all’epoca ero entrato nella Margherita): si produsse un’ apprezzabile quantitativo di frasi ben tornite, di concetti arguti, di maledizioni espettorate di brutto; a che servì? A un’analisi critica e originale della società italiana nel contesto della globalizzazione? A fare strada a un progetto politico davvero alternativo? No. Che cosa si fece, che cosa non si fece, perché: ci vorrebbe lo spazio di un intero saggio per rispondere a queste domande. E oggi? La sceneggiatura si ripete con il mefistofelico lombardo Salvini. Il quale intanto, cosa che Berlusconi non fece, si permette anche di fare la cosa più di sinistra mai apparsa sugli schermi politici del belpaese nel corso degli ultimi 25/30 anni: la riforma della controriforma delle pensioni, Quota 100! Misura ragionevole, qualunque saggio governante democristiano del buon tempo andato la condividerebbe, ma tale da far drizzare in piedi indignate le sentinelle neoliberiste del campo presunto progressista. Non si può fare! strepitano più realisti del re anzi più europeisti del commissario europeo e corri corri a liberare dalla naftalina la Fornero e issarla come un trofeo nelle trasmissioni mainstream e a esibire il più grande economista dopo J.M. Keynes quel Cazzola perennemente inc….to (sì proprio quello che nella silenziosa quiete zen delle classi dirigenti locali ha scippato a Torino il Salone dell’Auto) che dispensa pareri sulle pensioni, rigorosamente senza contraddittorio ché io conosco tante impiegate dei CAF che lo lascerebbero a terra tramortito. E noi che ingigantiamo l’avversario, lo demonizziamo neppure ci accorgiamo che ci sottrae quello che dovrebbe essere nostro; forse non è l’odierna una politica ove non vi è più destra e sinistra ma quella in cui chi è più lesto ti scavalca sul tuo stesso terreno e tu rimani lì come un allocco a recriminare contro il vuoto. Quello che più o meno è capitato e temo capiterà ancora.
Andrea Griseri: Bravo, con la B maiuscola! L’articolo di Infante trasuda odio e rabbia da ogni parola ed è pure ridicolo quando vuol far apparire migranti Dante e Leonardo. Avanti di questo passo e nonostante gli errori che ha fatto e farà ancora, Salvini arriverà al 94%. Complimenti.