Una crisi anche figlia della legge elettorale



Guido Bodrato    4 Settembre 2019       0

Stiamo vivendo una crisi di sistema, non solo di governo, come ha giustamente sottolineato Guasco qui su "Rinascita popolare". Crisi in parte provocata da un sistema elettorale maggioritario che avrebbe dovuto assicurare la governabilità, su quel sistema si è formato, e poi è esploso, il governo gialloverde.


Il Rosatellum assegna, come premio di maggioranza, il 30 per cento dei seggi a chi conquista i collegi uninominali, ed il restante 70 per cento dei seggi (di entrambi i rami del Parlamento) con il sistema proporzionale (e con liste bloccate).


Il fatto è che al Sud i collegi uninominali sono stati vinti quasi tutti dal M5S, ed al Nord dalla Lega; e questo risultato ha costretto DiMaio e Salvini, leader di partiti alternativi, a sottoscrivere un “contratto” per evitare che tornassero al potere “quelli di prima”, cioè il PD.


Si può dire che il governo gialloverde è figlio illegittimo del Rosatellum; ma non si può negare che questa legge elettorale è stata voluta dal PD di Renzi “per governare”, per rendere definitiva – con una legge maggioritaria – la svolta politica annunciata dalle elezioni europee del 2014.


Posso aggiungere che quando Matteo Salvini ha provocato la crisi di governo e si è dichiarato pronto ad impadronirsi del Paese, obiettivo sul quale ritorna ogni giorno, lo ha fatto per trasformare i sondaggi in voti, nella convinzione che con elezioni anticipate una coalizione nazional-populista, da lui guidata, avrebbe conquistato quasi tutti i collegi uninominali, al Nord come al Sud, e tutto il potere.


In questo contesto è rinata, dalle ceneri del bipolarismo e della Seconda Repubblica, la proposta di riformare, in senso proporzionale, la legge elettorale. Si è cioè riaperta una “querelle” che aveva caratterizzato il contrasto tra i partiti democratici nel corso del lungo tramonto della Prima Repubblica. Partiti anche in quegli anni divisi sugli effetti della legge proporzionale, della quale si conosceva il “tallone d'Achille”: favorire la dispersione dei voti, a danno della stabilità delle maggioranze parlamentari. Ma non si tratta di tornare al passato prossimo, tanto meno a quello remoto... Si tratta di riflettere, di non cedere alle approssimazioni.


Per Craxi, questo limite poteva essere corretto con una clausola di esclusione dal Parlamento delle liste che conquistassero meno del 3% dei voti; per la DC, con un premio di maggioranza a favore del partito, o della coalizione, che aveva conquistato almeno il 40% dei voti.


Craxi pensava di costringere i partiti laici a fare coalizione con i socialisti; la DC voleva costringere i socialisti a dichiarare, prima del voto, con chi intendevano fare il governo: con la Dc o con il PCI?


Entrambe le correzioni della legge proporzionale si proponevano di garantire la governabilità.


Non c'è una legge elettorale perfetta; neppure l'uninominale garantisce la stabilità in Inghilterra. I contrasti sulle leggi elettorali nascondono (o svelano) un contrasto sulla strategia politica, sulla dimensione del consenso elettorale dei diversi partiti. Oppure nascondono un lotta per il potere personale.


Quando si discute sul declino del bipolarismo, sulla vocazione maggioritaria, sulle coalizioni possibili, questi dibattiti si intrecciano. E quando il PD riconosce (come ha fatto recentemente il suo segretario Zingaretti) che per essere alternativo alla destra, per difendere l'Europa dal sovranismo, ha bisogno di alleati, riconosce che il bipolarismo di cui si discute oggi, è molto diverso da quello di cui abbiamo fatto esperienza negli anni del centrosinistra e della vocazione maggioritaria.


E mi fermo qui, per dire che comunque bisogna tornare alla politica, a una riflessione che tenga insieme queste diverse questioni: non basta dire che la proporzionale fotografa la situazione, mentre il maggioritario garantisce la governabilità.




Il primo dei commenti

Lascia un commento

La Tua email non sarà pubblicata.


*