Il Governo ha ottenuto la fiducia ed ha iniziato a operare. È finita, almeno per qualche tempo, la stagione degli slogan e del soffiare sulle paure alimentate eccessivamente, e del chiedere conseguentemente pieni poteri per assicurare sicurezza ai cittadini. Si è dato avvio, pur in modo imprevisto, rocambolesco, e inusuale, ad una alleanza fra diversi che vorrebbe essere di svolta e di media durata, ma che è ancora estremamente precaria per i dubbi che molti tra i contraenti hanno manifestato, e per le debolezze che restano nell’intero impianto.
Al di là di quanto ognuno possa pensare della nuova collaborazione parlamentare, penso che sarebbe un errore e un regalo all’avversario (che per i riformatori e i democratici resta il sovranismo e il nazionalismo, oltre all’inumanità e all’inciviltà di alcuni decreti adottati recentemente) quello di usare questo tempo per alimentare e allargare differenze e contraddizioni, anziché lavorare per approfondire e ricercare sintesi. Ciò non significa accantonare parole di verità e accontentarsi di mediazioni al ribasso.
Andiamo con ordine. E pensiamo a voce alta.
Per quanto riguarda il Governo e i partiti che lo sostengono: credo che il Governo, pur con il supporto e i consigli opportuni, vada lasciato lavorare sollecitandolo quando serve per aiutarne concretezza e decisione. Mentre ai partiti e ai movimenti di opinione esterni ad essi compete usare questi anni (di qui al 2022) per costruire proposte coerenti sia per percorsi e alleanze riformatrici e di innovazione, sia per sviluppare le possibili future coalizioni di legislatura.
Serve, allora, ritornare nella società, in mezzo alle persone e alle associazioni, interpretarne le inquietudini, raccogliere le necessità reali, ascoltare le critiche; accantonare magari aspetti programmatici più controversi o ascrivibili più alle visioni cosiddette radical-chic o dei salotti borghesi. Tutti sappiamo, senza negare gli aspetti dei cosiddetti diritti civili (è qui che servirebbe tornare a un confronto serio e approfondito, alla ricerca di mediazioni alte per la ricerca del bene possibile; è qui che servirebbe una presenza autorevole e più organizzata del cattolicesimo democratico), che le priorità sono il lavoro, i suoi cambiamenti e le tutele correlate, il supporto alla parte produttiva e alle imprese alleggerendone i costi fiscali e la burocrazia, gli interventi per la tutela dell’ambiente e per una cultura del riuso del riciclo del recupero, la garanzia assistenziale e sanitaria universalistica, la tutela del patrimonio del paesaggio e la salvaguardia del territorio.
Passo ai Popolari, ai Liberi e Forti, alle tante componenti e sfaccettature che compongono il cattolicesimo democratico popolare e comunitario. Premettendo che, con la nuova stagione che è iniziata lasciando aperti tutti o quasi i problemi di valutazione di prospettiva di concezione del sistema democratico rappresentativo, sarà necessaria anche una profonda riorganizzazione e un ripensarsi del centrosinistra: ritengo siano di corto respiro sia la ricomposizione di aree tradizionali di sinistra (cosa che ha una sua dignità e una sua utilità, ma non sufficiente per la vittoria), sia la costituzione di un centro indistinto che accorpi, per usare la terminologia di molti politologi, le tradizioni dei popolari, dei liberali e riformisti o pensi alla semplice ricomposizione dei cattolici della morale con quelli del sociale (cosa necessaria ma non sufficiente per superare politiche moderate e poco attente ai cambiamenti). Cairo più Calenda, più moderati pentiti del centrodestra, più un gruppetto di cattolici non mi entusiasma come prospettiva per un futuro dell’Italia capace di affrontare le grandi trasformazioni di questa epoca. Il Centro – se vogliamo usare questo termine – che è utile oggi dovrebbe scompaginare le collocazioni tradizionali e contenere idee e proposte che mettano insieme l’impegno per la dignità della persona, la famiglia, i corpi intermedi, le autonomie, la socialità, la solidarietà, il ruolo dell’impresa legata al territorio e attenta all’etica, l’ambientalismo non integralista e ideologico, il riformismo sociale, l’europeismo federalista. Un Centro non equidistante e quasi indifferente alle altre formazioni politiche, ma che sceglie i ceti più deboli, indifesi, l’umanesimo, la solidarietà e la sussidiarietà.
Le associazioni che si rifanno all’Appello ai Liberi e Forti hanno, in questo centenario popolare, promosso iniziative, documenti, individuato progetti e programmi, priorità essenziali. Lorenzo Dellai, ad esempio, ha sollecitato come prima cosa per tentare un riavvicinamento tra le tante sigle ed esperienze a “costruire una comunità politica popolare” con una sua identità e autonomia. Ciò per rafforzare una coesione culturale e la condivisione di valori e progetti.
Recentemente il Presidente dell’Associazione Popolari del Piemonte, Alessandro Risso, ha sollecitato a concretizzare il percorso iniziato e i suggerimenti venuti da più parti: un gruppetto di persone definiscano un Manifesto/Appello ideale il quale contenga i riferimenti essenziali su cui si intende essere presenti. Poi definizione di un Programma stringato (che serva a farsi riconoscere a livello pubblico), definizione di un nome e di un simbolo, piccola Assemblea Costituente.
In concomitanza a questi passaggi è importante, direi fondamentale, confrontarsi con la società reale e con l‘associazionismo: il programma verrebbe migliorato e completato e servirebbe per proporsi come espressione di istanze sociali, produttive, e culturali. La fase organizzativa e di diffusione capillare sul territorio andrà altrettanto ben preparata: sia per rappresentare realtà e ceti, sia per aiutare una nuova classe dirigente a crescere e affermarsi.
Termino la riflessione a voce alta. I Popolari, siano nel prossimo futuro una nuova formazione politica nazionale, una corrente interna a qualche partito o trasversale ad essi, oppure un movimento politico/culturale che diventi riferimento per settori politici, credo che debbano comunque collocarsi nel campo riformatore, del cambiamento profondo, delle trasformazioni radicali (soprattutto per quanto riguarda i temi ambientali, ma anche della riorganizzazione dello Stato); un campo che, come accennato, non può essere il tradizionale centrosinistra (o qualche forma di Ulivo rinnovato).
Deve essere un campo innovativo, plurale, rispettoso delle diversità, capace di fare sintesi alte; in cui il cattolicesimo democratico non è ruota di scorta o portatore solo di voti e di idee, ma è presente con la schiena dritta, è coscienza critica. E in cui restano al centro la moralità della politica, il bene comune e i beni pubblici, l’uso etico del potere contrastando conflitti di interesse, la non occupazione dello Stato e delle Istituzioni da parte dei partiti. Le tre male bestie che Sturzo invitava a sconfiggere (statalismo, partitocrazia, uso distorto della finanza pubblica) sono ancora rischi da cui guardarsi e che i Popolari devono continuamente richiamare perché la nuova stagione riparta senza ostacoli.
Al di là di quanto ognuno possa pensare della nuova collaborazione parlamentare, penso che sarebbe un errore e un regalo all’avversario (che per i riformatori e i democratici resta il sovranismo e il nazionalismo, oltre all’inumanità e all’inciviltà di alcuni decreti adottati recentemente) quello di usare questo tempo per alimentare e allargare differenze e contraddizioni, anziché lavorare per approfondire e ricercare sintesi. Ciò non significa accantonare parole di verità e accontentarsi di mediazioni al ribasso.
Andiamo con ordine. E pensiamo a voce alta.
Per quanto riguarda il Governo e i partiti che lo sostengono: credo che il Governo, pur con il supporto e i consigli opportuni, vada lasciato lavorare sollecitandolo quando serve per aiutarne concretezza e decisione. Mentre ai partiti e ai movimenti di opinione esterni ad essi compete usare questi anni (di qui al 2022) per costruire proposte coerenti sia per percorsi e alleanze riformatrici e di innovazione, sia per sviluppare le possibili future coalizioni di legislatura.
Serve, allora, ritornare nella società, in mezzo alle persone e alle associazioni, interpretarne le inquietudini, raccogliere le necessità reali, ascoltare le critiche; accantonare magari aspetti programmatici più controversi o ascrivibili più alle visioni cosiddette radical-chic o dei salotti borghesi. Tutti sappiamo, senza negare gli aspetti dei cosiddetti diritti civili (è qui che servirebbe tornare a un confronto serio e approfondito, alla ricerca di mediazioni alte per la ricerca del bene possibile; è qui che servirebbe una presenza autorevole e più organizzata del cattolicesimo democratico), che le priorità sono il lavoro, i suoi cambiamenti e le tutele correlate, il supporto alla parte produttiva e alle imprese alleggerendone i costi fiscali e la burocrazia, gli interventi per la tutela dell’ambiente e per una cultura del riuso del riciclo del recupero, la garanzia assistenziale e sanitaria universalistica, la tutela del patrimonio del paesaggio e la salvaguardia del territorio.
Passo ai Popolari, ai Liberi e Forti, alle tante componenti e sfaccettature che compongono il cattolicesimo democratico popolare e comunitario. Premettendo che, con la nuova stagione che è iniziata lasciando aperti tutti o quasi i problemi di valutazione di prospettiva di concezione del sistema democratico rappresentativo, sarà necessaria anche una profonda riorganizzazione e un ripensarsi del centrosinistra: ritengo siano di corto respiro sia la ricomposizione di aree tradizionali di sinistra (cosa che ha una sua dignità e una sua utilità, ma non sufficiente per la vittoria), sia la costituzione di un centro indistinto che accorpi, per usare la terminologia di molti politologi, le tradizioni dei popolari, dei liberali e riformisti o pensi alla semplice ricomposizione dei cattolici della morale con quelli del sociale (cosa necessaria ma non sufficiente per superare politiche moderate e poco attente ai cambiamenti). Cairo più Calenda, più moderati pentiti del centrodestra, più un gruppetto di cattolici non mi entusiasma come prospettiva per un futuro dell’Italia capace di affrontare le grandi trasformazioni di questa epoca. Il Centro – se vogliamo usare questo termine – che è utile oggi dovrebbe scompaginare le collocazioni tradizionali e contenere idee e proposte che mettano insieme l’impegno per la dignità della persona, la famiglia, i corpi intermedi, le autonomie, la socialità, la solidarietà, il ruolo dell’impresa legata al territorio e attenta all’etica, l’ambientalismo non integralista e ideologico, il riformismo sociale, l’europeismo federalista. Un Centro non equidistante e quasi indifferente alle altre formazioni politiche, ma che sceglie i ceti più deboli, indifesi, l’umanesimo, la solidarietà e la sussidiarietà.
Le associazioni che si rifanno all’Appello ai Liberi e Forti hanno, in questo centenario popolare, promosso iniziative, documenti, individuato progetti e programmi, priorità essenziali. Lorenzo Dellai, ad esempio, ha sollecitato come prima cosa per tentare un riavvicinamento tra le tante sigle ed esperienze a “costruire una comunità politica popolare” con una sua identità e autonomia. Ciò per rafforzare una coesione culturale e la condivisione di valori e progetti.
Recentemente il Presidente dell’Associazione Popolari del Piemonte, Alessandro Risso, ha sollecitato a concretizzare il percorso iniziato e i suggerimenti venuti da più parti: un gruppetto di persone definiscano un Manifesto/Appello ideale il quale contenga i riferimenti essenziali su cui si intende essere presenti. Poi definizione di un Programma stringato (che serva a farsi riconoscere a livello pubblico), definizione di un nome e di un simbolo, piccola Assemblea Costituente.
In concomitanza a questi passaggi è importante, direi fondamentale, confrontarsi con la società reale e con l‘associazionismo: il programma verrebbe migliorato e completato e servirebbe per proporsi come espressione di istanze sociali, produttive, e culturali. La fase organizzativa e di diffusione capillare sul territorio andrà altrettanto ben preparata: sia per rappresentare realtà e ceti, sia per aiutare una nuova classe dirigente a crescere e affermarsi.
Termino la riflessione a voce alta. I Popolari, siano nel prossimo futuro una nuova formazione politica nazionale, una corrente interna a qualche partito o trasversale ad essi, oppure un movimento politico/culturale che diventi riferimento per settori politici, credo che debbano comunque collocarsi nel campo riformatore, del cambiamento profondo, delle trasformazioni radicali (soprattutto per quanto riguarda i temi ambientali, ma anche della riorganizzazione dello Stato); un campo che, come accennato, non può essere il tradizionale centrosinistra (o qualche forma di Ulivo rinnovato).
Deve essere un campo innovativo, plurale, rispettoso delle diversità, capace di fare sintesi alte; in cui il cattolicesimo democratico non è ruota di scorta o portatore solo di voti e di idee, ma è presente con la schiena dritta, è coscienza critica. E in cui restano al centro la moralità della politica, il bene comune e i beni pubblici, l’uso etico del potere contrastando conflitti di interesse, la non occupazione dello Stato e delle Istituzioni da parte dei partiti. Le tre male bestie che Sturzo invitava a sconfiggere (statalismo, partitocrazia, uso distorto della finanza pubblica) sono ancora rischi da cui guardarsi e che i Popolari devono continuamente richiamare perché la nuova stagione riparta senza ostacoli.
Come non essere in sintonia con questo articolo ? Pongo però una domanda: esistono ora persone in numero sufficiente che abbiano non solo la visibilità per non essere ignorate, ma anche l’ effettiva capacità e volontà di dar vita ad un programma come quello auspicato? Io temo che le prime non vogliano e le seconde non possano. E’ urgente mettere in condizione le seconde di operare con sufficiente prospettiva di successo, ora molto debole.